Una specie di monografia di Team Ladybug
Che lecitamente ti chiederai chi cazzo sono, ma Calzati non vede l'ora di rispondere...
Che il 2D sia il nuovo sexy ormai è vero da talmente tanti anni da rendere sbagliata la parola “nuovo”. È stato grande protagonista dell’esplosione dell’indie, ha tirato dentro pure le major e insomma, se due-tre generazioni fa era roba concepibile solo su console portatili perché “di serie B” oggi giocare roba a due dimensioni è normalizzatissimo. A parte per quegli stronzi che vogliono il graficone sempre e comunque.
Calzati ultimamente è finito sotto con BLADE CHIMERA – scritto in caps perché così vogliono i dev – e, visto che il giochino lo ha comprato con i soldi del Patreon di Gameromancer, era il minimo che restituisse qualcosa. Quindi eccoci a quella che penso sia la prima monografia mai scritta al mondo di Team Ladybug.
Però prima come al solito advertizziamo un po’ di podcastini…
[podcast] Il viaggio nei videogiochi – unWired
Negli anni ‘80 il viaggio on the road visto dagli occhi di chi stava guidando la carica del videogioco era più o meno così: palme, pixel art, Ferrari Testarossa e biondona di ordinanza sul sedile del passeggero. Era Out Run, in buona sostanza, andare da A a B senza nessuna finalità precisa ma solo per assaporare cosa succede tra quei due punti.
In parallelo invece c’è chi va da A a B, viaggiando da sinistra a destra, in nome di uno scopo più alto. Salvare la principessa, sconfiggere il cattivo, compiere insomma un viaggio diverso da quello di Yu Suzuki e più simile al viaggio dell’eroe di Edward Burnett Tylor.
Queste due storie – questi due viaggi – ad un certo punto si sovrappongono. Trovano la stessa soluzione di design nell’Open World, ci portano fuori dal pianeta Terra, slegando il filo di quel controller cablato che ci teneva legati allo SNES per permetterci di arrivare su Giove.
Questo è unWired. Premi play e lasciati accompagnare.
[paga] 5 meccaniche del cazzo che i dev infilano ovunque
Tameem Antoniades – il founder di Ninja Theory – lo chiamava "design by spreadshit". Io che non sono una delle menti dietro Hellblade userei un'espressione blasfema che paragona la divinità principale della religione cattolica ad un qualche quadrumane da cortile.
In ogni caso queste sono le 5 (+1) meccaniche del cazzo che i dev si ostinano a mettere comunque nei videogiochi nonostante siano la merda.
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Ah sì, e al solito
che oltre a pagare ha pure revisionato la 103esima newsletter di fila.
[segamentale] Coccinelle e neo-2D
di Stefano "Il Cummenda" Calzati
Se bazzicate l’ambiente indie e non siete indifferenti alle produzioni bidimensionali, è possibile che vi siate imbattuti, anche solo attraverso screenshot o video, in una delle 4 opere firmate Team Ladybug. E se non vi è capitato, capitatelo, buttateci un occhio. Un piccolo studio giapponese che ha mosso i suoi primi passi sviluppando uno dei tanti capitoli della saga cross-mediale Touhou, nello specifico il metroidvania Luna Nights, e sta ora riportando a livelli da golden age l’action 2D e lo shmup, con grande conoscenza della materia.
Una piccola Inti Creates, capace, con precisione scientifica, di aggiungere elementi di gameplay freschi a strutture che più classiche non esistono.
Altra caratteristica saliente dei loro lavori è la pixel art che li avvolge, tra le più eleganti e dettagliate in circolazione, subito riconducibile allo studio e alla sua identità visiva. Mai eccessivamente barocca e sbrodolata da penalizzare la leggibilità dell’azione ma animata da dio e super evocativa. Il labirinto psicologico che racchiude i ricordi distorti del regno di Lodoss vissuto dell’alta elfa Deedlit in Record of Lodoss: Deedlit in Wonder Labyrinth, le basi orbitanti, i pianeti alieni e lo spazio profondo di Drainus, il Giappone cyberpunk infestato da demoni del recentissimo Blade Chimera.
