Wokalization e altre invenzioni della destra
Occuparsi della localizzazione di un giochino è essere a tutti gli effetti unə dev. Violenza su Internet inclusa
Parliamo di localizzazione solo quando in un videogioco non c’è.
Fisiologico, perché il tema dei videogiochi prima non doppiati e di recente sempre meno localizzati in italiano è un trigger facile, che come tutti i trigger facili si traduce in tante reazioni di pancia che nutrono la bestia a botte di commenti incazzati sotto le condivisioni dei contenuti che ne parlano.
Il discorso da fare oggi però non è sul perché si localizzano sempre meno videogiochi nella nostra lingua (spoiler: è perché in videogiochi in Italia non si spende un cazzo). E non riguarda nemmeno quello che sta succedendo in Keywords Studio, che ha provato a lasciare a casa 31 dipendenti dalla sede italiana “per colpa della crisi” ma in realtà per essere più appetibile in ottica di vendita dell’azienda. Per il momento la procedura è stata rinviata anche grazie alle due giornate di sciopero dei dipendenti (e poi qualcuno mi dice che fare il sindacato operai & metalmeccanici nei videogiochi non serve. Ceeerto), ma conoscendo il capitale è solo l’atto uno di una farsa già vista troppe volte.
Di queste due cose si è parlato (grazie a Dio, anche se non esiste) abbastanza diffusamente. Quello di cui mi preme parlare è una cosa di cui invece non si sta parlando per un cazzo, ovvero dell’ennesima reincarnazione del Gamergate ma questa volta nella localizzazione del videogiochi: quella che l’alt right del giochino ha già battezzato Wokalization.
Podcastini e poi entriamo nella tana di questo bianconiglio sempre più in camicia nera.
Ti Steamo ma non troppo…
Questa puntata arriva direttamente dal gruppone Telegram #JoinTheRebellion, dove Lale ha suggerito non solo l’argomento (cioè tutti i problemi col monopolio di Steam) ma pure il titolo. E così per collegarci alla newsletter di questa settimana, indovina un po’ qual è uno degli spazi in cui prospera la discussione sulla Wokalization? Esatto, i forum di Steam sui giochini giappini.
Ma i problemi riguardano pure l’onnipresente discoverability, la percentuale di royalties che Valve si prende per ogni transazione (uguale a quella che c’è su console, senza però i filtri che ci sono su console) e… E pigi play e lo scopri oh.
Il naufragio di Costa Concord (e rantini sui soulslike)
Go woke go broke!1!11!1!!uno!!1 E qualche stronzo sta pure dando effettivamente la colpa del flop di Concord – il gioco più atteso su PS5 cfr. Alteri che dice cazzate – al fatto che fossero visibili nella dashboard i pronomi dei vari eroi. Cosa che al massimo implica che Mottura non ci può giocare.
Il leitmotiv di quest’epoca, purtroppo, è questa battaglia sociale dove la destra sta vincendo forte ed è riuscita a convincere un po’ tutti gli altri che “inclusione” sia una brutta parola e che sopratttutto ci stia rovinando i videogiochi. Esattamente quello che sosteneva il Gamergate, e infatti eccoci qua.
Wokalize the Premier
La cosa più inquietante di questa storia è che al momento in cui scrivo questa newsletter cercando “Wokalization” su Google non esce nulla. O meglio, escono thread su Reddit e su Steam di gente che parla di come la lobby woke non paga di aver rovinato i videogiochi occidentali adesso rovina pure quelli orientali, che vengono da una cultura non ancora infettata dal germe dell’inclusività ma finiscono per essere inevitabilmente stravolti da chi ne cura la localizzazione.
Ci sono occorrenze di gente che definisce la cosa come quello che è, ovvero una teoria del complotto pure tutto sommato ridicola, però sono sempre commenti in risposta a chi è arrivato in una discussione aperta in buona fede (tipo “perché tutti si stan lamentando della localizzazione dei giochi Capcom?”) per portare avanti la sua propaganda. Ho letto addirittura un commento che (collegandoci al caso Keywords) diceva una cosa del tipo “meno male che le IA stanno sconguirando la Wokalization, è bello che ci siano degli strumenti per difenderci”. Peccato che gli “strumenti per difenderci” siano di proprietà del padrone e vengano alimentati e addestrati col nostro lavoro, in uno scenario così cyberpunk che William Gibson vorrebbe essere morto per potersi rivoltare nella tomba.
Il presupposto da cui parte la teoria della Wokalization è che in fase di adattamento i testi dell’opera non vengano solo tradotti, ma appunto adattati.
