Corri, salta, ma soprattutto spara
Considerazioni sui Run 'n' gun generate proceduralmente. Praticamente Returnal.
Hai presente quella volta che Limited Run Games c’aveva mandato il suo Visual Compendium su Nintendo 64 e invece di parlare del libro s’è parlato di tutt’altro? Ecco, Alteri ha voluto fare la stessa cosa ma per Run 'n' Gun: A History of On-Foot Shooters, sempre di Bitmap Books. Che come sempre ha craftato fuori un tomo illustrato di Game Culture mica da ridere, con pure il plus di qualche testimonianza di chi la storia dei Run ‘n’ Gun l’ha fatta davvero.
Ad ogni modo quindi come avrai capito l’editorialino di questa settimana è di Fra. Io mi limito come sempre in questi casi a impostare il resto della newsletter. E direi che si può iniziare dai podcastini. Pure lì si parla di Run ‘n’ Gun ‘sta settimana.
Run ‘nGul…
I Run ‘n’ Gun sono una di quelle cose che tocca un po’ tutta la storia del medium. E oh, per quanto il genere ad oggi sia tutto sommato sparito e l’ultimo exploit veramente pop sia stato Cuphead (che è del 2017 e che è Run ‘n’ Gun perché pareva brutto metterci solo i boss) in realtà se ne trova traccia un po’ dappertutto. Non chiameresti mai Run ‘n’ Gun Returnal, però in realtà ne ha tantissimi elementi.
Il dialogo attorno ai massimi sitemi del videogioco™ di questa settimana parla circa di questo. In mezzo a un numero tutto sommato discreto di bip e censure e una ragguardevole quota ignoranza.
Run 'n' Gun e la più genuina delle sfide
di Francesco “TheLawyer” Alteri
La precisione. La perfezione di ogni singolo movimento, sparo, passo, schivata. Ci sono alcuni videogiocatori che cercano proprio questa sfida. Non è obbligatorio, non è qualcosa che tutti vogliono, è un desiderio, è una parte del grande insieme chiamato “videogioco”. Quel desiderio di diventare sempre migliore del secondo passato prima. Imparare i pattern dei nemici quasi come fossi loro alleato. Conoscerli in ogni loop, in ogni script. Azzerare quell’insieme di possibilità che è il videogioco. Diventare colui che scrive la storia del videogioco contro la sua volontà. Tutto questo è possibile in tantissimi generi ma in particolare in quella tipologia di giochi così squisitamente arcade chiamati Run ‘n’ Gun.
Mi ha colpito tanto del libro di Bitmap Books chiamato, non con molta sorpresa, “Run ‘n’ Gun a history of on foot shooter” proprio questo concetto di precisione, di sfida al punto giusto.
Perché è vero, siamo abituati ad una varietà di giochi diversi ormai e questo è un bene, ma una cosa accomuna tutti quanti: quando c’è una sfida le ingiustizie ci fanno incazzare.
Chi cerca la difficoltà non vuole perdere per una hitbox sbagliata o per un pattern illegibile; vuole perdere perché non è ancora abbastanza bravo. Vuole quel margine di miglioramento. I Run ‘n’ Gun in questo sono perfetti: Bullet Hell, Score Point alla fine del livello, boss fight iconiche e perfettamente leggibili. Non sono troppo facili perché se lo fossero dovresti solo correre da una parte all’altra della mappa dimostrando tutte le fragilità di un genere che è ormai diventato quasi la base del videogioco; ma nemmeno troppo complessi perché sarebbero impossibili da affrontare e imparare.
E sull’iconicità bisogna soffermarsi un attimo, perché nel testo di cui sopra sia Inafune (praticamente il papà di Megaman, o quasi), sia i fratelli Moldenhauer (coloro che hanno partorito quella perla di Cuphead) parlano di come il pixel perfect dei Run ‘n’ Gun si sposi alla perfezione con il design dei nemici ma in particolare dei Boss. Questo perché queste sezioni ti devono rimanere impresse, devi memorizzarle nella testa e nei muscoli; e quindi questa ricerca della precisione, questi che apparentemente sembrano paletti, diventano la fucina delle idee per uno dei generi con i migliori boss della storia del medium.
Chad e Jared Moldenhauer in particolare, hanno scritto un testo di una genuinità disarmante. Di una dolcezza e di un amore per i videogiochi che ho visto difficilmente.
Parlano di come Contra, forse il gioco che insieme a Metal Slug più incarna lo spirito del genere, abbia influenzato le loro vite creative e non. Il desiderio di giocare insieme per affrontare sezioni sempre più difficili. Per arrivare ai titoli di coda dopo giorni di sconfitte. E poi di come hanno riversato tutta la loro passione e conoscenza in quello che è il titolo moderno più conosciuto e riconosciuto del genere.