Una sorta di trittico delle meraviglie dell’azione 2D, se lo chiedete a me, che sguazzo nel gioco di genere: Record of Lodoss War tradisce una certa fascinazione per Ikaruga, con la protagonista capace di evocare uno spirito dell’aria e uno del fuoco per cambiare “polo” e scampare a trappole, infliggere danni elementali ai nemici e soprattutto combattere contro boss spettacolari e divertentissimi, in scontri dall’anima bullet hell. Un Igavania (che si diverte anche a plagiare con eleganza la saga Konami) dalla forte carica arcade, molto veloce, compatto, con una messinscena non indifferente e un racconto di fondo non banale, anche a livello tematico (traumi, accettazione del lutto).
Drainus riprende la fascinazione per Ikaruga portandola nello stesso contesto del capolavoro Treasure, ovvero lo shoot ‘em up, tirando fuori quello che per me è tranquillamente un top 3 di genere del decennio, insieme a Resogun e un altro che lascio scegliere a voi (io direi Jet Lancer). Qua la meccanica identitaria non è però l’inversione di polo, ma la possibilità di assorbire i proiettili nemici con lo scudo (la cui energia non è ovviamente infinita) per poi restituirli agli stessi sotto forma di raggi laser devastanti. Uno shooter dall’indole tattica, dove è essenziale il posizionamento più dei riflessi e dove si ha un controllo totale sulle strumentazioni della navicella (compresa la velocità di movimento a schermo), con la possibilità di equipaggiarla di tutto punto plasmando lo stile di combattimento e affrontare livelli scenograficamente spettacolari, zeppi di esaltanti momenti di dogfighting.
Per descrivere Blade Chimera, invece, immaginatevi un metroidvania ambientato in una città infestata da demoni, un po’ alla Ghostwire Tokyo o alla Persona, con un protagonista un po’ Solid Snake che come professione dà la caccia ai suddetti mostri, braccio armato di un’organizzazione politico-religiosa che protegge la gente comune da questa minaccia. Le cose si fanno interessanti quando, ammazzando un boss, lo spirito che lo possedeva, Lux, decide di unirsi a lui e accompagnarlo, trasformandosi all’occorrenza in una spada fluttuante che lancia magie e può trasformarsi in uno scudo, oltre che in uno strumento per risolvere semplici puzzle ambientali.
Molto più esplorativo e aperto di Lodoss (più Metroid che Vania), zeppo anche qui di scene madri, scontri ben coreografati e rivelazioni sconcertanti sul mondo di gioco. Un po’ il meglio dei due titoli precedenti in un’unica avventura, forse per questo meno travolgente e sorprendente ma di una solidità invidiabile, tipo quelle persone che sanno sempre quello che vogliono e non hanno dubbi o tentennamenti (non ho la minima idea di come ci si senta ma è una sensazione che credo sia vicina a quella che mi ha trasmesso Blade Chimera).
Quello che sorprende è anche l’estrema precisione, molto nipponica, indubbiamente, dei controlli e il conseguente piacere tattile, senza soluzione di continuità, che i titoli Team Ladybug trasmettono. Che sia prendere il controllo di Deedlit, fluttuare a mezz’aria, menare fendenti eleganti, schivare con una piroetta all’indietro emulando Alucard, oppure di Shin, col suo fare da militare scafato, la possibilità di equipaggiare due armi (da fuoco e da taglio), utilizzare il potere di Lux per proteggersi mentre si spara, volteggiare utilizzandola come rampino, creare piattaforme in fasi platform concitate.
Il risultato è un godimento action bidimensionale totale.
Ma pure la fluidità nel pilotare il Drainus dell’omonimo titolo è come indossare un guanto. Una sensazione di agilità e potenza che scomoda paragoni importanti, R-Type, Progear, lo stesso Ikaruga (che, secondo me, non si controlla così bene). Sarà anche irrilevante dal punto di vista critico, ma il fatto che l’abbia finito 4 volte vorrà pur dire qualcosa!
Costano una manciata di €, durano il giusto ma sono rigiocabili all’infinito come i migliori giochi GBA e, last but not least, hanno delle soundtrack della madonna, ma davvero clamorose. Ascoltate una traccia qualsiasi di Record of Lodoss War su YouTube per farvi un’idea. Composizioni stupende, bassi potenti, atmosfera a palla.
Io sono innamoratissimo di 'sto team e ogni volta non vedo l’ora di scoprire cosa si inventeranno per proseguire il loro piano di creare il gioco di genere (2D) perfetto.
