Aggiornamenti sulla morte del giornalismo videoludico
Hanno chiuso due sitini grossi. E ci si dovrebbe stringere il culo
Vox Media ha venduto Polygon a Valnet, che contava già tra i suoi portali dedicati ai giochini Game Rant (lo spin-off videoludico di Screen Rant), TheGamer e Dualshockers.
Uscendo dal giornalismo, Valnet dal 2024 possiede anche OpenCritic — l’alternativa più pop a Metacritic – e Fextralife, che magari non ti dirà niente ma è una delle piattaforme più usate dalla gente per creare wiki a tema videogiochi. Del tipo che se in questi giorni cerchi su Google "Clair Obscur" seguito da il nome di un dungeon a caso del gioco 9 volte su 10 il primo risultato è Fextralife.
Ah, e pare sia un editore di merda con cui lavorare, e infatti come primo atto dell’acquisizione di Polygon ha mandato a casa diverse persone dello staff, tra cui il co-founder e caporedattore della baracca, Chris Plante.
Parallelamente, è successo che anche l’editore dietro Giant Bomb, Fandom, abbia deciso di “ristrutturare” il sito con l’idea di trasformarlo in un sito di guide per videogiochi, tagliando completamente tutta la parte di critica e giornalismo.
Anche qua tra le varie teste saltate c’è quella di Jeff Grubb, e anche Giant Bombcast (di cui era co-host) è stato messo in pausa dall’editore visto che l’altro host (Dan Ryckert, Creative Director del portale) di recente aveva detto durante una diretta che non sarebbe più comparso nel podcast.
Fandom possiede anche Gamespot e nel 2022 s’è comprata Metacritic e GameFaqs. Per quanto riguarda Giant Bomb l’editore ha parlato di “reset strategico e riallineamento dei nostri media brand”.
Tutta questa premessa per dire cosa? Si sono aggiunti altri due chiodi alla bara del giornalismo videoludico. E non è per nulla una buona notizia.
Prima però c’è da spammare un po’ di podcastini.
[podcast] BOIA CHI MILLA!
I trofei sarebbero una cosa pazzesca, se solo non li usassimo per misurarci il cazzo.
Giocare Gris senza la notifica dell’obiettivo che si sblocca alla fine di ogni livello, facendoti capire che non stai giocando un livello ma una delle fasi del lutto, sarebbe un’esperienza completamente diversa. I requisiti minimi per capire Gris sono aver perso qualcuno, e i più fortunati di noi quindi senza questa protesi non potrebbero capire cosa stanno giocando.
Altre volte gli obiettivi diventano un assist per scoprire cose che non sai di un gioco che sei convinto di conoscere a memoria perché fa parte del tuo background culturale, ma di cui non avevi mai carpito davvero tutti i segreti.
Solo che poi succede che li usi per mostrare quanto sei molto più giocatore di quell’altro che Devil May Cry 1 mica l’ha platinato. Quell’ossessione per cui compri giochi scam del cazzo per poter pompare i numeri della tua gamertag, in sfregio a Yoko Taro e all’uso della madonna che ha fatto di questa meccanica in Nier Automata.
I trofei potrebbero fare tantissimo per i videogiochi. E invece li abbiamo ridotti ad un gagliardetto che serve a titillarci l’ego.
Un po’ come con i videogiochi.
[patreon] Quello che non si dice di Clair Obscur: Expedition 33
Non è un discorso sulle dimensioni del team.
Non è un discorso sui difetti del gioco, che pure ci sono anche se la Game Critique si sta ostinando a non volerne parlare perché s'è deciso che siamo dinnanzi al capolavoro assoluto e totalizzante.
È un discorso su come, purtroppo, non siamo in grado di raccontare Clair Obscur nemmeno nelle cose che fa DAVVERO meglio di tantissimi videogiochi. Tripla-A e indie, perché la lezione non dovrebbe essere impartita solo a chi c'ha i soldi, ma pure a chi decide di tirare fuori l'ennesimo roguelike deckbuilder del cazzo senza inventarsi niente.
L’episodio è ascoltabile GRATUITAMENTE su Patreon (a patto di registrarsi) perché abbiamo usato i vostri soldi per comprare Clair Obscur a quel fancazzista di Stefano Calzati. Seguiranno un po’ di contenuti a tema, proprio perché il racconto che si sta facendo sul gioco non è all’altezza del gioco stesso. Intanto beccati 23 minuti gratis.
