Fuori di Senua
Se le chiami “esperienze audiovisive” perché “i videogiochi sono un’altra cosa”, è meglio che ti dai all’ippica. Horto muso.
Detto sinceramente: non me ne frega un cazzo di parlare delle recensioni di Hellblade 2 e dei voti di Hellblade 2. La cosa più interessante (leggi: preoccupante) è il dibattito attorno al gioco, che è solo un casus belli per riportare in auge certi discorsi che nel 2024 sono tutt’altro che superati – con buona pace di Luca Wright che si indigna per gli editoriali sul divertimento pubblicati su TGM.
Si scrive videogioco, leggiamo giocattolo
Il lavoro di critici videoludici è esclusivamente determinare se il tal gioco è divertente o meno da giocare, e il motivo”. Diverse testate hanno sostenuto questo mantra lungo gli anni, e le vicende intorno a ‘Colui che non si può nominare‘ hanno risollevato nella mia testa la domanda.
Ma davvero tutto quello che può fare un videogioco è divertire?
Il dibattito è ancora qui. Al massimo arriva alla sua forma più hipster, quella in cui si vuole decidere arbitrariamente cos’è videogioco e cosa no, con l’intento ora di squalificare ora di glorificare tutte quelle opere che, per un motivo o per l’altro, si arriva a sostenere non essere videogiochi. È successo a Metal Gear Solid 2. È successo a Ico. È successo ad Hellblade. Era inevitabile succedesse anche con Hellblade 2.
Oggi allora parliamo del perché far figli e figliastri in modo arbitrario, utilizzare etichette del cazzo come “walking simulator” in senso denigratorio (però poi la scena del treno di Uncharted 2 che sborrata zio!) e altre posizioni del genere denotino un approccio al videogioco buono giusto per chi se la fa ancora nei pantaloni pensando alla peggior generazione della storia del medium, cioè la settima. Ho pure dovuto segare un post perché sennò la mail sforava le dimensioni massime, veda un po’ lei.
Prima però i podcastini clickbait™.
Levate er fiasco a Enotria (e non puoi scrivere monopolio senza IGN)
Ecco che fine hanno fatto i soldi delle mazzette che le major elargiscono ai giornalisty per le recensioni positive: li hanno usati per comprarsi Eurogamer!
Stronzate a parte, si torna a dover parlare di come sta l’informazione videoludica. Spoiler: male. Altro spoiler: forse anche perché è ferma al punto che lamentavo nell’intro e adesso approfondiamo. Oltre a quello, è uscita la demo di Enotria. È DAMS Souls. Non dico altro.
Monografia: Ninja Theory
Non voglio essere quel poserone intellettualoide che ti dice che studiando la storia di Ninja Theory gli intenti dietro Hellblade (ed Hellblade 2) diventino chiarissimi. Però sinceramente mi aspettavo che tra gli “addetti ai lavori” almeno mezzo stronzo certi discorsi li tirasse fuori. Perchè “fare videogiochi non è per un cazzo facile. Non basta solo aggiungere mostri, i mostri bisogna combatterli, bisogna tenere duro ben sapendo che alla fine tutto si riduce ad una mera questione di culo.
Ma Cambridge una volta era parte della provincia romana della Britannia. E da quelle parti si diceva una cosa: Audentes Fortuna iuvat. La fortuna aiuta gli audaci.
E cosa c’è di più audace della storia che stai per sentire?”
Se ti piacciono i nostri podcastini, beh, ci sono un po’ di modi per sostenerci.
Ascoltarli. Duh.
Già che ci sei, visto che i podcast non sono Twitch e vivono nella totale assenza di feedback, entrare nel gruppo Telegram e commentare gli episodi assieme a noi utilizzando le apposite emoticons scelte a fine puntata. Quando ce lo ricordiamo. Quando non ce lo ricordiamo va bene lo stesso eh;
Se proprio ti senti generoso, Patreon. Ogni settimana – sort of – esce un mini-episodio per chi caccia 5€, ma ti basta anche solo 1€ per entrare nel gruppo Patreon dei VIPS e sentirci sparlare di tuttə. Esattamente come nel gruppo pubblico, ma con la riccanza.
Questa settimana la pillola per chi esce il grano è l’Avvocato Francesco “The DAMS” Alteri che s’è sparato la demo di Nirvana Noir. Seguono considerazioni dietro paywall.
