Ubisoft vuole abolire la proprietà privata (circa)
E se ti dà noia il titolo "clickbait" ricorda: qui non si fa informazione, ma provocazione. SpaccioGames che scusa ha?
Bisogna denunciare una cosa talmente tanto radicata nella nostra società che non ce ne rendiamo più conto. Una cosa che condiziona i nostri comportamenti sociali, ci spinge a prendere certe decisioni rendendo impercepibile il privilegio che ci permette di prenderle. Qualcosa che esclude, marginalizza, divide. Il parryarcato.
Il parryarcato è tutto quello che da Dark Souls in poi ha esondato gli argini del Vangelo secondo Miyazaki finendo a condizionare il game design di tantissimo di quello che l’industria del giochino offre. Banale partire dal parry, e più in generale da quello strategic swordplay – che non è manco necessariamente con le spade, vedi che ne so, Sifu dove fai a botte o Remnant dove tu vuo’ fa’ l'americano si spara. Ma non è tutto lì: c’è la tensione verso la narrativa ambientale, il ritorno di quell’attitudine hardcore che sembrava persa per sempre con la morte dell’arcade, c’è un sacco di altra roba. Ci abbiamo riempito una puntata del podcast dopotutto.
Se la newsletter di oggi esiste è grazie al nostro gruppone Telegram pubblico. È bastato postare il link dell’intervista di Philippe Tremblay su Gameindustry per far scaturire una discussione fichissima che ha toccato non solo le dichiarazioni di Ubisoft (Tremblay è il direttore degli abbonamenti dell’azienda) ma anche temi come la preservazione, il possesso dei giochini e l’immancabile capitale.
Il gruppone Telegram è da sempre motore di tantissime delle riflessioni che poi io mi limito a far diventare content™ speculandoci sopra. Mi lavo la coscienza ringraziando chi ha partecipato a quella discussione. Anzi, ti lascio proprio il link del messaggio da cui poi s’è sviluppato tutto. Volessi unirti alla ribellione, ci farebbe solo piacere. Siamo merde, ma merde con un cuore e tante cose interessanti da dire.
Anyway, post, spammini, cazzate e poi ci rivediamo per parlare di proprietà privata. Alla faccia della critica marxista.
The Last of Us ha più remake che capitoli. Ma non succede sempre?
Di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Vai a prendere un qualunque fenomeno del videogioco e scoprirai che non è una novità. Ci sono tipo 8 versioni diverse di Street Fighter 2 – una è stata pure un titolo di lancio di Switch. Ce ne sono altrettante di Skyrim (guarda guarda, pure quello arrivato nel primo anno di vita su Switch). Ci hanno rivenduto un'enormità di volte pure Resident Evil 4, Ocarina of Time, perfino Ace Attorney.
Fai bene a incazzarti per The Last of Us. Ma dirigi questa rabbia dove è giusto che vada: verso te stessə.
Le aziende non fanno altro che comportarsi da aziende. Vedono un modo di fare soldi e ci infilano il cazzo dentro, senza manco preoccuparsi di indossare il goldone perché costa meno curarsi la candida che prevenirla dal loro punto di vista.
Il punto è tutto qui: questa roba vende.
Io quel cazzo di Ultra Street Fighter II: The Final Challengers l'ho comprato. Come mi son ricomprato Ace Attorney Trilogy e rischio di fare la stessa cosa con Apollo Justice, pur avendo già tutti i cazzo di capitoli giocabili comodamente sul mio vecchio 3DS.
Le aziende sono il male, ma è una delle regole del gioco. Lə verə stronzə siamo noi che continuiamo a foraggiare 'ste puttanate.
Magari le difendiamo pure scannandoci sull'Internet perché se qualche altrə stronzə non vuole spendere 10€ per The Last of Us Parte 2 2 la prendiamo come un'offesa personale.
L'indignazione è perfettamente inutile. L'unico segnale da dare è tenere chiuso il portafogli.
Che poi è quello che s'è fatto con The Last of Us Parte 1, no?
Cosa sono i preorder se non una cazzo di FOMO?
Di Richard “Amaterasu” Sintoni
Un tempo avevano un senso, quando coi preorder ci davano accesso a qualcosina in più tipo il season pass, gli adesivi da metterci sulla Smemo o il livellino aggiuntivo per farci contentə, ma a oggi che senso ha se non metterci hype all'hype?