[attualità]
Nemmeno i soldi di Marvel Rivals garantiscono il tuo posto di lavoro.
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Mentre NetEase stava rivedendo l'economia del gioco per fare un servizietto a chi ci sta giocando – da poco è possibile scambiare i Chrono Tokens del pass battaglia con la valuta in-game per comprare skin e cosmetici – evidentemente ha pensato che fosse il caso di fare spending review pure tra il team di sviluppo.
Il risultato è che praticamente tutto il team guidato dal Director Thaddeus Sasser è a spasso.
O quantomeno, sono a spasso diverse delle figure centrali dello studio di Seattle, in particolare Garry McGee, che Sasser sul suo profilo Linkedin racconta essere la persona dietro diverse idee di game design e meccaniche di gioco di Rivals. La beffa è che bisogna credere a Sasser sulla parola, visto che il lavoro di McGee appartiene de facto a NetEase e quindi non può essere spoilerato perché probabilmente finirà per caratterizzare le prossime season del gioco.
È uno dei problemi più noti all'interno di un'industria che spesso e volentieri non vuole dare il giusto riconoscimento artistico a chi porta i suoi videogiochi al successo. Al pubblico fondamentalmente interessa continuare a picchiare Iron Man vestiti da Omoragno.
Poco importa se poi chi ti ha ideato il tuo giochino del cuore deve affidarsi alla famigerata "mano invisibile" di un mercato che si autoregola praticando fisting non consenziente a chi i videogiochi li fa.
Dalla grande N del Sol Levante due notizie per noi. Una buona e l'altra cattiva.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Quella cattiva è che "c'hai mica presente i tuoi voucher per i giochi Nintendo Switch? Ecco, se li volevi usare per i giochini Switch 2 te li puoi dare in culo."
Che vabbè, da chi non ci sorprenderebbe vederlo sputarsi sul cazzo all'idea di rivenderci per la quarta volta lo stesso titolo ma su una console nuova un po' ce lo si può aspettare eh.
Quello che non ci si aspettava assolutamente era la buona notizia, ovvero che gli americani ne azzeccassero una in questo 2025 . Infatti viene fuori che l'Ufficio brevetti statunitense ha preso 22 delle 23 richieste mosse da Nintendo (che è ancora in piena guerra con Pocket Pair) e le ha rispedite a Kyoto, con tanto di "anche meno".
Ma sta roba basterà? Spoiler: manco per il cazzo.
Perché vale la pena ricordare che i brevetti sulle meccaniche di gioco (peraltro l'unico approvato è stato proprio sul meccanismo di cattura) sono la cazzo di morte per chi non ha abbastanza soldi per pagare un dazio. E vale pure la pena ricordare che qualche mese fa l'analista Serkan Toto aveva candidamente detto che Nintendo ha registrato talmente tanti brevetti nella sua vita da poter fare causa a tutta la cazzo di industria videoludica.
Vale la pena ricordare anche che se non vedremo mai più quella figata del Nemesis System, che da solo valeva il tempo di giocarsi l'Ombra di Mordor e sempre da solo si faceva perdonare quella merda di endgame che avevano rifilato a l'Ombra della Guerra è colpa di un cazzo di brevetto, che è in mano a Warner almeno fino al 2035.
Ma soprattutto, vale la pena ricordare che di noi a Nintendo non frega un cazzo. Non le serve che la gente la difenda davanti alle accuse di moneygrabbing che le vengono mosse addosso, c'ha gli avvocati apposta.
A lei frega soltanto dei nostri soldi.
L'Arabia Saudita sta per comprare Pokémon Go e la cosa dovrebbe farti cacare addosso.
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Stando a Bloomberg (che non è mica SpaccioGames) Niantic starebbe trattando per vendere la sua divisione gaming a Scopely, società che era stata acquistata dal Savvy Games Group (parte del Fondo Investimenti Pubblici saudita) per una cosa come 5 miliardi.
Niantic cederebbe tutto il cucuzzaro per una cifra attorno ai 3 miliardi e mezzo, fondamentalmente perché tutti i tentativi di replicare il successo di Pokémon Go con altre IP hanno avuto più o meno lo stesso successo di Anthem.
Sia nel 2022 che nel 2023 Niantic ha cancellato diversi progetti mai usciti, e sempre nel 2022 si è staccata la spina a Harry Potter: Wizards Unite.