Wanking Simulator
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Ammesso e non concesso che “esperienza audiovisiva” sia un formulario anche solo vagamente significativo, nel contesto del videogioco è sbagliato. Per definizione. Perché il videogioco – tieniti forte, sto per sconvolgerti – è VIDEO e GIOCO. Nei videogiochi si gioca. Più correttamente, bisognerebbe dire che nei videogiochi si interagisce. E sì, pure farti pigiare X durante un quick time event conta, infatti ci accolliamo David Cage da 25 anni.
E quindi visto che il concetto di interazione è centrale non so in che altri termini metterla se non “audiovisivi i miei coglioni”.
Vuoi fare il fenomeno, giocando al gioco di chi si sborra addosso più copiosamente? Dovresti dire “esperienza audio-ludo-visiva”. È una supercazzola, è orripilante e continua a non aver senso, però almeno stai dicendo qualcosa di esatto. Inutile, ma esatto.
Specificato questo, l’oggetto del contendere riemerso per colpa di Hellblade 2 è: cos’è davvero un videogioco? L’esigenza di coniare un termine a parte, che sia per un intento nobilitante o denigratorio nei confronti dell’opera poco importa, nasce perché si percepisce che da qualche parte alcune di quelle esperienze che chiamiamo abitualmente videogiochi siano qualcosa di diverso. Vediamo cosa dice Wikipedia (che riprende Treccani):
Il videogioco è un gioco gestito da un dispositivo elettronico che consente di interagire con le immagini di uno schermo.[1][2]
Fin qui, tutto ok. Chiunque è in grado di vedere la differenza tra un flipper e The Last of Us Parte II. C’è un computer o comunque un dispositivo elettronico che processa i nostri input e restituisce degli output sullo schermo. La necessità di trovare una nuova etichetta (inventarsi un nuovo medium?) non può nascere da una cosa su cui siamo tendenzialmente tutti d’accordo. Volendo fare le punte al cazzo si potrebbe obiettare che lo schermo non sia necessario ed esistono videogiochi che per esempio si giocano solo col sonoro sfruttando l’audio 3D. Però è un’obiezione che non riguarda il caso in esame, quindi possiamo lasciarla da parte. In questo contesto specifico, per forza di cose, quello che viene messo in discussione non è il video, ma il gioco: in Hellblade 2 si gioca poco, allo stesso modo di quello che succede nei walking simulator (che si chiamano così perché la tesi sostenuta è “si va in giro e basta”) e volendo pure nei giochi di Kojima perché oh, ci sono più filmati che ore giocate. Sulla definizione di gioco Wikipedia va a riprendere Play di Catherine Garvey (lascio il riferimento bibliografico nella citazione):
Il gioco è un'attività volontaria e intrinsecamente motivata, svolta a scopo ricreativo[3].
Quindi il gioco per essere tale deve essere volontario. Se ti stanno obbligando a giocare, non stai giocando. Direi che questo squalifica tutte le recensioni di videogiochi [ba dum tss].
La parola chiave, cazzate a parte, è “ricreativo”. La definizione non evoca i concetti che solitamente leghiamo al gioco, quei concetti che in Hellblade/in The Stanley Parable/in Metal Gear Solid 2 vengono meno come quello di divertimento. Ai tempi dell’editoriale pubblicato su TGM linkato in apertura Luca Wright & Co. portavano come argomentazione “contro” quell’editoriale il fatto che in effetti l’accademia avesse già deciso una vita fa che i videogiochi non devono per forza essere divertenti. Anche perché “divertente” non vuol dire un cazzo, è una percezione personale che semmai poi va indagata per capire perché ti stai divertendo e cosa stai effettivamente etichettando come “divertimento” (che è un concetto che spesso viene usato in sostituzione di “intrattenimento”).
In effetti è vero che l’accademia sulla questione ha già deliberato, ma la mia risposta rimane la stessa dell’epoca: si è dimenticata di avvisare la gente.
All’epoca quell’editoriale nasceva perché su IGN Internazionale (che questa settimana peraltro s’è comprato Eurogamer, Rock Paper Shotgun, NintendoLife e un sacco di altri portali) chi si stava occupando della recensione di Hogwarts Legacy sosteneva che il suo lavoro fosse dire al pubblico se un gioco è divertente o no. Lo si diceva sostanzialmente per schivare le implicazioni politiche e sociali dietro l’uscita e la copertura di Hogwarts Legacy (agevolo podcastino che la spiega bene), mentre oggi lo si dice nel tentativo di tracciare una linea arbitraria tra cosa è gioco e cosa non lo è.