A meno di non chiamarsi Gualtiero Cannarsi l’idea di dover tradurre 1:1 i testi originali è ridicola. Sono diverse le grammatiche, perché se per noi (a meno di non aver fatto il DAMS) la struttura è soggetto-verbo-complementi non è per nulla scontato che sia così nel resto del mondo, soprattutto se il resto del mondo con il mondo latino ha avuto zero a che fare. Sono diverse alcune espressioni idiomatiche, e qui per dire ci sono un sacco di differenze anche all’interno dello stesso mondo occidentale (“perdere le staffe” non si traduce in inglese con “lose your stuff” ok questa era particolarmente battutaccia). Non puoi pretendere che i riferimenti alla cultura pop della tua nazione siano noti in tutto il resto del mondo, e infatti 3/4 dei giocatori di Vampire Survivors non hanno capito perché una delle armi si chiama La Borra e com’è che un personaggio si chiama Porta Ladonna.
Quando decidi di tradurre alla lettera succede pressapoco questo: quanto a te, quanto a quel che non puoi far che tu, per te qualcosa da poter far dovrebbe esserci.
Si parla di adattamento perché, appunto, l’opera va adattata. Il che non vuol dire che è legittimo prendere una roba come La Tata e far diventare la protagonista di Frosinone, ma non si può nemmeno pretendere una fedeltà assoluta col materiale originale. Soprattutto se questo materiale originale viene da una cultura molto diversa dalla nostra e non abbiamo modo di capirne alcuni aspetti.
Chi parla di Wokalization ha la testa nel culo e propaganda l’idea per cui si voglia infettare la cultura giapponese/cinese/coreana con gli isterismi progressisti occidentali.
Non è casuale che infatti (sempre al momento in cui scrivo) cercando “wokalization” su Google sotto nelle ricerche correlate venga fuori “Like a Dragon: Infinite Wealth censored”.
Qui il discorso diventa delicato. Prendendo per esempio il Giappone – che è storiograficamente la cultura orientale che ha avuto più echi in occidente, specie nel gaming – è difficile dipingere uno scenario in cui è tutto bianco o tutto nero. Ci sono opere giapponesi nei videogiochi che già prima del Gamergate toccavano quelle tematiche a cui il Gamergate si opponeva: Depression Quest è del 2013, mentre Goichi Suda già quasi vent’anni prima parlava di depressione in Super Fire Prowrestling Special per SNES (tecnicamente Super Famicom, ma vabbè). La sensazione è che essere autori nel videogioco in Giappone fosse più “facile” che in Occidente, o che quantomeno gli autori giapponesi fossero più sgamati nell’inserire le loro tematiche eludendo il radar corporativo. È difficile tirare una linea netta anche solo prendendo in esame Yoko Taro. Io definirei senza problemi Nier Automata un gioco femminista by design, perché quello che traspare da tantissimi momenti e meccaniche di gioco è un discorso femminista.
Yoko Taro però è anche quello che su X incarna un personaggio assolutamente figlio del patriarcato, che per esempio chiede ai suoi follower di mandargli le loro fanart porno su 2B per potercisi masturbare. Non separo l’autore dall’opera e penso, probabilmente proprio per via di Automata in quanto opera, che quella di Taro sia una recita che serva a irridere le tante contraddizioni che il Giappone vive dal punto di vista sessuale. Ma proprio per via di queste contraddizioni (es: i vagoni della metro per sole donne onde evitare che vengano molestate) non posso avere la sicurezza di aver ragione.
La cultura giapponese – ma Stellar Blade ci ha fatto vedere come valga anche per quella coreana, e Genshin con le sue loline dalla Cina con furore non è che abbia cazzeggiato – è vista come una sorta di ultimo baluardo per tutto quello che il videogioco occidentale non ha più il coraggio di fare. Loro hanno Bayonetta 3, noi imbruttiamo le donne nel remake di Dead Space. È chiaramente una cazzata, perché per quanto le grandi zaibatsu del videoludo abbiano iniziato a produrre diversi contenuti più inclusivi – in nome del denaro e sfruttando le idee di chi poi effettivamente li realizza e in queste idee crede – esce ancora tantissima roba reazionaria che va a solleticare gli immaginari che ha sempre solleticato. Però è una cazzata a cui è facile credere facendo qualche esempio mirato e gonfiando la diatriba ad arte, come successo per la protagonista del prossimo Fable.