Se ti venisse voglia di uscirci dei soldi, in ogni caso:
Con 1€ Adotti un DAMS a distanza e sblocchi l’accesso al gruppo privato per chi paga su Telegram. È la tier migliore, costa poco e restituisce tanto;
Con 5€ hai accesso a tutti i Gameromancer col Rolex, dei mini-podcast molto simili a questo su Clair Obscur;
Con 10€ puoi ascoltare la puntata del lunedì del podcast senza censure, e puoi guardarla anche in versione video;
[segamentale]Morto il giornalismo, cazzo ci resta?
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Polygon e Giant Bomb sono solo le due chiusure più recenti in un settore che ormai è un morto che cammina. Gli editori stanno spremendo fino all’ultima goccia quello che resta, tra titolini clickbait a la SpaccioGames alle guide che sì, tirano, ma tirano quando il gioco di cui stai scrivendo le guide diventa un intento di ricerca su Google. Cosa che è facile quando ti esce un Elden Ring, ma quando la Game Industry attraversa annate di magra implica lasciare a casa un sacco di freelancer.
Considerato quello che è stato il “giornalismo videoludico” negli ultimi 20 anni verrebbe da dire che la sua morte alla fine non sia questa gran perdita.
Lo pensavo pure io, poi ho visto chi e cosa ne erediterà il ruolo e sono inorridito.
Il “giornalismo videoludico” è sempre stato in conflitto di interessi. È inevitabile quando non solo ricevi i giochini e gli inviti ai press tour e quello che ti serve per produrre il content™ dalle stesse aziende che fanno videogiochi (e che li promuovono attraverso eventi & tour & cazzi & mazzi), ma perché erano poi sempre quei nomi a pagare per avere spazi pubblicitari sulle tue pagine. Non solo banner, ma anche feature sponsorizzate, approfondimenti che erano marchette che se la tiravano un po’ eccetera.
Per anni i sitini si sono difesi con l’argomentazione che tutte queste cose venivano trattate dall’editore, o comunque da gente che non era poi quella che realizzava i contenuti sponsorizzati o la recensione del Call of Duty che s’è comprato il bannerone gigante per tutto novembre. Una difesa abbastanza del cazzo, perché non dà nessuna rassicurazione sul fatto che l’editore (o chi per lui) non vada dal ragazzino che sta scrivendo la recensione sottolineandogli l’occhio di riguardo, visto che il ragazzino in questo scenario ha più o meno le stesse tutele di Julian Assange in terra statunitense. Non ha un contratto, viene pagato poco e quando va bene a tre mesi dalla consegna del pezzo, non è nemmeno cosciente di quello che sta facendo o dei suoi diritti.
Quando qualche settimana fa Eurogamer Italia è stato redirettato in blocco verso l’edizione internazionale molti ex redattori hanno espresso – lecitamente – il rammarico per aver perso i loro articoli. Chissà quanti di loro erano consapevoli quando stavano scrivendo quell’approfondimento in cui credevano di brutto che pubblicandolo su Eurogamer Italia stavano cedendo il loro diritto d’autore sul pezzo. Chissà quanti han provato a chiedere al caporedattore quando s’è fermato il sito se c’era modo di riottenerlo o no.
In uno scenario dove i content creator sostituiscono al 100% i siti di videogiochi adesso chi tiene i contatti con l’azienda e chi parla dei loro prodotti sono la stessa persona.
E non è un problema solo per le recensioni. In un’epoca dove ci sono una marea di alternative per farsi un’idea sul gioco le recensioni sono uno sticazzi. Il problema sono le notizie e il modo in cui ci vengono raccontate.
Negli scorsi giorni ha tenuto banco Clair Obscur: Expedition 33, il mangiarane-RPG che ha fatto venire la Stendhal a tutto il resto del pianeta. In particolare la questione su cui ci si è scannati è quella sulle dimensioni di Sandfall Interactive, lo sviluppatore del gioco: in un primo momento è stato presentato come un team composto essenzialmente da una trentina di persone, un Davide che stava mostrando ai Golia della Game Industry come si fa un JRPG di successo. Quando qualcuno – qui in Italia s’è speso
prima su Multiplayer e poi nel suo podcast – ha puntualizzato che le teste dietro al gioco sono tipo il doppio la reazione è stata quella di giustificarsi dicendo che “allora pure Undertale e Tunic non li ha sviluppati una persona sola”. Sì. Sarebbe ora di iniziare a parlare per bene delle cose e accreditare a Toby Fox e a Andrew Shouldice il design di Undertale e di Tunic, non tutto lo sforzo nel suo complesso.Non si vuole fare perché appunto la storia di Davide contro Golia stacca biglietti fin dai tempi del Vecchio Testamento, e quindi chi deve dare l’informazione la dà sulla base della sua convenienza.