E di questa voglia di sfida non troviamo esempi solo negli esponenti degli anni successivi ai grandi capostipiti, ma anche in titoli come Doom di Id Software, con il suo punteggio, la sua voglia di correre e sparare in giro anche se non più in scorrimento orizzontale; in titoli come The Binding of Isaac che prendono il bullet hell e gli oggetti e ci mischiano il roguelike, mantenendo però quel gusto di cercare e trovare la boss fight perfetta. Ma si può trovare anche in titoli distanti come Hotline Miami che nel suo loop di gameplay vuole quella sfida, vuole quel correre e sparare; o anche in giochi come Bloodborne che perdono tutto il loop di gameplay, ma mantengono la schivata perfetta, l’attesa, l’imparare i pattern e il colpire al punto giusto, ancora una volta, boss che rimarranno per sempre nella memoria di chi li ha affrontati.
Sarà un po’ per la mia passione per le speedrun, sarà perché amo i videogiochi così tanto da aver bisogno di cercare la perfezione per apprezzarli fino in fondo, sarà perché quando gioco mi piace correre, sbagliare e riprovare: ma i Run ‘n’ Gun anche se sono arrivato troppo tardi per viverli al meglio, mi sono entrati nel cuore e sono contento che Bitmap Books abbia fatto una raccolta così dettagliata e speciale, perché oltre all’indubbia necessità di opere del genere per la preservazione e la diffusione della cultura del e intorno al medium; ha riacceso in me la voglia di tornare a giocare in un periodo che causa lavoro o forse per il caldo non mi trasmetteva l’energia giusta per accendere il PC o una console e rituffarmi nello studio, nella ricerca.
Nella sfida contro il gioco e contro me stesso.
Vorrei poter consigliare un giochino allə miei carə per tutte le occasioni.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Vorrei davvero poterlo fare perché più passano gli anni più mi rendo conto che il divario generazionale ci sta allontanando sempre di più. Che oramai pare davvero ci si sieda a tavola solo per scannarsi e discutere male di politica, dilemmi sociali e via discorrendo.
Perché pochi cazzi, la testa è diversa. Lo siamo pure noi, e lo saremo sempre più. Vuoi per lo spirito di ribellione giovanile che non s'è mai spento, o perché mi pare che più passa il tempo più i punti di vista diventano inconciliabili. E più passa meno ce ne resta.
Fa tristezza saper consigliare i giochini allə amichə ma non a chi condivide la propria tavola con noi, ve'? Col tempo che rischia di inasprire tutto se non lo si cura.
Forse allora conviene prenderci per mano ogni tanto, senza che si debba arrivare ai periodi di merda.
Prima che si finisca come Ellie in The Last of Us parte 2. Che a furia di seguire il rancore quella mano l'ha persa.
Insieme a quel poco che le era stato lasciato.
Separare autore e opera è una stronzata.
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
È una stronzata in tutta la fottuta storia dell'Arte, tant'è che nelle antologie ci fanno studiare "vita e opere" dagli 11 ai 18 anni a prescindere da quale indirizzo scegli per le scuole superiori.
È una stronzata soprattutto se poi continui ad urlare che i videogiochi sono arte. Parole vuote con cui cerchi di giustificare il tuo hobby come se fosse un crimine atroce.
E la vergogna è proprio il motivo per cui vorresti separare opera e autore, perché non ti vuoi sentire in colpa quando giochi Fallout nonostante Chris Avellone sia una delle persone peggiori con cui lavorare se c'hai la fica e l'idea che il tuo giochino del cuore finisca all'indice ti fa proprio incazzare. Quello che succede a New Vegas rimane a New Vegas, no?
Solo che nessuno sano di mente vuole mettere New Vegas al bando o ti considera un molestatore se lo giochi. Perché guarda un po', tu a differenza dell'autore puoi essere separato dall'opera.
Non abbiamo nessun controllo su quello che ci piace.
Non ci possiamo fare niente se Harry Potter per noi è importante nonostante J. K. Rowling sia diventata la versione transfobica di Voldemort. Apprezzare quei 7 libri non ci rende transfobici a nostra volta. Il massimo che si vuole discutere è come leggerli senza arricchire ulteriormente una pazza miliardaria, di condannarti o di assolverti non frega davvero un cazzo a nessuno.
Quindi la prossima volta che vuoi scrivere sotto qualche post che l'autore di cui si sta sparlando "ha fatto anche cose buone" ricordati che non sei lui. E non sei nemmeno quello che ha creato.
Sei solo la conseguenza delle tue scelte. E immagino che tu voglia poter scegliere in modo consapevole, no?
I giapponesi sanno divertirsi molto più di noi.
di Davide “Celens” Celentano
Ok, non è vero un cazzo, hanno un sacco di problemi e sono tipo strani in culo. Però in compenso sanno ancora come ridere di cose che noi tendenzialmente consideriamo stupide o infantili.
Chiunque ha giocato anche solo una manciata di substories di Yakuza può capire facilmente cosa intendo, ma in realtà moltissimi prodotti provenienti da quella zona del globo condividono lo stesso senso dell'umorismo, anche quelli che superficialmente paiono darsi un tono. Chiedere al signor Kojima Hideo per eventuali dubbi.
È un tipo di comicità che non ci piace, noi che apprezziamo di più le cose sottili e il sarcasmo oppure le becere cafonate su cui hanno costruito vent’anni di cinepanettoni.
