Vedi a che servono gli scioperi?
Mentre te eri al mare per scappare dal referendum SAG-AFTRA ha tipo salvato il doppiaggio
Nella settimana in cui Israele usa l’Intelligenza Artificiale per creare delle ad di YouTube che fanno propaganda sugli aiuti che mandano a Gaza (e no, non sto inventando nulla) SAG-AFTRA ha ottenuto una vittoria abbastanza rilevante sul tema “IA e doppiaggi”.
La cosa, peraltro, arriva qualche settimana dopo che Epic Games aveva aggiunto a Fornite un’IA capace di interagire coi giocatori usando la voce di James Earl Jones, ovvero quella di Darth Vader. Cosa che ha creato un sacco di cazzi perché insomma, se l’IA che parla con la voce di un morto inizia a bestemmiare come Roberto Da Crema a La Fattoria c’è un tema da affrontare.
Prima di tutto però via ai podcastini di questa settimana.
[podcast] A Short Hype: troppe conferenze stanno ammazzando i videogiochi?
Lo State of Play è stato una merda perché non si è vista roba nuova, quando tra manco una settimana esce Death Stranding 2 e ad ottobre tocca a Ghost of Yotei.
La Summer Game Fest ci ha buttato in faccia due ore di annunci di cui se va bene ce ne ricordiamo 3. Konami ha sovrascritto gli annunci delle modalità ispirate ad Ape Escape (PlayStation 5 e PC) e Bomberman (su Xbox) di Metal Gear Solid Delta annunciando il remake del primo Silent Hill. Di cui non c’ha manco mostrato un cazzo.
L’hype dura sempre di meno. È andata bene a Clair Obscur che è riuscito a far parlare di se per un mese, ma la norma è vedere i videogiochi dead on arrival già quando arrivano sullo scaffale. Anche quando alle spalle c’hai i soldi come Wanderstop o la nomea come Kingdom Come Deliverance 2, uscito a febbraio e dimenticato già ben prima dell’arrivo di marzo.
Abbiamo un problema di memoria che esula dagli hard disk sempre più inadeguati a salvarci dentro i giochi.
Ad essere inadeguati siamo noi che non teniamo più vivi i videogiochi che ci piacciono perché è più soddisfacente andare appresso a quelli che ancora devono nascere.
[segamentale] Un esempio pratico di quanto cazzo servano i sindacati
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Oh ma sei proprio sicurə che gli scioperi non servano a un cazzo? Perché oltreoceano hanno appena salvato il mondo del doppiaggio.
Un anno fa il sindacato SAG-AFTRA ha indetto uno sciopero mastodontico, che ha coinvolto non solo il mondo dei videogiochi ma anche quello della televisione e del cinema, per pretendere migliori condizioni lavorative e soprattutto uno scudo contro le IA.
Infatti c'era il rischio concreto che le voci dellə addettə ai lavori finissero campionate e poi utilizzate senza il loro consenso, e magari due tutele in più non sarebbero guastate.
Giusto per fare un esempio, mica a tuttə piacerebbe ritrovare la propria voce su uno spot propagandistico poco legittimo finanziato da Israele. Anch'esso poco legittimo ma ehy, fuori la politica da ste cose.
Comunque, ci è voluto un anno ma finalmente l'accordo è quasi pronto per essere ratificato e ripartire con i lavori, ma proprio per questo dovrebbe preoccuparsi un po' chiunque lavori in questo mondo.
Perché oramai già nei magazzini Amazon lə scaffalistə stanno venendo rimpiazzatə da dei robot, ma bene o male tuttə siamo nel mirino una volta abbattuti i costi di produzione per i nostri rimpiazzi. E nel caso delle IA sticazzi se questi costi si traducono in svariate centinaia di litri d'acqua, tanto chi muore di sete sta dalla parte povera del mondo.
Insomma, di là c'è voluto un anno. Noi qui quand'è che si comincia a pensare che forse è il caso di mettere da parte i colori della squadra politica e capire che siamo tuttə sulla stessa barca?
Pensaci al prossimo Jobs Act.
Altre cose successe nei giochini questa settimana
Il CEO di Larian la fa un po’ troppo semplice…
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Se per vincere un GOTY bastasse fare il gioco che vorresti giocare Prey non avrebbe fatto una fine di merda.