Magari Bezos ci risparmia lo sbatti di andare in negozio e gli Store digitali quello di alzarci la mattina per scaricare il giochino. E si, qualcunə ci prova ancora a darci in bonus preorder la steelbook da collezione da accatastare in libreria a prender polvere assieme alle altre e che ci ricorda che il piacere di possedere qualcosa svanisce al momento dell'acquisto, ma se devo fare conta sono più le copertine con scritto "Day One Edition" che le scatole di latta prese senza mollarci un tot extra, che a ottanta euro a botta già mi sento in colpa.
Per certi punti di vista forse i preorder sono una paura, l'ansia non trovare più il giochino al D1, insensata se pensiamo a quanto poco ci metteremmo a aprire lo Store digitale e rimediare, per di più allo stesso prezzo dell'edizione fisica se sei un sonaro come chi sta scrivendo qui.
Come scriveva Davide a inizio anno, 'sta FOMO la dobbiamo mandare in culo. Che davvero rischiamo che ci vendano gli early access con le Deluxe Edition.
Come scusa? Sta già succedendo?
L’amaro del CUB (ovvero la rece di The Cub)
Siamo riusciti a fare questa cosa fichissima di giocare contemporaneamente lo stesso giochino. Io e Andrea “Sessismo” Scibetta abbiamo dedicato qualche giornatina a The Cub, prequel/midquel/sequel di Golf Club Wasteland – ora Golf Club Nostalgia – che un paio di anni fa c’aveva fatto sborrare. C’è la rece sul Sacro Blog™ in formato scritto, c’è anche la recensione su PoteriArcani La Rivista™ curata proprio da Scibetta.
Ma la cosa più significativa è il podcastino col rolex™, secondo me. Parlare di giochini con un amico ti permette davvero di andare oltre quella che è la somma delle vostre esperienze. Farlo con un amico con cui fuori dal meme hai un bellissimo rapporto ti permette anche di fare del grandissimo content e di restiture qualcosa allə stronzə che un po’ a GR ci si sono affezionatə.
A questo giro il Rolex è gratis. Puoi ascoltarlo senza abbonamenti, trial o biechi trucchetti per estorcerti danaro. Però se vuoi donare qualcosa insomma chi sono io per dire di no?
Le feste sono ormai passate, ma la vera mattina di Natale per me arriva il 26 gennaio.
Di Davide “Celens” Celentano
Mi sveglierò sicuramente di colpo, come quando da piccino non vedevo l'ora di andare a scartare i giocattoli sotto l'albero, solo che quest'anno il verde sarà quello della dashboard di Xbox da cui farò partire il nuovo Yakuza.
Questa cazzo di serie è l'unica cosa al mondo che ha il potere di farmi tornare davvero bambino, probabilmente perché il fascino dei personaggi è dato proprio dal fatto di essere dei giganteschi “man-child”.
E poi mi sento sempre coccolato dallə sviluppatorə. C'è così tanto amore e cura in questi videogiochi che mi sembra di sentirli dire “Guarda, questa cosa non era necessaria ma l’abbiamo messa perché sapevamo che ti avrebbe reso contento”.
E infatti lo sono. Sorrido come un ebete davanti allo schermo, che sia per una delle solite missioni secondarie fuori di testa o per l'ennesima citazione fatta di cristo ai capitoli precedenti.
E in fondo lo so, che ci sentiamo più o meno tuttə così pensando al 26. E allora a tuttə noi, buon day one di Infinite Wealth.
Spammini Tattici Nucleari™
The Last of Us Parte II Remastered trasforma il gioco originale in una crudele punchline
Segnalo questo articolo molto interessante di Digital Trends su quello che parrebbe essere il dibattito del momento. Mi ci ritrovo molto, e mi ha ricordato quel famoso paper che ha introdotto al grande pubblico il concetto di “dissonanza ludonarrativa” usando come esempio Bioshock.
È un po’ triste che in un certo senso si sia fatto il giro, perché quel paper citava anche Uncharted (a ragione) e The Last of Us nasceva proprio per opporsi a quella deriva. Parte II Remastered sancisce un po’ il fallimento di questa cosa.