E apparentemente è molto facile (o forse, comodo) credere che chi ha localizzato Like a Dragon: Infinite Wealth abbia voluto operare un lavoro di censura finalizzato ad imporre le sue idee e cancellare quelle più scomode dal gioco. E non serve a nulla appellarsi alla ragione constatando che un’operazione del genere in primo luogo non riceverebbe mai l’approvazione della casa madre (figurarsi i suoi soldi) e in seconda battuta comporterebbe delle spese extra per modificare l’opera solo in alcuni mercati in un momento storico dove i publisher di videogiochi appaltano il lavoro in India, licenziano persone e chiudono studi pur di tagliare ovunque sia possibile farlo. Anzi, quando SEGA decide di aggiornare le sue policy su cosa considera molestia ai suoi dipendenti la reazione è sdegnata. SEGA ha scelto di stare dalla parte dellə localizzatorə, fottendosene dei clienti che hanno continuato a comprare i suoi giochi anche nel suo “periodo buio” (che presumo sia tutto quello che è successo dopo Mega Drive fino ad oggi incluso). Tradimento.
La cosa non riguarda solo Yakuza Like a Dragon. Sotto accusa è finita anche Capcom, rea di aver spiegato su X il suo processo di localizzazione (basta cliccare qua e fare un CTRL+F cercando “woke” per piangere). Ci sono un sacco di topic su Steam che parlano di questo femoneno, come per esempio questo dedicato a Eiyuden Chronicle: Hundred Heroes dove addirittura si paventa che Sweet Baby Inc. (e come ti sbagli) si sia appropriata del lavoro di localizzazione del gioco.
Tutto questo risponde ad uno dei più classici pattern dell’alt-right, che è il motivo dietro al loro successo politico nell’ultima decade.
In un’epoca di recessione e instabilità tutto quello che devi fare è appellarti al Qvando c’era LVI (cioè alla nostalgia) e suggerire come non solo si stesse meglio prima, ma come oggi ci sia la volontà di cancellare quel “prima”. Il Gamergate tra le altre cose faceva proselitismo attraverso l’idea che cose come Depression Quest avrebbero finito per contagiare tutti i videogiochi, facendoli sparire per come li conosciamo noi e reinventandoli come una forma d’arte al soldo della lobby gay. È la stessa cosa che si dice adesso quando si evoca la wokeness: non si coglie la differenza tra la realtà dei fatti (persone che vogliono poter rappresentare le istanze di cui fanno parte e le idee in cui credono, ora che le aziende hanno intravisto la possibilità di mungerle in nome del Dio Denaro) e le invenzioni della destra, che parla di un’inclusione forzata e di minoranze che vogliono colpevolizzare l’essere bianchi e etero, soprattutto se maschi. Non c’è nessuna volontà di trasformare ciò che si è in una colpa, ad eccezione di qualche circolo estremista che nemmeno si rende conto di quanto è vicino ai modi e alle idee della destra e le ha solo reskinnate. Ma agitare lo spauracchio funziona, e le persone spaventate finiranno sempre e comunque per fare cazzate, soprattutto quando gli si sussurra all’orecchio che costruiremo un muro per tenere quegli altri fuori e anzi, il muro glielo faremo pure pagare.
In tutto questo a farne le spese è una categoria che appunto finisce sotto i riflettori solo quando questi sono quelli di Alcatraz mentre stanno cercando dellə fuggiascə.
Chi si occupa di localizzazione non è considerato uno sviluppatore anche se in effetti è una parte importante di come poi un’opera viene recepita sui vari mercati. Spesso non viene creditato per il suo lavoro – anche se la tendenza sta un po’ cambiando – e questo gli impedisce di costruirsi un peso mediatico per poter quantomeno pensare di poter combattere, tanto contro un’azienda che approfitta della sua posizione dominante quanto contro queste teorie del complotto che poi si traducono in episodi di tossicità ai suoi danni.
Come dico ormai da tre newsletter a questa parte in questo periodo sto giocando Black Myth: Wukong. Chi ha lavorato alla localizzazione italiana del titolo si è fattə un culo come un secchio, nonostante se ne sia parlato un po’ a cazzo di cane. Non penso che sia stata una passeggiata di salute adattare quello che de facto si pone come sequel di un’opera che dalle nostre parti è molto più nota per i suoi derivati – è un po’ come se Dante’s Inferno fosse più famoso della Commedia di Dante, per capirci. Ci sono delle parti cantate di cui bisogna fare un adattamento che tenga conto anche della musicalità, parti in rima che bisogna per quanto possibile mantenere in rima anche in italiano.
