La situa attorno a Dragon Age the Veilguard spiegata bene
Fasci, rossobruni e recensioni democristiane
Il discorso attorno a Dragon Age the Veilguard è un discorso politico.
Non è solo una questione di “go woke go broke” smentito poi dallo Stato reale, giocatori e giocatrici fuori dalla bolla che non sanno che un po’ tutto il circo della critica-barra-influencing lo dava per morto e quindi l’ha comprato in massa lo stesso. È una questione di posizionamenti, privilegi, dibattiti sempre più polarizzati e dialoghi sempre più impossibili. È cosa succede quando chi dovrebbe essere senza padroni poi si ritrova ad averne addirittura due.
Abbiamo abbassato la Veilguard e ci siamo presi un diretto in faccia. Perché quelli, da destra, arrivano sempre in orario.
Prima di entrare per l’ennesima volta nella tana del bianconiglio però due cose. La prima: “Vinci B-Human” si è concluso. Ha vinto tale Claudio, la copia è in viaggio da un paio di giorni e sperabilmente nel corso della settimana arriva. B-Human resta comunque comprabile su Amazon in eBook o in copia cartacea – nei momenti in cui questa non è sold out quantomeno – e se lo fai pls lascia una recensione perché l’algoritmo™ ci si nutre.
La seconda sono como siempre i podcastini.
I podcastini clickbait™
Lindie e pintie
Quest’anno siamo vergognosamente sotto quota con i cestoni indie, però va pure detto che la roba sta uscendo tutta assieme e soprattutto ne è uscita un po’ nella seconda parte dell’anno.
Comunque, abbiamo giocato un po’ di robina interessante e infatti l’episodio è bello cicciotto. A grandissima richiesta questa volta ho fatto anche l’elenco dei giochini giocati che si trova non solo nel blog, ma pure nello spazio dedicato ai post con un minimo di spiega dei giochini giocati.
Ma me lo compro Echoes of Wisdom?
Uno Zelda minore o una di quelle robine piccine che però grazie al Nintendo Factor ti restano nel cuore? Uno Zelda progressista che ribalta finalmente il tropo su cui si appoggia la serie da sempre o una roba reazionaria che in realtà non rivoluziona un gran cazzo? Meglio Tears of the Kingdom e la sua complessità o questa riduzione più semplice ma ugualmente capace di rompere il design del gioco lasciando un po’ di spazio al gameplay emergente?
Potevamo parlare di tutte queste cose, e invece la puntata si apre disquisendo i valori nutritivi della sborra.
Abbassare la Veilguard
Riassunto delle puntate precedenti: Dragon Age the Veilguard sta sul cazzo alle destre del gaming perché la Game Director Corinne Busche sui social si definisce “Queerosexual“ e sostiene che i diritti delle persone trans siano diritti umani. Questo implica che il giochino venga preso di mira da prima ancora che venga fuori che nell’editor del personaggio si possono selezionare le cicatrici post-intervento di transizione, perché era già “troppo woke” l’idea che esistesse una modalità di gioco dove non puoi morire.
Era chiaramente un paravento per prendersela con Busche e le sue idee sull’inclusività, e la cosa diventa ovvia quando vengono fuori altri aspetti del gioco. Non è solo l’editor del personaggio: in questi giorni si è presa una clip in cui uno dei personaggi in-game sbaglia il pronome di un altro personaggio e per scusarsi inizia a fare delle flessioni.
Il comportamento ha una spiegazione a livello di lore, che viene data contestualmente alla cutscene (e per quanto mi riguarda è credibilissima, è proprio la logica classica degli ambienti militari):
È una tradizione nei Signori della Fortuna, inventata da uno dei nostri membri anziani, Bharv. Le frizioni all’interno di una squadra non fanno bene al morale, ma spesso non c’è tempo per tirare fuori delle scuse appropriate. Quindi quando qualcuno di noi fa una cazzata e sappiamo che è una cazzata, facciamo dieci flessioni per mettere a posto le cose.