Ma leggiti il pezzo, va →
Yakuza: Like a Dragon e i suoi “falliti” contro la società giapponese
Non so chi sia Fabio di Felice, ma in settimana nel feed di Facebook mi è venuto fuori questo pezzo. Pur non sapendo una sega di Yakuza/Like a Dragon (come si chiama adesso) me lo son letto. M’è piaciuto un sacco.
E quindi spammino di Panino al Salame su Medium →
Tutti vogliono il PARADISO, ma nessuno vuole MORIRE
Anche qua c’è lo zampone di Scibetta. Non conoscevo Emalloru, ma questo video è una gran ficata e partendo da un’intervista a Stefano Guglielmana (dev di Cookie Cutter) si parla di crunch, burnout, sacrifici e di quanto si possa sacrificare in nome del proprio progetto. Ovviamente ci ho rivisto tantissimo di quello che sento io nei confronti di Gameromancer, quello che ho dato, quello che ho perso e quello che ne ho ricavato. Però 'stai prima a guardarti il video, va.
Solita call to action. Se hai fatto, o anche solo visto, roba che ritieni fica, segnala. Come diceva Bear nella grande casa blu: l’uscio è aperto, porcod–
Beni che diventano servizi. Giochini che diventano GaaS
Mi ha sempre fatto ridere come in un certo senso l’estrema conseguenza del capitalismo sia l’abolizione della proprietà privata. Pensaci: sta diventando tutto un servizio in abbonamento. Guardiamo le nostre serie TV e i nostri film pagando un abbonamento, ascoltiamo musica attraverso app per cui paghiamo un abbonamento, leggiamo libri su Kindle Unlimited e Amazon Prime Reading... Esatto, che sono servizi in abbonamento. Possediamo sempre di meno pur avendo accesso a sempre di più. E la cosa sembra andarci benissimo come specie umana, per cui nessuna sorpresa che anche nei giochini si stia facendo la stessa cosa. Piattaforme gratuite che poi provano a monetizzare con skin, Battle Pass e stronzate del genere e, guarda un po’, anche qui servizi in abbonamento.
Ubisoft ci dice che dovremmo sentirci a nostro agio all’idea di non possedere più fisicamente i nostri videogiochi. Lo dice dopo aver boostato Ubisoft+, il suo abbonamento disponibile su PC, Amazon Luna e Xbox, e quindi la ratio con cui leggere quelle dichiarazioni è questa.
Ma domanda: ora come ora possediamo ancora i nostri videogiochi?
Ormai sono due generazioni e mezza che è diventata chiara una cosa: non possediamo il giochino, possediamo la sua licenza d’uso. Licenza che ci può essere revocata in qualunque momento. Da un po’ di tempo vedo che sui social ci si scanna nel dibattito tra fisico e digitale, portando come argomentazione che il supporto fisico non ce lo possono levare mentre il giorno che PlayStation Store chiude te la tua copia non-fungibile te la dai nel non-culo. È una grandissima semplificazione, perché sempre più spesso su disco non c’è più il gioco completo, il resto va tirato giù dall’Internet e nel momento in cui l’Activision di turno deciderà che non puoi più scaricare Call of Duty: Advanced Salcazzo 4 dai suoi server anche la tua copia fungibile del gioco finisce nel tuo fungibile culo.
Chiaro, per il momento (soprattutto se stringiamo sulle esperienze single player) il supporto fisico è ancora una garanzia. Però non quanto potrestri credere, visto che le console moderne – diciamo da PS3 in poi – di fatto hanno dei DRM per gestire il controllo licenza che possono potenzialmente bloccare tutto. Qualche anno fa con PS3 s’è rischiata la cosa, per quanto riguardasse sostanzialmente solo le copie digitali nulla ci dice che adesso su PS5 le cose non possano cambiare e abbracciare anche le copie fisiche. Paradossalmente ad oggi l’opzione più sicura è GOG, perché quello che viene venduto su GOG è DRM-Free (in soldoni: se te lo salvi da qualche parte poi ci puoi giocare quando ti pare perché non ci sono controlli di nessun tipo).
“Soprattutto se stringiamo sulle esperienze single player”. L’altra domanda da farsi, in questo senso, è quante esperienze siano ancora davvero single player.