Ma siamo sicuri non ci piaccia sul serio o magari ci abbiamo semplicemente perso l'abitudine?
Perché vi assicuro che ogni tanto fare gli stupidi è non solo ugualmente divertente, ma pure notevolmente liberatorio.
Al solito, molto di quello che leggi in questa sezione della newsletter poi diventa 3D su Instagram e TikTok. Qualcosina qui non trova posto, per motivi di spazio o perché viene prodotta tra una newsletter e l’altra.
Tipo a Scibetta settimana scorsa è salito il crimine per Mafia: The Old Country e oh, puoi sentirlo rantare in siciliano se metti il follow.
Spammini Tattici Nucleari™
Altra settimana mono-spammino ma per una giusta causa (che poi a latere probabilmente approfondiremo prossimamente pure in podcast).
Se ci leggi da un po’ sai che abbiamo sgamato su YouTube LevelArt, che è un canale che fa essai sul videogioco a la Jacob Geller ma in italiano che amiamo fortissimo. Le persone dietro al progetto stanno sperimentando da relativamente poco cosa vuol dire creare contenuti su Internet. In particolare questa settimana si parla di quanto ti fa girare i coglioni vedere gente che si appropria del lavoro altrui e la fa franca.
Mi dirai (e avresti ragione) che è l’Internet, bitch, funziona e ha sempre funzionato così. E pure a me anni fa saliva il crimine ogni volta che qualcuno provava a clonare Gameromancer con progetti che non ne avevamo minimamente la caratura e infatti checché ne dica il gotha del videoludo™ noi siamo qua e i cloni son tutti morti.
Però capisco pure chi non è ancora disilluso come l’Internet – o forse sarebbe più corretto dire “le persone che abitano Internet” mi ha fatto diventare. Persone che si possono permettere di cambiare idea e riposizionarsi a favor di likes dopo le peggiori pagliacciate mentre a noi non se ne fa passare mezza.
Per ora comunque rimando al video qui sopra. Poi mi piacerebbe fare un po’ di divulgazione fatta decentemente su cosa comporta l’atto di creare su Internet.
Anche questa settimana non s’è registrato vergognosamente nulla per Patreon, ma giuro che nei prossimi 7 giorni esce roba a bomba. La stiam preparando, giocare a Wukong paradossalmente ci sta dando diverse idee e insomma, aspettati cose. Anche perché chiunque altro qui nello Stivale ne sta parlando a cazzo o pretende di averlo fatto dopo un contributo sciacquacoscienza o con un paio di stories che andranno perdute nel tempo come lacrime nella pioggia.
Non penso di dovere un cazzo a nessuno se non a me stesso, e di queste cose infatti si parla non per dovere ma per necessità personale. I videogiochi sono solo uno specchio in cui vedo riflessa l’attualità. Probabilmente fossi in fissa col Cinema o con la Musica o col découpage con la stessa fotta parlerei di queste cose esattamente come parlo di giochini con la maschera di Gameromancer addosso.
Io ho scelto di non giocare WuKong proprio perché mi fa cacare non solo il sessismo delle dichiarazioni dei Dev, ma pure che il fatto che gli influencer che richiedono una chiave del gioco non possono esprimere pareri politici riguardanti l'opera.
E allora vaffanculo.
Questo e le terms and conditions di google per ottenere un pixel 9 pro da recensire (analogamente molto simili a quelle di Wukong, solo che non tocca parlare male del dispositivo) mi hanno fatto così schifo che penso che ormai il Re è nudo: non sarà la prima volta e nemmeno l'ultima che le aziende mettono questi paletti.
Internet, inteso come luogo in cui ottenere informazioni approfondite è praticamente morto, lo abbiamo ucciso noi anche accettando di fare parte a sto teatrino.
Non ci sto, piuttosto lo pirato o lo compro usato se mai mi prenderò una ps5 e mi verrà voglia di giocarlo (cosa che non è avvenuta con Hogwart's Legacy).
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Richard, capisco la tua voglia di suggerire videogiochi alle persone a seconda del loro Mood o periodo di vita, ma te lo dico sulla pelle: ti ascolterà 1 persona su 20.
Io non amo particolarmente i consigli diretti. Ne prendo nota, li asoclto, ma poi alla fine della fiera finisco per dimenticarmene e a comprare quei giochi quando li trovo in saldo, quando magari quel preciso momento è già finito.
Però ci sta, magari sono una persona di merda io.
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Al nostro Celentano, che tira fuori la bellissima serie di Like a Dragon, dico che in realtà quella che noi percepiamo come roba assurda e fuori dagli schemi, prende comunque vita da un paese che ha comunque pregressamente affrontato situazioni simili.
Like a Dragon e Judgment, se inizi a scavare, sono molto radicati nella loro società al punto che secondo me se letti in chiave storica, nonostante le stramberie e le ovvie romanzazzioni (che comunque ti aiutano a capire "l'eroe giapponese"), trovi uno specchio della società estremizzato, ma fedele.
Il problema è quando il team si allontana dal Giappone e prova a fare le stesse cose in Hawaii, proponendo personaggi mosci che esauriscono la narrativa prima della parte finale della storia.