Sarebbe stato molto più facile sbattersene di tutto questo e fare un lavoro di sostituzione della cultura originale come sostiene si faccia la teoria della wokalization. Eppure si è presa la strada più impervia. Allo stesso modo sarebbe stato molto più facile non pubblicare i Black Myth: Wukong e gli Stellar Blade, se esistesse una dittatura del politicamente corretto per cui certe rappresentazioni non si possono più dare – e oh, che i dev siano fasci o no Wukong non è che dia ‘sta rappresentazione edificante della donna.
La cosa più triste di tutta questa storia, forse, è che nonostante tutto si continua a lavorare per il nostro ludibrio nonostante l’ingratitudine che se ne ricava.
I videogiochi come sempre si rivelano migliori di noi. Chissà se un giorno saremo alla loro altezza.
Ah, per approfondire un po’ cosa vuol dire lavorare nella localizzazione c’è questo vecchio DLC con ospite Beatrice Ceruti:
Baldur's Gate è una figata, ma è troppo videogioco.
di Davide “Celens” Celentano
Non ho mai partecipato a una campagna di DnD, non per poco interesse nell'esperienza ma per paura di doverlo trasformare in un impegno più grande di quanto potessi o volessi permettermi. Quindi prendete quanto segue come le sincere opinioni di un novellino.
Il mood e l'atmosfera sono pressoché perfetti, come anche l'incipit narrativo che mette in moto gli eventi principali. Ma proprio per questo, non capisco a cosa servono tutti quei cazzo di encounter coi nemici.
Il combat system a turni, che poi è proprio lo stesso di DnD, sicuramente non brilla per la necessità di strategizzare, almeno a difficoltà normali. Quindi finisci per scegliere un party efficace e usare sempre le stesse 3 o 4 azioni. Rinse and repeat.
Oltretutto gli NPC mi sembrano davvero bisognosi di una camomilla, visto quanto è facile farli incazzare scegliendo opzioni di dialogo che non siano esattamente e precisamente quello che vogliono sentirsi dire.
Per come la vedo io nei giochi di ruolo la parte figa è proprio ruolare. Che senso ha interromperlo così spesso?
Abbiamo finalmente la lista di tutti i videogiochi woke mai pubblicati grazie ai Woke Content Detector di Steam.
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Ed ebbene sì, Final Fantasy 7 remake è woke. Contiene sottili messaggi pro-LGBTQIA+, c'è una scena di cross-dressing obbligatoria e un sacco di discorsi sul climate change.
Ebbene sì, Star Wars: Knight of the Old Republic è woke. Ci sono un sacco di personaggi queer secondari, Juhani è lesbica e stando alle parole dei dev la sua amica Belaya è stata addirittura una sua amante.
Ebbene sì, Bioshock Infinite è woke. Ci sono un sacco di messaggi contro la società occidentale e a favore del DEI (diversity, equity & inclusion). Gli abitanti di Columbia sono delle caricature razziste pensate per irridere l'America del '900.
Ebbene sì, Elden Ring è woke. Quando crei il personaggio non ti fa scegliere il suo genere ma solo il suo body-type ed è infarcito di messaggi pro-LGBTQIA+.
Ebbene sì, Baldur's Gate è woke. Ci sono le romance omosessuali e personaggi apertamente gay e trans. Baldur's Gate 2 è un po' meno woke, c'è solo una pozione per diventare donna.
Mi sta venendo il dubbio che forse i videogiochi siano sempre stati woke. Solo che prima non ci facevano così tanta paura le idee diverse dalle nostre e non avevamo bisogno di fare l'indice dei videogiochi troppo inclusivi per motivi del cazzo.
Però oh, se il woke ti fa così tanta paura puoi giocare capolavori non-woke come Final Fantasy XV, se non ti rompi il cazzo di pigiare quadrato per 35 ore.
Pensa a quanto un leak possa migliorarti la giornata ogni tanto.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Pensiamo a Helldivers 2, che in questo annus horribilis 2024 a inizio febbraio ci ha preso TUTTƏ, che siamo andatə talmente fuori di testa da intasare dei server che mai nella vita quellə di Arrowhead pensavano di riempire.
Pensiamo poi anche al suo mezzo fallimento dovuto a Sony, con un allarme rientrato per il rotto della cuffia. E pensiamo pure al calo fisiologico che hanno poi i titoli dopo un tot ma che ogni tanto ci mandi un messaggio allə amicə per tornare a sparare.