La clip è chiaramente diventata virale e viene utilizzata a mo’ di sineddoche della propaganda inserita di forza in Dragon Age the Veilguard e come esempio di come il woke rovini la scrittura dei videogiochi. E questi contenuti stanno trovando ampia diffusione anche per colpa di creator che ci tengono a specificare la loro distanza dall’ideologia del Gamergate, ma intanto condividono contenuti di gente dandogli ragione (e quindi validazione) oltre che visibilità. Quella stessa visibilità che quando succedono cose grevi si sostiene a gran voce di non dover dare a queste “poche mele marce” accusando chi ne parla di fare il loro gioco.
Dragon Age the Veilguard insomma è come il 25 aprile: divisivo, se sei schierato dalla parte sbagliata.
Ma al di là del woke, fin dall’annuncio il gioco è stato bollato come un fallimento annunciato da parte di sostanzialmente tutto l’impianto critico. Basta farsi un giro sui canali YouTube dei creator (magari degli stessi creator che poi su X condividono la clip delle flessioni al grido di “che schifo & che merda”) per trovare cose tipo “perché Dragon Age the Veilguard non ha successo?” o “Dragon Age the Veilguard ha un GROSSO PROBLEMA”. Sembrava dovesse essere il prossimo Concord, insomma. Solo che a nessuno di questi creator è venuto in mente di andare a vedere come stava performando il gioco a livello di preordini, col risultato che in realtà poi The Veilguard nell’ultimo mese è rimasto fisso nella top-3 di giochi più venduti su Steam e ha avuto un lancio molto lontano da quello che può essere definito un flop.
La sensazione è che lo Stato reale, nel bene e nel male, se ne strafotta di quello che diciamo. Di questa polemica all’esterno della bolla core dei giochini non è filtrato nulla, e quindi s’è comprato The Veilguard banalmente perché c’era scritto sopra “Dragon Age”, come s’era comprato un anno e mezzo fa Hogwarts Legacy perché c’era scritto Eripotté e di tutto il discorso su quanto J.K. Rowling faccia schifo proprio nei confronti delle persone che in The Veilguard sembra possano sentirsi incluse non è fregato un cazzo a nessuno. Questo di per sé è già un discorso abbastanza interessante: che le recensioni della stampa di settore non spostino sostanzialmente un cazzo a livello di vendite di un gioco era cosa già nota e provata da diversi report (tra cui quelli di IIDEA), ma fino ad oggi si dava quasi per scontato che lə influencer venissero percepite come figure amiche di cui fidarsi davvero in grado di spostare qualcosa. All’atto pratico non è così, nel senso che un po’ come per la stampa di settore lə influencer in realtà hanno un’influenza minore dei bias che poi il singolo acquirente c’ha già per i cazzi suoi.
Tornando a The Veilguard. In un quadro già estremamente polarizzato perché ormai è sempre fasci vs rossobruni succede che EA, quantomeno alle nostre latitudini, decida di non mandare codici pre-lancio ad alcuni outlet, sia testate che creator/influencer.
Scandalo! EA vuole controllare quello che si dice sul gioco evitando che se ne parli male! Hanno pure pagato Eurogamer per dargli un voto più alto di quello dato a Baldur’s Gate 3 !”. Peraltro nessuno è andato a controllare se le recensioni su Eurogamer fossero in effetti della stessa persona, spoiler: no.
Succede insomma che le stesse persone che erano contente quando i dev di Black Myth Wukong facevano la stessa cosa adesso gridano alla dittatura del politicamente corretto.
Sì, EA vuole controllare quello che si dice sul gioco pre-lancio evitando che se ne parli male. Fa schifo, ma succede da quando cazzo esiste il settore e non è una cosa che riguarda solo EA. I publisher giocano al gioco dei videogiochi per guadagnare il più possibile, per cui non si fanno e non si sono mai fatti il minimo scrupolo a ricorrere a black list, a fare pressioni e comportamenti del genere. È tutta roba ampiamente documentata (tipo qui Square Enix lo fa nei confronti di chi è stato sotto la media Metacritic di Final Fantasy XV). Io per dire ricordo di come una decina di anni fa un redattore fosse stato cacciato da Eurogamer Italia perché mentre era in charge della recensione di Injustice God Among Us aveva ammesso in un video di YouTube sul suo canale di non conoscere benissimo la serie Mortal Kombat, o di una mail da parte di Cidiverte dopo che sul primo sito dove ho iniziato a scrivere di giochini si era dato “solo” 9 a GTA V, col PR che rimarcava il rammarico perché era “il voto più basso in Italia” (inutile dire che GTA V per PS4 a quella stessa redazione non è mai arrivato).