È tutto molto pericoloso, soprattutto se (come sta già succedendo) i creator poi propongono al pubblico come strumento di valutazione per filtrare le voci da ascoltare proprio il numero di sponsorizzate. “Se siamo stati scelti da Nintendo per parlare di Switch 2 è perché siamo bravi, non perché conosco chi si occupa delle PR per Nintendo da 20 anni”. E sarai anche bravo, ma non hai speso mezza parola sulla guerra senza senso che Nintendo sta facendo a Pocketpair per una supposta violazione dei brevetti sui Pokémon, o su quanto l’azienda abbia fatto e stia facendo schifo nei confronti dell’emulazione di Switch – chiaramente perchè Switch 2 è basata su un’infrastruttura simile per cui il codice sorgente di Yuzu è un pericolo quando vendi Mario Kart World a 90 fischioni.
Se dalla Cosa Videoludica si estromettono le voci che riportano le notizie (non perché “è il loro ruolo” o stronzate del genere, esclusivamente per farci i clicchini, però le riportano) tutto quello che ci resta è chi è sotto contratto con queste stesse aziende.
E questo vale per chi si è creato negli anni una rete di contatti ed è nelle mailing list di chi riceve i comunicati stampa se non direttamente un colpo di telefono quando c’è da produrre. Chi si appoggia a cosa viene riportato da altri potrebbe parlare, se questi “altri” improvvisamente stessero zitti?
La soluzione che si sta provando oltreoceano è quella di diventare davvero indipendenti. Far fuori gli editori e aprire piattaforme come Aftermath, farsi un Patreon o monetizzare la propria newsletter su Substack. Per quanto riguarda l’Italia tutto questo è infattibile, e anche i creator di cui sopra su Patreon annaspano – e infatti preferiscono i soldi delle sub di Twitch o delle pubblicità su Youtube, oltre ai deal con le aziende.
Ad un giocatore italiano che vuole cercare di essere un po’ più consapevole di cosa gravita attorno ai videogiochi consiglierei come prima cosa di abituarsi a leggere in inglese.
In seconda battuta, direi di rassegnarsi all’idea che il futuro vede i creator coi deal con le aziende da una parte e gli hobbisti dall’altra. “Hobbismo” sembra una brutta parola, ma indica più che altro il fatto che moriremo di fame. Dubito che il podcast del succitato Tagliaferri gli dia da mangiare quanto Multiplayer, eppure tra i due contenuti nella sezione spammini qua sotto troverai il secondo.
Tra “professionista” e “professionale” cambiano poche lettere. Quelle poche lettere valgono più dei tanti euro che potrebbe darti Ubisoft per una sponsorizzata.
Altre cose successe questa settimana nei giochini
Macron si congratula per Clair Obscur, a noi tocca Carlo Calenda…
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
La differenza tra Italia e Francia è che Macron si congratula per il successo di Clair Obscur, mentre l'ultima volta che Giorgia Meloni e i videogiochi si sono incrociati è successo Gioventù Ribelle.
Che la Francia ci cachi in faccia a livello di Game Industry era palese almeno dai tempi di Another World.
Éric Chahi è stata una figura così grossa che poi ha ispirato gente tipo Ueda e Kojima, opere tipo ICO e Metal Gear Solid. Per non parlare delle Ubisoft, delle Focus e pure delle Don't Nod capaci di tirare fuori perle tipo il primo Life is Strange, ma pure roba sottovalutatissima tipo Vampyr o Jusant.
Ma non è solo una questione industriale, anzi. Il problema è soprattutto culturale.
Quante volte un personaggio politico se l'è presa coi videogiochi negli ultimi, boh, 10 anni?
Gli stronzi sono dappertutto, certo, figurati se non ce li hanno anche lì dove non usano il bidet. Però sono etichettati subito come stronzi, laddove qua invece Carlo Calenda può sostenere che siano la principale causa di analfabetismo nel Paese e tirare su pure un 4% alle ultime elezioni.