La linea però non va posizionata lì. Non c’entra il divertimento, non c’entra quante ore passi col pad stretto tra le mani e quante invece appoggiandolo sul divano mentre Kojima fa l’ennesimo pippone sui meme. Frega una sega che in Hellblade 2 si gioca poco, il punto è che si gioca. Si gioca perché si interagisce con l’opera e questa risponde in modo più o meno significativo, e da questo scaturisce ludibrio. L’interazione con Hellblade 2 ha delle finalità ricreative, e tanto basta a renderlo un gioco – e per estensione un videogioco. È lampante poi che le finalità dell’opera siano completamente diverse da quelle del videogioco medio. Laddove Nintendo racconta storie che sono funzionali alle meccaniche di gioco che propone esistono videogiochi che fanno il contrario, e mettono le meccaniche di gioco al servizio della storia. Il fine è opposto, ma il linguaggio utilizzato è il medesimo.
Andy Kaufman in uno dei suoi show mandava in onda delle immagini disturbate per istigare nello spettatore la reazione ad alzarsi e controllare la sua TV, pensando ad un malfunzionamento o a problemi di segnale. Quelle immagini rimangono comunque TV, non sono un’altra cosa. Allo stesso modo Hideo Kojima che fa qualcosa di molto simile durante la fight con Psycho Mantis, mettendo a schermo un fittizio canale “Hideo” rimane all’interno dei confini del videogioco, come lo è The Stanley Parable quando porta avanti le sue riflessioni sull’assenza di libero arbitrio nel medium.
Il fatto che mediamente i videogiochi non siano essai o documentari non deve diventare un assoluto.
Anzi, il fatto che finalmente attorno al loro cinquantesimo anno di vita i videogiochi si siano accorti che possono iniziare a raccontare loro stessi usando il linguaggio che gli è proprio è quella che in qualunque altra arte chiameremmo maturità. Sentiamo il bisogno di dover legittimare il medium (peraltro sempre usando le stesse narrative: guarda quanti soldi fatturano, guarda che bella Firenze in Assassin’s Creed eccetera) quando la legittimazione è già qui. E questo impoverisce il discorso, creando espressioni da Wanking Simulator come “esperienza audiovisiva”.
A questo punto entra in ballo una cosa su cui gli addetti ai lavori fanno negazionismo da sempre: la soggettività. Spero non ti sconvolga il fatto che tutti i giochi citati fino a questo momento possono piacere o no. In questi giorni sto discutendo molto spesso con Scibetta privatamente sull’antica diatriba “meglio Metal Gear Solid 2 o 3?”. Nessuno dei due ha ragione, ed entrambi capiamo il punto di vista dell’altro anche senza condividerlo. Per me Metal Gear Solid 2 è pazzesco perché al di là dei discorsi profetici che porta avanti sull’Internet, l’informazione e la libertà è un gioco talmente pazzo in culo da giocare al cosplay brutto del primo Metal Gear Solid fino a 3 ore dalla sua fine e poi spiegarti il motivo perché lo ha fatto. Come a dirti “ciao, sono volutamente brutto perché solo in questo modo potevo farti capire cosa stracazzo stanno facendo i Patriots usando il gameplay” (poi Kojima è Kojima e te lo deve pure buttare in faccia lo spiegone, ma sorvoliamo). Per lui Metal Gear Solid 3 è meglio perché è un normalone gameplay first è un gioco più completo, praticamente perfetto in tutte le sue parti, che riesce ad essere un grandissimo survival e a sfociare pure nell’immersive sim molto più di quanto sia mai riuscita a fare la serie sia prima che dopo.
Non gli posso dare torto.
A livello di ludo Snake Eater è un gioiello, e lo è ancora oggi. Però non è Metal Gear Solid 2. Non ha quella carica avanguardistica, quella voglia di sovversione, non mi ha fatto sentire allo stesso modo quanto sodisfacente potesse essere un videogioco che ti scopa il cervello. E trovate del genere ce ne sono tantissime, nella storia del medium. Non sempre sono centrali nell’opera quanto lo sono in un Hellblade o in un gioco a caso di Fumito Ueda (posto che Shadow of the Colossus credo che sia ad oggi il gioco che riesce ad essere meglio a cavallo di questi due mondi). In Final Fantasy 7 originale, l’avrò portato come esempio mille volte, il lutto viene tradotto in meccanica di gioco quando il gioco toglie Aerith per sempre dal party lasciandoti senza healer per quello che resta dei tre CD. Unsighted fa qualcosa di simile: ogni personaggio ha un suo Time-to-Live, scaduto quello va in berserk e/o muore. Questo include PNG importantissimi come i mercanti e quelli che permettono di potenziare le proprie armi. Eppure sto ancora piangendo per quel robot-pescatore con cui ho parlato una volta e non sono riuscito a salvarlo.