Si fanno figli e figliastri da sempre, perché le aziende vedono critica e influencer come dei megafoni da sfruttare, non come gente da mettere in condizione di fare il loro lavoro.
Per cui sì, succede che hai sfruttato la polarizzazione attorno a Dragon Age the Veilguard perché fruttava clicchini (se sei sitino) o perché hai voluto assecondare la pancia di Internet (se sei influencer) ed EA ti ha mandato a fanculo. Fa schifo, ma non è una novità che se vuoi davvero essere indipendente con EA non ci dovresti parlare.
A dirla tutta a questo punto bisognerebbe chiedersi se una vera indipendenza può esistere, soprattutto raggiunto un certo successo.
Perché inevitabilmente perdere qualche migliaio di follower è diverso dal perderne 10, non solo dal punto di vista economico – specie se la tua sussistenza è legata al parlare di giochini – ma soprattutto da quello della salute mentale. Dipendere da un pubblico in una certa misura ti rende meno indipendente, anche solo per il fatto che hai una responsabilità per cui non dovresti ricondivere i video dei fasci del videoludo di cui si parlava sopra anche se pure un orologio made in Predappio segna l’ora giusta due volte al giorno pur confondendo il 6 col 12. Poi bisognerebbe incazzarsi perché sostanzialmente nessuno ha dimostrato di essere consapevole di questa responsabilità, ma tant’è.
Quello che succede adesso comunque è che da una parte ci sono i fasci che perculano la scena delle flessioni, dall’altra chi invece interpreta ogni critica a The Veilguard come se fosse la tessera di iscrizione al Partito Nazionalsocialista.
In mezzo quindi lecitamente c’è chi rischia di prendere le botte da entrambi i gruppi e fare la fine della redattrice di ScreenRant che lamentava la poca inclusività di Wukong – redattrice che non nomino non per patriarcato, ma perché lei per prima ha chiesto l’anonimato facendo oscurare il suo nome dalla recensione di Wukong. In questo clima di sospetto io per primo faccio fatica a capire se, metti, l’ultimo video di Falconero sulla faccenda The Veilguard sia effettivamente il suo parere sul gioco o dipenda dalla situazione e/o rifletta le sue idee politiche.
La risposta sarebbe forse dare il beneficio del dubbio alla critica e ai creator, ma abbassando la Veilguard è successo che si è dato l’assist ad un sacco di voci che magari Iddio esistesse davvero la Cancel Culture. E quindi per capire davvero com’è ‘sto Dragon Age the Veilguard restano i gameplay no commentary o il fare un salto nel vuoto, decidere di comprarlo, magari refundarlo entro le 2 ore se i primi 120 minuti in-game fanno cacare.
Solo che 120 minuti in un GDR sono troppo pochi per capire davvero il gioco. Dovremmo toglierci dalla testa questa brutta abitudine di giudicare tutto dalle prime impressioni, dai bias che ci facciamo a pelle nei confronti di qualcuno o qualcosa. Ci sono persone che nei primi 120 minuti del nostro rapporto mi hanno dato l’impressione che saremmo rimasti legatə a vita con cui a distanza di tre anni non parlo più. Ci sono creator che pensavo fossero coglioni fatti e finiti che poi son riusciti a sorprendermi. Animal Well inizia col botto e poi ti si sgretola tra le mani dopo due ore, nello stesso lasso di tempo il Prey del 2017 passa da “che palle” all’essere uno dei migliori immersive sim della decade.
In tutto questo quindi l’unico consiglio che posso darti è questo: se sei indecisə compralo The Veilguard. Sei l’unica persona che può rispondere alla domanda “com’è?”, perché la situazione è inevitabilmente introiata e un dibattito sano sul gioco in questo momento non è possibile.
Se vuoi qualcosa da giocare nell’attesa che cali di prezzo oh, Prey del 2017 non c’entra una sega ma dovresti giocarlo lo stesso.
Soprattutto se ti piace il roleplay.