È questo il problema principale. Non abbiamo fame. Non proviamo rabbia. Ci accontentiamo delle briciole che lo Stato ha messo a tavola negli ultimi anni (tipo il First Playable Fund poi non rinnovato e il Tax Credit per chi fa videogiochi) e tanto ci basta per dire che questo è finalmente l'anno dei videogiochi in Italia.
Poi però puntualmente ci tocca importarli dalla Francia. Un po' come con l'energia nucleare.
Mesi e mesi passati con la riproduzione casuale su Spotify per poi ritrovarmi Clair Obscur: Expedition 33 onnipresente nella mia playlist.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Ed era da un bel pezzo che non capitava a dirla tutta. Non so quando è stata l'ultima volta che uno specifico brano mi sia entrato così tanto in testa. Per di più qualcosa di estremamente lontano dai miei gusti musicali.
Invece eccomi qui, ad ascoltare e riascoltare un pezzo cantato di una boss fight (che non diciamo quale che sennò si spoilera e mi menate) tre o quattro volte al giorno. Che già dalla prima volta che l'avevo sentito mi aveva mandato sotto.
Ed è una figata quando ci entra sottopelle quel qualcosa che voleva dirci chi ha scritto quel pezzo. E mettersi a fischiettare un motivetto senza manco rendersene conto forse è il miglior modo per portarselo addosso.
Pensiamoci un secondo: quanto sarebbe diverso il mondo dei videogiochi se al posto di trailer di lancio e dei video di gameplay agli annunci gli studi presentassero solo uno schermo nero con il logo del titolo in questione e nulla più se non la sua colonna sonora di sottofondo?
Quanto sarebbe bello almeno provare a innamorarsi di un videogioco semplicemente ascoltandolo, senza nemmeno guardarlo in faccia?
Giocando Clair Obscur: Expedition 33 mi sono reso conto che forse pure io alla fine sono riuscito a crescere.
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Sono stato [omissis]. Ho sentito la sua stessa frustrazione, la rabbia di non riuscire a farsi ascoltare da chi ti sta vicino ed evitargli la croce. Il peso di quella stessa croce che finisce per gravare sulle tue spalle mentre maledici quel libero arbitrio che alla fine è quello che ci rende umani.
Sono stato anche dall'altra parte di quella frustrazione. Sono stato Maelle, ho rivendicato il mio diritto a sbagliare e a rinnegare le voci nella mia testa che imitavano quelle che mi hanno cresciuto. Il diritto di far parte della mia "spedizione disastro" anche a costo di far soffrire chi sarebbe rimasto a casa ad aspettarmi.
Sono stato Gustave quando ho rinunciato a Sophie perché nella mia testa la felicità se ha una data di scadenza non era vera felicità.
Sono stato tutti loro, ben prima che il gioco uscisse, semplicemente me ne sono accorto solo giocando.
Alla fine ai videogiochi gioco per questo, sono un modo come un altro di accorgermi cos'è successo fuori dallo schermo attraverso quello che ci succede dietro. Per ricordarmelo quando poi sono davanti a un bivio, realizzando che non necessariamente una strada è più giusta dell'altra.
Perché ogni scelta nella vita è come un quadro impressionista dove non capisci quale sia il verso giusto. Ma diventa tutto più facile, se hai avuto il Verso giusto nel party.
Come mi informo?
Per quanto riguarda le cose videoludicamente scorrette: su Instagram, Tiktok e su YouTube esce sostanzialmente ogni giorno una clippetta da 60-90 secondi dove si parla di qualcosa di GameCulturale.
Per le cose dette con il garbo e la professionalità cui si accennava sopra, iscriviti a
così io posso continuare a fare il pagliaccio mentre fa il lavoro dabbene da persona responsabile.[spammini] Clair Obscur: Expedition 33 vale la Torre Eiffel?
Disclaimer: spammo questa cosa nonostante la presenza di Mara Sanvitale di cui non ho particolarmente stima come critica (perchè in buona sostanza spesso e volentieri abbiamo posizioni agli antipodi e ho sicuramente ragione io). Detto questo, è una chiacchiera interessante su un gioco che a me sta piacendo da matti, ma su cui vedo troppo entusiasmo (che poi s’è spento non appena han posticipato GTA LVI).
Ho visto diversi commenti e reazioni a contenuti che parlano di Clair Obscur senza il tono da festa comandata che hanno assunto tutti gli altri che mi hanno basito. “Per una volta che esce un gioco bello ne potreste pure parlare bene”, “non mi va di riflettere, voglio solo godermi l’esperienza” e cose di questo tipo.