Si fa negazionismo sulla soggettività perché implicherebbe ammettere che non siamo più autorevoli degli altri. Che quello che diciamo non è Vero e non fa parte di qualche Sacra Scrittura sulla base del fatto che c’hai il tesserino da giornalista pubblicista o scrivi per una nota testata. Io scrivo per una nota testata, e questo dovrebbe bastare per smentire qualunque presunzione di autorevolezza. Al di là di questo, spesso è proprio lì che nascono delle storture: bisogna avere a che fare con le idee del cazzo del caporedattore o dell’editore in un settore che sta morendo ogni giorno un po’ di più, e quindi si tiene ben stretta la passata grandeur nella paura di perdere i pochi lettori che pagano il biglietto anche per queste storture del secolo scorso.
Per quanto non sia d’accordo con i voti “bassi” di Hellblade (del primo, perché il secondo lo sto ancora a giocà) accetto che esistano approcci al videogioco diversi dal mio, che preferiscono scomporre l’opera in compartimenti stagni come si faceva sulle vecchie riviste per darne un giudizio che è la somma, o la media, delle sue parti. Si chiama post-strutturalismo, e per me è la cosa più prossima alla blasfemia che si possa fare nei videogiochi. Ma ne accetto l’esistenza, finché non mi viene richiesto di conformarmi o non vengo squalificato dal dibattito perché ho un approccio diverso.
Per quanto mi riguarda io in un videogioco cerco qualcosa che porti il medium su strade poco battute. In un’epoca dove ormai abbiamo raggiunto o quasi il massimo della complessità tecnica che si potrà mai vedere dietro uno schermo, ho bisogno delle idee per poter dire “wow”.
Se cerchi una cosa diversa, che ci fai qui?
Blu cobalto vs Naughty Blue
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
– Questo blu cobalto è proprio fico.
– Dici?
– Sì, secondo me è proprio il colore giusto per la camera da letto. È... Perfetto.
– Ma ce li hai gli occhi??!?
– Come scusa?
– Quel blu cobalto è tutta apparenza. Ok, sembra fico a guardarlo adesso, ma quante ore durerà?
– Ma che vuol dire...
– E poi ho letto che è riflettente solo per 30 fotogrammi al secondo.
– E sticazzi, è una camera da letto scusa.
– Non è quello il punto! Se pensi che questo blu cobalto sia "perfetto" allora il Naughty Blue? È altrettanto bello, sappiamo per certo che non ti annoia per un sacco di tempo e in più ha una giocabilità da paura.
– Giocabilità?
– Nel senso che è facile da stendere sulle pareti.
– Senti a me piace il blu cobalto. Penso proprio che lo prenderò.
– Ma scusa almeno prima provalo col Paint Pass! Metti che ti fa schifo, hai buttato 50€.
– Ma non mi fa schifo. Sono un grandissimo fan dell'altro blu fatto della stessa azienda. Ci ho fatto le pareti del bagno.
– Ma allora però sei patologico! Non è nemmeno corretto chiamarla "vernice" questa, mancano tutte quelle cose che ti aspetti una vernice abbia! E poi scusa 7 anni di miscelazione per 'sta roba qui?
– Senti, è la mia camera, sta in casa mia, per quanto mi riguarda è perfetto per le mie esigenze. Se a te non piace quando rifarai il soggiorno basta che ne compri un altro, che ti frega del colore delle pareti di dove dormo io?
– Forse hai ragione. Alla fine a me non cambia nulla. Anzi, scusa se ho esagerato, poteva essere una bella discussione sulle migliori vernici per le stanze da letto e ho mandato tutto in vacca. Però...
– Però cosa.
– Però dai, il Naughty Blue sul cartongesso PS5 riflette a 60 fps. Sei sicuro?
– Giuro che la prossima volta ci vengo da solo da Brico.
Quando Guitar Hero morì si portò dietro pure i miei sogni, e ci mise sopra il simbolo del dollaro.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Tra tutti i vari passatempi della mia adolescenza quella chitarra di plastica aveva davvero un posto speciale, forse pure più importante di quella Squier parcheggiata ai piedi del letto e collegata ad un piccolo amplificatore che usavo per provare a sentirmi una rockstar, tra le quattro mura della mia cameretta.
Guitar Hero invece ci riusciva in quella goffa impresa, a farmi sentire davvero un "one-man show" che a vederlo da fuori si copriva di ridicolo con una chitarra giocattolo, ma che su quel palco era al centro dell'attenzione di un pubblico fatto di pixel.