PS: è giusto ringraziare GarageGamer per gli scambi su The Veilguard, la critica e il concetto di autorità avuti in questi giorni. Magari tra un po’ diventa anche una puntata del podcast se lo convinco.
Cos’è successo in questa settimana di giochini?
Se "i videogiochi non devono darci lezioni" allora com'è che stiamo ancora a giocare a The Last of Us parte 2?
di Richard “Anxiété” Sintoni
Dai su, mo' che s'è nominato il mostro sacro pigliamoci pure a sputi e insulti, così dimostriamo di non aver capito un cazzo del messaggio che voleva trasmetterci.
Ma come d'altronde non abbiamo capito un cazzo nemmeno di Kojima eh. Ai Patriots non è mai servito creare contenuto, gli è sempre bastato sfruttare il contesto, esattamente come sta bastando alle destre negli ultimi anni per diffondere i loro messaggi, sia in politica che nei giochini.
Ma solo mo' stranamente ci facciamo caso, e pure per i motivi sbagliati.
Da una parte abbiamo i giochini che cercano di inserire nelle vite dellə nostrə alter ego digitali delle tematiche sulle quali siamo ancora tremendamente indietro, complice pure un sistema educativo che fa acqua da tutte le parti. Dall'altra abbiamo la cumpa chiassosa in fondo all'aula che urla e copre le loro voci.
E fa tanto ribellə ascoltare loro, cazzo quanto ci piace fare l'anarchia contro la cattedra per farci fighi.
Tanto che ce frega, mica sono nozioni importanti, non lo sono mai state. Mica ci servono per il resto della vita.
"Non sono cose che mi riguardano".
Ripetile ad alta voce queste parole, ripetile mentre ti lamenti delle cicatrici post-operazione in The Veilguard. Prova a ripeterle pure mentre ti fai l'ennesima run a Snake Eater, mentre cerchi di fare fuori The Boss sapendo perché lo stai facendo.
Oppure prova a girarti verso la cattedra, e ascoltare che cosa vuole dirti l'arte che il giochino ti sta mostrando. Sia mai che ti porti a casa qualcosa di utile per la tua vita.
Fosse anche solo un briciolo di empatia e rispetto per chi ti circonda.
Hai mai giocato a un gioco senza sapere bene il perché?
di Davide “Celens” Celentano
Mi è successo recentemente con la serie di Darkside Detective, che non mi ha fatto schifo ma non mi è manco piaciuta, se proprio devo dirla tutta.
Classica avventura grafica con una spolverata di gag e di metatesto per dare un tocco di sapidità, come ne esistono a decine.
E allora perché cazzo li ho giocati?
Ci ho pensato un po' e la risposta che ho trovato è che mi rilassano, è il mio equivalente di un cruciverba sotto l'ombrellone. Niente di troppo impegnativo ma ti intrattiene e devi comunque un minimo fare andare il cervello.
E poi c'è il solito rilascio di dopamina di quando ti riescono le cose e ti senti un po' figo, anche solo per un secondo.
Tipo quando ogni tanto in mezzo a tutto sto casino riesci ancora a prenderti cinque minuti per pensare a te stessə e a cos'è che ti fa stare bene.
I giochini di cui abbiamo fatto INDIEgestione questo mese
di “se non ascolti l’episodio 185 del podcast sei merda”
Penny's Big Breakaway è un Sonic 3D (di quelli belli) con una colonna sonora della madonna. C'è la demo se non ti fidi.
Zlime: Return of Demon Lord è un Kirby per GBA apocrifo in Early Access su Steam. Rispetto alla serie Nintendo il twist qui è che il gioco è un po' rogue e un po' GDR, condito con un po' di weeb.
Bloomtown: A Different Story è praticamente il gioco di ruolo di Stranger Things (ma non diciamolo troppo forte). Vibes fortissime da Shin Megami Tensei, ha una pixel art pazzesca e ci infila pure un paio di robe woke.
Neva è Nomada Studio che prende Gris, decide che invece di parlare di lutto si parla di te che invecchi e cerchi di tenerti vicino amici, famiglia e figli e ci aggiunge pure il gameplay. Allerta lacrime.
Card-en-Ciel è Mega Man Battle Network ma più weeb e più roguelike. Due cose che ultimamente vanno forte per qualche motivo. Cringe come possono esserlo solo le cose giapponesi, si gioca però una meraviglia.