Questi commenti sono la morte della consapevolezza.
Ho giocato Clair Obscur per 50 ore nell’ultima settimana. Ci ho pensato ogni giorno in ogni momento in cui non stavo giocando, ho canticchiato la colonna sonora, sto ancora cercando di convincermi che la scelta ho fatto alla fine sia quella giusta, semmai esista una scelta giusta.
Non so quanto durerà. Se tra un anno avrò ancora questi pensieri allora il gioco sarà da ascrivere all’elenco dei capolavori che ho avuto la fortuna di giocare. Se no, sono comunque fortunato ad averlo giocato.
Ma il problema in tutto questo è proprio qua: non ci diamo più il tempo.
Per riflettere su cosa giochiamo, sulle conseguenze del nutrire una cosa che sappiamo essere una bestia “ma almeno questa volta ne beneficia un bel gioco” e quindi ci assolviamo.
Sugli effetti che ha a lungo termine sul settore un atteggiamento così, su quanto possiamo essere credibili se raccontiamo di come un videogioco ci sconvolga la vita ad ogni major release.
Non ci diamo manco più il tempo di ascoltare un minuto di video e capirne i contenuti, perché quando siamo in estasi vogliamo soltanto ascoltare altre voci estasiate, e tutto quello che non lo è sta facendo ragebait per pomparsi le interazioni.
Davvero abbiamo introiettato così tanto il capitalismo che l’idea che non tutto quello che viene fatto dalle altre persone voglia essere lucro non è più contempalta?
Se su GR si facessero delle scelte di convenienza ostentare la sindrome di Stendhal nei confronti di Clair Obscur sarebbe stato molto facile: il gioco ci sta piacendo in modo unanime e, diciamoci la verità, sappiamo scrivere abbastanza bene delle cose che toccano determinate corde emozionali. Essere accusato di “farlo per i like” è probabilmente la cosa che mi ha sempre dato più fastidio in questi anni.
Tutto questo per dire che se sei arrivato qui in fondo, fai parte di quell’1% che si dà ancora del tempo.
E lo dà anche a noi che creiamo cose perché troviamo il bello nello sforzo creativo, più che nel risultato. È questo, 1% da cui bisogna ripartire per il bene della Cosa Videoludica. Non servono milioni di utenti. Bastano poche persone con abbastanza voglia in corpo di discutere e discutersi.
I like non stanno dalla parte della ragione. La discussione, sempre.
il colonnello , a causa di un incidente durante una missione sperimentale, perde le gambe, il braccio destro e l'occhio sinistro. Su di lui viene effettuata una ricostruzione bionica all'avanguardia, che sostituisce gli organi danneggiati con arti bionici.
Se hai capito da quale sinossi ho copiato i ringraziamenti a Pulciaro per la revisione della newsletter, commenta con l’emoticon del robottino.
Il discorso è questo: distruggiamo il giornalismo videoludico (va bene, facciamolo), per sostituirlo con? I vari influencer si sono dimostrati più proni di chiunque altro a scendere a compromessi economici, perché del resto è, letteralmente, il loro lavoro fare marketing. Sennò non si chiamerebbero influencer. Eliminiamo tutti i siti d'informazione per affidarci a cosa?
Per me Simone però il punto non è "distruggiamo il giornalismo videoludico", anche perché si sta autodistruggendo da solo, sotto le regole capitaliste in cui se non c'è più bisogno di qualcosa, allora quel qualcosa va tagliato.
Con cosa può essere sostituito? Con nulla che esiste ancora.
Probabilmente non esisterà una vera e propria alternativa per anni (anche se io non vedo molta differenza tra content creator di videogiochi e ragazzino che scrive le recensioni) oppure ci si butterà su quel qualcosa di più pragmatico e visuale: non lo so, penso che soltanto il tempo ci darà una risposta.
Però è pur vero che secondo me abbiamo sembra parlato di giornalismo videoludico, quando giornalismo (perlomeno in Italia) non era forse il termine più adatto per indicare il settore.
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Per quanto riguarda Clair Obscur: l'ho finito ieri mattina, e anche io sto ancora processando tutta la parte finale.
Alla fine penso di aver fatto quello che andava fatto e paradossalmente dopo quel finale mi va bene così, chiudere il gioco senza fare le sub Quest o un new game +.
Comunque, mando un abbraccio a Richard perché hanno fatto un Final Fantasy X scritto decisamente meglio. (Anche se Clair Obscur è molto di più)