Pensiamo poi a un leak. Una schermata della mappa galattica che ci mostra la terza fazione in arrivo e noi che non ci capiamo più un cazzo. Che lo vogliamo subito, adesso, che non vediamo l'ora di tornare sul Destroyer per andare a prendere quelle piovre a calci in culo.
Questo a riprova che non servono trailer del costo di milioni pagati e strapagati. Non servono canzoni famose. Non servono tutti sti fronzoli.
Basta l'idea giusta al momento giusto.
Spammini Tattici Nucleari™
People Make Games è uno dei sempre meno motivi per alzarsi ogni mattina dal letto e continuare a combattere tutto quello che c’è di male nel circo dei giochini. La scorsa settimana hanno tirato fuori questo video pazzesco su come i governi utilizzino i giochi (non solo i videogiochi, ma un po’ tutta l’industria del ludo) per trovare sempre nuovə stronzə per combattere le prossime guerre.
Ne avevo parlato con molta meno competenza e in modo molto più verticale un paio di annetti fa su PoteriArcani La Rivista Ufficiale™, al secolo The Games Machine, in questo pezzo che credo di aver già spammato più volte ma stacce lo stesso.
Premi L2 per fare politica
Ovvero, quando i videogiochi prendono posizione (anche senza prenderla).
Elargisci un po’ di click ai padroni che mi pagano troppo poco →
La cosa che trovo davvero allarmante, in mezzo a tante cose allarmanti, è che per l’ennesima volta davanti a tutte queste stronzate di destra non ci sia una presa di posizione netta ed esplicita da parte di creator e addetti ai lavori. Anzi, qualcuno sempre più spesso indulge nelle narrative dell’altra parte, come ha fatto ben vedere Wukong qualche settimana fa.
La sinistra del videogioco qui in Italia purtroppo assomiglia fin troppo al PD. Correnti e correntine, radicalismi chic a caso, gente che nel momento in cui ci entri un po’ in confidenza inizia a provare a farti pressione affinché tu escluda altra gente.
Se vuoi entrare nel circolino le regole sono queste. Vorrei poter scrivere che allora col circolino ho chiuso per questo, ma la verità è che mi rendo conto che negli ultimi, boh, due anni, purtroppo il circolino come Gameromancer l’abbiamo sposato. Ed è stato un errore, perché per fare bene Gameromancer devi stare sul cazzo a tuttə e non c’è nessuna via di uscita da questo: senza quella distanza lì, senza accettare il rischio che dopo la prossima critica mossa al sistema tu possa perdere pezzi e finirci, in pezzi, non puoi portare avanti questo esercizio di divulgazione-mista-sborra.
Gli ultimi 17 anni hanno mostrato in modo eloquente che il PD non potrà mai essere la risposta. Solo che di risposte a questo punto non me ne ballano più in tasca, tutte quelle che avevo un po’ alla volta si son dimostrate sbagliate.
Non so se in qualche modo si possa arginare la destra o siamo inevitabilmente condannati a vivere un Gamergate all’anno – perché dal 2020 in poi ne è effettivamente scoppiato uno all’anno.
Tutto quello che so è che vale ancora la pena continuare a provarci. L’alternativa vorrebbe dire smettere di amare i videogiochi.
Perché quando ami qualcosa, beh, lotti.
Soliti ringraziamenti allə disadattatə che pagano il Patreon (settimana prossima si droppa della roba di valore, promesso) e che più in generale sostengono la Ribellione. E a Pulciaro che revisiona ‘sta merda.
La gente non si rende conto che gli adattamenti migliori sono quelli che traslitterano le figure retoriche legate alla cultura originale alla cultura della lingua da tradurre.
Gli adattamenti degli anime di Gintama e di Slam Dunk secondo me sono eccellenti.
Dunque non è sempre possibile creare adattamenti 1 a 1.
Questo succede un po' per tutto, ma è giusto così.
Comunque Infinite Wealth è il capitolo più brutto di Like a Dragon, ma la colpa non è dell'adattamento, è proprio perché si allontana dal Giappone e cade facilmente in alcuni tropes stereotipizzati (e soprattutto rovina il lavoro fatto su ichiban del primo capitolo. Un uomo che aiuta a smantellare la Yakuza, diventa un coglione che se la fa fare sotto il naso 7 volte. Personaggi appesi che hanno esaurito il loro plot che vengono trascinati alla fine con scuse poco convincenti e chi più ne ha, più ne metta)
La tata di Frosinone ci ha risparmiato le battutine su quanto Israele spacchi e dovrebbe annientare i pezzenti palestinesi