Shogun Showdown sempre per il ciclo carte e roguelike (e pixel art bellina) è una cazzo di droga. Una run dura mezz'ora. Una partita pure mezza giornata perché non ti schiodi più.
Creatures of Ava è la risposta woke a Pokémon. È un Monster Collector dove in realtà non catturi i mostri ma ti ci allei e poi ognuno per la sua strada dopo aver risolto i puzzle che parla di cambiamento climatico.
Kill Knight è praticamente Doom Eternal ma con la visuale isometrica. Se ti piacciono le cose sangue & merda vai all in.
A proposito… Ci compri le siga?
Nella stanza aleggiava un odore acre come quello di un sottopassaggio fresco di crack e urina. Stefano lasciò cadere la pistola sul pavimento, il laminato già liso dallo strascichio di centinaia di snickers. Si concesse un respiro di sollievo. Era fatta.
Il mini-episodio di questa settimana è Stefano Calzati che parla di giochini investigativi, tutto per le persone abbonate alla tier di Patreon “Gameromancer col Rolex™”. Puoi ascoltarlo uscendo 5€ oppure attivando la trial gratuita.
Con 1€ ebbasta invece oltre all’accesso a qualcuno dei mini-episodi ti garantisci l’ingresso nel gruppo Telegram riservato a chi paga. Quindi orsù, ricoprici d’oro.
Gratis che posso avere?
Ma naturalmente tutto il content™ che esce su Instagram e Tiktok. Soprattutto un sacco di sale, se poi per disgrazia guardi i commenti. La scorsa settimana sempre a tema The Veilguard è uscito questo Amanda Reel qua:
Spammini Tattici Nucleari™
Come la solitudine diventa arte nei videogiochi
Direttamente dal topic Spammini del gruppone Mattia ha tirato fuori questa roba ragguardevole che mi sono salvato proprio in previsione di questa newsletter. Guardare perchè merita. Che bello quando escono buoni essai sui giochini anche in italiano.
Per l’ennesima volta quest’anno mi ritrovo a fare i conti col fatto che il confine tra destra e sinistra non esiste più, superata una certa soglia di radicalizzazione. Stesse metodologie, stesse dialettiche, stesse camicie anche che non basta differenziare con un pantone diverso.
Sono stato preso di mira su TikTok da una persona che si è risentita per l’etichetta di “Giorgia Meloni del gaming” nonostante contenuti evidentemente di destra, tipo la polemichetta perché nel remake di Silent Hill 2 le donne non sono abbastanza sexy.
Sono stato preso di mira, nella stessa settimana, pure da gente che nominalmente dovrebbe non dico stare dalla mia stessa parte, ma lottare per le mie stesse cose, che invece apparentemente preferisce che non si parli delle vite di seconda classe nell’industria dei lavoratori nonostante due settimane fa si stesse scioperando dietro casa sua in Ubisoft Milano.
La mia risposta a tutto questo è continuare a fare divulgazione. C’è bisogno di qualcosa che argini la destra, perché battersene il cazzo del Gamergate a botte di “è solo 4Chan” c’ha portato ad avere quegli stessi contenuti ricondivisi sui social di chi in Italia i numeri li muove davvero (le coscienze, poi, è tutto da vedere). Ma c’è bisogno che venga fatto con dei mezzi che siano distinguibili da quelli di destra, perché non credo più al fatto che la risposta sia copiarne i modi e usarli per la nostra causa. Quei modi non fanno che generare altra divisione, che nella sinistra dei purity check sappiamo benissimo non essere capaci di gestire.
E quindi queste lenzuolate, i reel per gente appena appena più consapevole della media ma comunque ancora troppo lontana dal capire davvero come stanno le cose.
E quindi un passo alla volta, consapevole che è troppo poco ma che è comunque più di quello che dovrei fare visto che io sono un hobbista, altra gente no.
Inserisco un “letteralmente” tutto per
che revisiona questa newsletter più o meno da quando esiste. La newsletter, non lui.
Facciamo pressione sociale per convincere Garage Gamer a registrare, se no che cazzo lo ha preso a fare uno Yeti nuovo?