E le scalette, cazzo quanto erano belle quelle tracklist fatte di nomi di artistə che magari manco conoscevo ma che non perdevo tempo a cercarmi sul Mulo per riversarlə in un CD o in un lettore MP3, di quelli che non ho idea di quante batterie stilo ci ho bruciato dentro.
Ci ho riprovato con i titoli apocrifi dopo, quelli che se volevi i brani dovevi strisciarci la carta in culo alla pirateria, ma non è più la stessa cosa, vuoi anche perché quella chitarra coi bottoni rendeva tutto diverso.
Guitar Hero mi ha fatto sognare a occhi aperti e orecchie spalancate, cosa che mi riesce solo quando metto le cuffie nelle orecchie.
Forse ha fatto sognare un po' tutta la mia generazione di sognatorə e aspiranti musicistə.
Che quel pezzo di plastica lo tenevamo in braccio manco fosse la Ibanez di Steve Vai, e che avremmo dato l'occhio destro per avere la sua mano sinistra.
Spammini Tattici Nucleari™
Questa settimana mi permetto di inserire solo una cosa vista l’mportanza. Se ho fatto i conti bene con oggi si è concluso lo sciopero dellə impiegatə di The Hollywood Reporter Roma. È l’ennesimo segnale di un’editoria (in generale) che sembra purtroppo stia tirando le ultime. Nello specifico di THW è un gran peccato perché ci lavora Damiano D’Agostino e oh, prima che a marzo venissero segnalati i primi problemi sembrava il classico amico che c’e l’aveva fatta a trasformare questa passione per la scrittura in qualcosa con cui mettere il pane a tavola.
Spammo a fatto compiuto (dopo comunque aver spammato sia su Telegram che su Instagram) perché è comunque importante diffondere il più possibile la voce di chi sta provando a combattere per la professione. Soprattutto se overall è una persona che non meriterebbe di perderla a differenza di troppa altra gente.
Il comunicato sindacale dell’assemblea dei giornalisti di THR Roma del 21 maggio 2024
Per un quadro più verticale sull’editoria del videogioco invece:
Mi ha sempre fatto ridere che 3/4 dei parigini del videoludo inorridirebbero all’idea che si possa imparare tanto sul game design semplicemente giocando (come sostiene Game Maker’s Toolkit nel suo ultimo video) e poi in realtà non riescano a fare dei discorsi che secondo la stessa accademia dovrebbero essere teoria del gioco proprio basilare. Tant’è che sono nozioni che conosco pure io che nella vita ho fatto l’ITI e di certo Game Studies non ne ho, ho solo tanta curiosità in generale che mi porta a farmi delle domande e a confrontarmi con idee diverse dalle mie prima di decidere se faccio bene ad essere saldo su una convinzione.
I videogiochi in realtà sono una cosa semplice. La definizione di Play che citavo prima è perfetta proprio per questo. Non c’è bisogno di complicare le cose inventando nuove etichette e distingui arbitrari tra una cosa e l’altra, soprattutto se lo si fa perché ci si vergogna di chi si è. Io i videogiochi li amo alla luce del sole. Ci ho fondato anche un sito una vita fa che si chiamava così, e per quanto suoni cringe o normalone quel nome io i videogiochi li amo ancora.
Amano i videogiochi anche le persone con cui ho discusso in questi giorni i contenuti di questa newsletter.
I Patreon, Dipi e
soprattutto, con cui c’è stata una discussione di 400 e più messaggi che magari poi facciamo diventare un podcast. Ma anche gente fuori dal giro di Gameromancer con cui ho scambiato commenti su Facebook (sarà che rispetto al solito i very giornalisty erano occupati ad endorsare i loro stessi contenuti e non si sono cagati i discorsi attorno ai contenuti).Ami i videogiochi pure tu, se sei arrivato qui in fondo, magari a costo di rileggere cose che andando predicando dal 2019 inevitabilmente devi aver già sentito uscire dalla mia bocca. O dalla mia tastiera. Temo che siamo rimasti sempre in meno noi che li amiamo e siano sempre di più quelli che li usano perché così possono bearsi della loro stessa voce, narcisi che si occupano della Cosa Videoludica per e con lucro.
Vabè, già sapete che del discorso sui videogiochi quoto tutto.
A Richard volevo dire di provare Frets on Fire.
È gratuito e ci schiaffi un boato di canzoni, un tempo si trovavano molto bene pure quelle di tutti i Guitar Hero e Rock Band.
Peraltro Gh3 best GH, ma ho amato altrettanto rock band per PSP, che era il connubio tra "mi sento gli MP3 in autobus e gioco cantando"