Il Savvy Games Group al momento possiede il 7.5% delle azioni di Nintendo, il 9% di EA, il 5% di Capcom e per dirne un'altra il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman qualche anno fa s'è comprato il 96% di SNK – aka quelli di Metal Slug.
Parliamo un sacco di come l'Arabia Saudita stia reclutando pesante in ambito calcistico, ma anche nei videogiochi non si scherza mica.
Considerando lo stato dei diritti civili da quelle parti sicuramente più di qualcuno si starà sputando sul cazzo pensando a quando non vedremo più le bandiere LGBTQIA+ nei giochini.
Io però mi chiedo quale sarebbe la reazione di queste persone una volta scambiata "l'ideologia woke" con la propaganda araba.
Dove mi informo?
Quello che leggi qui sopra diventa tipicamente un Amanda Reel™ su Instagram e Tiktok, e ovviamente anche uno Short di YouTube. Lì trovi anche il podcast se ti pesa il culo ascoltarlo su Spotify e la versione video delle newsletter più fiche. Per cui se non metti il follow sei una persona male.
[spammini] The Last Guardian mi fa male al cuore
Non si poteva non segnalare questa uscita di
in cui Pacione parla di una roba che pensavo di aver sperimentato solo io, ma che invece con gioia grazie a lui e a Jacob Geller ho scoperto essere una specie di livellatore.È per questo che i videogiochi andrebbero raccontati anche così, non solo trama-gameplay-grafica e l’elenco dei difetti della telecamera per dissuadere la gente dal giocare una delle più grandi esperienze disponibili su PS4.
E ci aggiungo anche il video di Geller che citavo prima perché sono 15 minuti di altissimo essai videoludico misto cazzi suoi. Spettacolare.
Vorrei aver scoperto che c’erano delle alternative prima.
Ho ufficialmente iniziato a pubblicare stronzate a tema videogiochi il 20 marzo 2013 perché sul blog che poi dopo un golpe sarebbe diventato I Love Videogames cercavano gente e mi son detto “e allora gli mando una recensione di DmC Devil May Cry visto che nessuno c’ha capito un cazzo”. Per i successivi 4 anni non ho messo in discussione il dogma per cui se volevi fare il sitino di videogiochi dovevi fare il clone di Multiplayer.it. Le news sperando che qualche “vip” su Facebook le rispostasse per farci un po’ di accessi, le recensioni uguali a quelle di tutti gli altri, tutto freddo-oggettivo-e-imparziale perché è questo il vero giornalismo.
Nel 2013 il New Games Journalism, per fare un esempio di approcci alternativi, esisteva già da 9 anni. Non ne sapevo un cazzo, e quindi mi sono sentito estremamente incompreso quando ho iniziato a mettere in discussione il dogma.
Non ero esattamente incompreso, Calzati (purtroppo) nella mia vita c’era già e in questa ribellione che poi sarebbe diventata La Ribellione™ era in prima linea. Forzavamo la mano, mettevamo punchline e parolacce in modo gratuito e immotivato nei testi, iniziavamo a fare queste recensioni dove alla fine non si parlava più di tanto del gioco e dove lo schema trama-gameplay-grafica andava a fanculo.
Facendo così abbiamo spaccato una redazione, e ancora oggi chi c’era su Ilovevg e ha deciso di darsi con me non parla. Fa molto ridere che siano finiti spesso a fare i cheerleader per quei troppi progetti che si vendono come la vera novità del settore predicando quelle stesse cose che dette da me facevano cacare, ma probabilmente la motivazione è che per quei progetti è solo marketing e poi nella sostanza non cambia un gran cazzo.
A distanza di anni mi spiace di come siano andate le cose, ma ho accettato che era un processo attraverso cui dovevamo passare. È facile dire oggi “col senno di poi mi staccherei prima in modo pacifico”, però in un certo senso sentivamo proprio il bisogno di litigare con l’establishment e se non l’avessimo fatto non saremmo qui.
L’unica cosa che rimpiango è appunto non aver scoperto prima che delle alternative esistevano già. Che gente come Jacob Geller o un più nazionale
sentiva la stessa necessità di raccontare i giochini in modo diverso.E allora è per questo che è importante ribadire il più rumorosamente possibile che esistiamo.