Negli ultimi 6 mesi si è citato alla morte il discorso che Swen Vincke, il boss di Larian, ha fatto ritirando il The Game Award vinto da Baldur's Gate 3. Lo si è citato alla morte perché i videogiochi hanno contratto quella brutta malattia che si chiama capitalismo, e ormai da un bel po' pensano soprattutto a come fotterci più soldi possibili.
In mancanza di anticorpi, non ci resta che stringerci attorno a quei due o tre giochi che ce l'hanno fatta senza buttarcela in culo.
Solo che esistono un sacco di altri giochi che hanno avuto gli stessi riguardi e, guarda un po', siamo stati noi a non volerceli inculare.
Prey è solo uno dei tanti esempi che potrei fare. Sono sicuro che Housemarque in Returnal abbia messo lo stesso cuore che Larian ha messo in Baldur's Gate 3. Quei due stronzi che hanno deciso di chiamarsi Foreign Gnome di sicuro non hanno deciso di fare Everhood perché nella loro testa un weird-RPG che parla di spiritualità aveva più mercato di un boomer shooter o dei clonazzi di Slay the Spire.
Capisco perché il discorso di Vinckle abbia presa su di noi, dopo aver sentito quelle parole però dovremmo rifletterci su invece di rimanere al livello più superficiale.
Perché per un Baldur's Gate 3 che ce la fa ci sono almeno 10 Prey che floppano.
Al mondo dei videogiochi serve una controparte equa e solidale.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Non passa giorno senza che venga fuori qualche merdata portata avanti da qualche CEO che sfrutta la sua forza lavoro fino all'osso. O che licenzia una parte in nome della crisi del settore per poi intascarsi un goloso premio produzione a chiusura dell'anno fiscale.
Oppure che se ne esca con qualche cazzata da fascio, tipo "l'inclusione forzata a tutti i costi" nominata da Matthew Karch l'anno scorso. O Thomas Mahler che da la colpa delle recensioni negative di No Rest for the Wicked al fatto che il gioco "non vuole leccare le scarpe al DEI". O chi più ne ha più ne metta, tanto è dai tempi del Gamergate che andiamo avanti così.
Il problema è che gira che ti rigira ogni volta che compro un gioco finisce che mi chiedo a chi cazzo sto dando i miei soldi e il mio tempo. E non sempre si possono avere le risposte subito, mica tuttə sono come una certa autrice britannica che flexa fieramente di finanziare associazioni transfobiche.
Bisogna aspettare il passo falso, che sta gente esca allo scoperto. Incrociando le dita che lo facciano prima che si sia passata la carta sul POS.
E si, può essere una rottura di cazzo perché questo processo richiede pazienza e un attimo di voglia di informarsi, ma sinceramente mi sono anche stufato di vedere i miei soldi in mano a gente del cazzo.
Opera e autore non si separano mai prima della seconda generazione di discendenza. E anche in quel caso, meglio fare un giro sul loro LinkedIn.
Tornare su San Andreas è l’esperienza più meta che ho fatto quest’anno.
di Andrea “Incidente diplomatico” Scibetta
Non lo rimettevo su da almeno 15 anni. A nove anni lo iniziavo, “stavolta sul serio eh” e dopo tre missioni stavo col jetpack o con 5 stelline a scappare dalla polizia. Ancora e ancora e ancora. Quell’intro l’avrò vista decine di volte.
San Andreas all’epoca era tipo IL videogioco. C’era quello e poi c’erano gli altri. C’aveva giocato veramente chiunque.
Adesso a 30 anni tornarci su è strano. Iniziarlo e vedere Carl tornare a casa, per me che come lui sono tornato a casa. Vederlo assalito dai ricordi guardando la foto della madre, mentre sente le voci di lui e i fratelli da bambini… io sento le voci della mia infanzia.
Io che ci gioco col vicino, che ne parlo coi compagni a scuola, l’amico fissato che doveva fare il massimo punteggio coi trick della bici o qualche altra stronzata, il tizio pallista che diceva di aver fatto chissà quale follia impossibile in game.
Oggi in San Andreas ci vedo il razzismo, il disagio sociale, gli anni ‘90, i chiaroscuri statunitensi. Ma ci vedo anche la provincia siciliana di metà anni 2000. Pezzi di memoria che restano lì, pronti a riemergere dopo un “Grove Street, home”.
Mentre pensavo a tutte queste cose è squillato il mio telefono nella vita reale ed è entrato Big Smoke con la mazza.
E sono tornato al presente.