Death Stranding è un gioco single player, giocabile tranquillamente offline. Farlo però indebolisce tantissimo il suo messaggio e modifica pesantemente l’esperienza di gioco, che fa perno sull’utilizzo delle costruzioni dellə altrə giocatorə sullo stesso server e sul mettere a disposizione le proprie. Di più: il Death Stranding che ho giocato io al lancio non esiste più. Non perché è stato sovrascritto dalla sua Director’s Cut o perché aggiornando il gioco (cosa che è obbligatoria per accedere a queste funzioni, peraltro) questo sia di fatto cambiato. O meglio, non solo per questi motivi. Ma perché molto semplicemente al lancio il gioco non lo conoscevamo, si sono andati a creare dei momenti di condivisione irripetibili.
C’è stata gente che decideva di non proseguire con la trama per costruire l’autostrada nel capitolo 3: questo a ridosso del day-one del gioco – di un gioco di Hideo Kojima estremamente story-driven in una società estremamente spoilerfobica – aveva un significato che oggi non può più assumere. Si può dire la stessa cosa di quasi tutti i Souls, di Tunic, perfino di Leggende Pokémon: Arceus che come community di Gameromancer abbiamo giocato per settimane collegandoci su Discord tutte le sere scambiandoci suggerimenti e informazioni sugli avvistamenti nelle varie aree. Possiedo quelle esperienze perché le ho vissute, ma non sono un bene materiale. Molto di quello che il videogioco mi ha dato non è fungibile e non è ripetibile. Può essere conservato solo attraverso quelli che l’accademia chiama paratesti, cioè testimonianze che affiancano i testi cercando di definirne il contesto. Tra una ventina d’anni nessunə ricorderà cos’era Cyberpunk 2077 al lancio, se non attraverso questi paratesti, sempre che si riesca a conservare anche loro.
E a proposito di Cyberpunk 2077: io l’ho giocato su una piattaforma che non esiste più, come non esiste più il mio salvataggio, perduto nel tempo come lacrime nella pioggia assieme a Stadia.
Di fatto non ho mai posseduto Cyberpunk 2077. Non ci sono prove che possano testimoniare le 70 ore che ci ho passato sopra, puoi solo credermi sulla parola. Non c’è un modo legittimo di fruirne la versione 1.0 su PS4 e Xbox One: bisognerebbe avere una copia fisica e non aggiornarla, ben sapendo che la versione 1.0 su quelle macchine però non gira e quindi possederla non servirà a nulla quando PSN collasserà a causa dell’inversione dei poli magnetici – che era la premessa narrativa di Radio Bugstalgia, una vecchia MemoryCard.
Abbiamo smesso di possedere davvero i videogiochi già da un bel po’. Forse addirittura prima di quando abbiamo deciso di smettere di possedere film, musica e libri. L’unica salvezza in questa storiaccia starebbe nella preservazione: quella fatta per bene però, non nelle remastered di The Last of Us Parte II per motivi meramente commerciali. Alle aziende per ora non frega un cazzo, per quanto tornando a Ubisoft uno dei motivi per cui credono nei servizi in abbonamento è perché danno dignità anche al catalogo pregresso.
Chissà che questo non porti a delle Ubiteche dove giocare quella versione di Assassin’s Creed II su PS3 che freezava dopo due doppie kill consecutive.
Su questo discorso si potrebbe dire tanto altro. E in realtà come dicevo prima, su Telegram si è fatto, io mi sono limitato ad assimilare quelli che secondo me erano gli aspetti più interessanti, o forse dovrei dire più funzionali a lanciare questa ennesima provocazione nell’etere. Spero serva a qualcosa, diventi uno spunto da cui iniziare a riflettere e a capire quali sono i problemi che la dimensione artistica del medium ha per colpa di quella commerciale.
Qualche settimana fa parlavamo di quanto il segreto industriale a tutti i costi faccia male (suscitando le ire di un noto content creator che sul segreto industriale campa, ma shhht): un’altra cosa che fa malissimo alla nostra memoria storica è la volontà di monetizzare a tutti i costi qualunque cosa sia stata pubblicata. È un diritto delle aziende – anche qua se ne potrebbe discutere, però legalmente lo è – ma è necessario iniziare a mettere in dubbio tutto, anche questi diritti.
Perché il mondo così come lo abbiamo costruito, così come ce l’hanno lasciato i nostri vecchi, non funziona. Non fa per noi e mi sembra sempre più evidente che la cosa ci fa star male.