Come tenersi aggiornati
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Sempre a tema giochini & politica & summer game fest lo Scibettone la scorsa settimana ha craftato questo reel uscito poi sui summenzionati social che vale la pena di essere visto:
[spammini] La storia di Clair Obscur: Expedition 33
L’ultimo Off The Records di Storie di Videogame mi ha dato molto da riflettere, soprattutto perché è uscito qualche giorno prima che Geoff sul palco della Summer Game Fest rilanciasse la fregnaccia dei 30 dev che fanno il giocone della madonna (che fregnaccia rimane) e che di conseguenza si tornasse a puntare il dito contro Guillaume Broche e il suo privilegio economico.
La tesi è che Broche è figlio di una famiglia che c’ha la fresca pesante (tipo che gestiscono il più importante fondo fiduciario di Francia) e che quindi questo lo abbia agevolato nella vita.
Cosa che grazie al cazzo, perché è chiaro che se vieni da una famiglia ricca e dici a tuo padre che vuoi sviluppare videogiochi magari te lo lascia fare laddove i miei m’han risposto “vatt a truvà na fatica”.
Questo in nessun modo rende Broche una merda. Il privilegio non è una colpa, è una responsabilità.
Broche avrà potuto giocare in easy mode, ma c’è un sacco di altra gente che nonostante la easy mode non ha mai concluso un cazzo. Rimanendo su ex-Ubisoft, Jade Raymond ne è l’esempio perfetto: ha avuto dei ruoli importantissimi in azienda (altro che il tirocinio nel team di Might & Magic, questa andava a presentare Assassin’s Creed sul palco dell’E3), eppure una volta uscita da Ubisoft non solo col cazzo che ha tirato fuori qualcosa di paragonabile a Clair Obscur, ma non è mai riuscita nemmeno a finire lo sviluppo di un suo videogioco. E ha preso soldi da chiunque, eh, da Google fino a PlayStation.
È molto importante parlare delle storie che ci sono dietro i videogame, e in particolare nel caso di Clair Obscur sottolineare come non sia stato sviluppato da 30 persone e come abbia avuto accesso ad un budget che un sacco di gente si sogna. Però non bisogna scadere nella caccia alle streghe, soprattutto davanti ad un gioco che ha un sacco di problemi, ma anche un sacco di cuore.
A complemento del discorso fatto da Andrea Porta su Storie infatti ripropongo il nostro Clair Obscur spiegato bene* di qualche settimana fa.
*il gioco potrebbe essere spiegato male.
Narrative come quelle che hanno polarizzato la discussione attorno a Clair Obscur (sia la storia dei 30 dev che quella dei soldi del papy) sono problematiche perché nascondono, nemmeno troppo bene, tentativi di sfruttare i videogiochi per posizionarsi.
È molto facile portare avanti una battaglia che parla di quanto sia iniquo – e in effetti lo è, ne parlava già People Make Games due anni fa – il Game Developement. Però lo si fa con la mano sinistra mentre con la mano destra si continuano a nutrire i propri spazi con la figura di Geoff Keighley, una delle massime emanazioni di questa iniquità.
Bisogna più in generale stare molto attenti a sposare un’altra narrativa molto populista (e quindi molto efficace su una determinata audience) ma anche molto del cazzo: gli AAA hanno finito le idee e quindi gli indie sono meglio.
La maggior parte dei videogiochi indipendenti – anche davvero indipendenti, nel senso di fatti nel sottoscala e auto-pubblicati su Steam – segue dei trend commerciali che è molto facile decifrare. Escono tanti metroidvania perché oggi vanno di moda. Escono tanti boomer shooter perché vanno di moda. Escono una valanga di cloni di Slay the Spire e Vampire Survivors, perché Slay the Spire e Vampire Survivors hanno fatto una valanga di soldi.
Le idee non sono esclusive dell’indie. I soldi non sono esclusivi dei Tripla-A. Fare bei videogiochi non è una garanzia di successo (come detto, vedasi Prey).
L’unica garanzia che possiamo dare agli sviluppatori è diventare un pubblico più consapevole.
Prego, non c’è di che.
è un ricercatore reclutato da suo fratello Alex per andare a lavorare a bordo di Talos I. Durante una serie di test iniziali qualcosa va storto e una delle persone coinvolte viene attaccata da un Typhon Typo fuori controllo.
Se hai capito la reference, commenta con l’emoticon della tazza.