Super Botte & Bamba Rai 2 Turbo
Botte a Napoli, censura, inquadrature alla Final Fantasy XVI sui baci gay nelle fiction e tante bestemmie perché è la cazzo di TV pubblica
“Ma che c’entra coi videogiochi?”
Hai ragione. Non c’entra un cazzo con i videogiochi. Però c’entra con le nostre vite. E nelle nostre vite abbiamo solo questo spazio per far sentire la nostra voce. Ha un costo. Enorme. È il costo degli shadow ban, dell’odio di chi vuole la politica fuori dai videogiochi, delle persone con cui non parli più perché volevano un Gameromancer meno schierato, o schierato con modi che capisco ma non fanno parte di me.
Qui di seguito c’è un podcast che prova ad alleggerire, perché sono (anche?) un pagliaccio e il mio modo di affrontare il luogo buio è ridere.
Dopo il podcast però si scava nell’abisso. Ci sono le parole di una persona che il 13 febbraio era sotto la sede Rai a Napoli e s’è presa un sacco di botte. Ci sono quelle di Filo, che è qui per combattere un doppio outing e un tentativo di tokenizzazione orribile andati in onda sul servizio pubblico televisivo. C’è Fra che in questo momento ha mille altri cazzi per la testa eppure davanti alla censura ha fatto una cosa che gli è costata tantissimo, cioè prendere la penna in mano e scrivere.
C’è tutto il nostro bisogno di mettersi dalla parte giusta a dispetto di quello che dicono e fanno i media, i boomer, gli algoritmi. “Che c’entra coi videogiochi?” è una domanda del cazzo. I videogiochi sono la somma delle nostre vite.
E le nostre vite sono questo.
Primo cestone indie dell’anno. Di un paio esistono dei Gameromancer col Rolex™ gratuiti dedicati, di un paio s’era già parlato ma Scibetta puzza, un altro paio sono un po’ agee perché Calzati era in vena di recuperi.
Però si parla di Inkulinati e non si fanno battute sul fatto che sia assonante alla pratica di buttarsi i cazzi in culo a vicenda.
Due parole da chi a Napoli c’era
Non sono un giornalista. Non voglio chiamare il testo qui di seguito “intervista”, perché non risponde a nessuna regola e a nessuna deontologia. Che in realtà se ci pensi è una cosa molto da giornalista.
È semplicemente successo che dopo il pestaggio del 13 febbraio una persona che era a Napoli a manifestare, Dario di Villa Medusa, scrivesse un messaggio nel topic “Attivismo & Attualità” del nostro gruppo Telegram e da lì l’idea di dargli tutto quello che potevamo dare: questo spazio. E un abbraccio, che immagino quantomeno faccia meno male delle manganellate.
Intanto direi, come stai? Sia fisicamente ma soprattutto a livello di salute mentale
Non mi lamento. Fisicamente è un po' fastidioso e brutto da vedersi, ma tant'è. Mentalmente rafforza le mie posizioni politiche, ma è vero che faccio militanza da tempo e che quindi "metto in conto" questa possibilità – soprattutto in contesti di sostegno ai/alle disoccupati/e, ai/alle lavoratori/lavoratrici sfruttati/e (logistica per esempio), occupazioni di case, lotte territoriali come Bagnoli, Taranto o in Valle e così via.
Puoi raccontarci le dinamiche di quello che è successo dal tuo punto di vista?
Sin dall'inizio c'era una chiara volontà di esacerbare gli animi.
All'arrivo è stato consegnato a uno dei nostri, identificato come promotore di un'iniziativa spontanea, un foglio di prescrizione della piazza in cui si accomunava i simboli palestinesi a simboli antisemiti(!).
La dirigenza Rai ha scelto di prendere ore per dare risposte alle istanze della piazza (che chiedevano, oltre a spazio alla questione palestinese, una presa di posizione della dirigenza locale e di chi detiene un ruolo amministrativo/politico più in alto di un/una inviato/a del TG), addirittura facendo trovare i cancelli completamente chiusi. Non solo: i lavoratori/le lavoratrici in house erano stati/e tutti/e mandati via, cosa che ha fatto "lievitare" i tempi e che rischiava di portare a un rinvio rispetto al TG più seguito (quello di Rai 3 delle 14). Ancora più improbabile la gestione della piazza delle forze dell’ordine, schierate a difesa dello stesso cancello e che hanno sostanzialmente caricato perché avevamo manifestato la volontà di affiggere degli striscioni.
Non mi sono accorto di quanto accaduto da sopra, ma abbiamo notato come i/le giornalisti/e in piazza (quasi tutti/e precari/ie del e per mestiere) hanno immediatamente sostenuto il presidio e hanno preso le distanze dall'atteggiamento della Rai anche con un comunicato.
È venuto fuori che i dirigenti Rai han ripreso tutto usando il telefono, ti sei accorto di quando hanno iniziato a farlo?
Onestamente no. Se ne sono accorti per primi gli altri ragazzi, io lì per lì no anche perché altrimenti penso avrei perso ancora di più le staffe. Quindi ben venga che non me ne sono accorto, perché la dirigenza Rai ha dimostrato anche in questo caso una precisa scelta politica.
Normalmente, lo dico da persona che partecipa a molte iniziative e fa militanza sul territorio flegreo (e quindi nella periferia napoletana), la Rai quando vuole davvero dare ascolto alle istanze sociali (gli inviati e i lavoratori della sede di Napoli lo fanno spesso) fa in modo che le condizioni siano quelle di poter intervenire il prima possibile, anche perché il TG principale della Rai è alle 14:00 e quindi i servizi vanno preparati e confezionati entro le 13:00 o al massimo le 13:30. Ieri non c'è stata assolutamente questa volontà: il fatto che ci abbiano ripreso e abbiano anche riso di noi è un evidente posizione politica, come lo è la scelta di non far trovare né operatori né inviati in house che fossero pronti ad accoglierci e a fare anche da tramite (perché in questi casi il lavoratore/la lavoratrice diviene anche un tramite).
Invece hanno scelto di farci perdere tempo e di contribuire ad esacerbare degli animi di una piazza che era già molto innervosita nei confronti della controparte istituzionale e repressiva.
Direi che la posizione della dirigenza é abbastanza chiara (e aziendalista, visto il comunicato a Domenica In e le varie censure)
Sì, esatto. In altri contesti però questo approccio violento è comune, è importante sottolineare come oggi lo Stato reputi l'aspetto dell'immaginario (e quindi anche dell'industria audiovisiva) come prioritario quanto la protezione della filiera industrial-padronale.
Qual era lo spirito con cui siete andati a manifestare?
(Che è una cosa che storicamente facciamo troppo poco qui in Italia e ultimamente quando si fa sono botte)
Lo spirito con cui è stato convocato il presidio era di rottura del muro di gomma e di presa di posizione vs il comunicato dell'AD Rai Roberto Sergio.
E' stata una chiamata spontanea e autonoma, che però ha accomunato i tanti/le tante che a Napoli hanno scelto non solo di sostenere la causa palestinese, ma ne comprendono anche i legami con le nostre vite: il carovita e l'aumento delle spese militari vanno di pari passo con il peggioramento dei salari, la maggiore precarietà lavorativa e un aumento dello sfruttamento – e queste sono caratteristiche trasversali di ogni governo, che sia di presunta destra o sinistra.
Se hai qualche link o qualche riferimento di qualunque tipo ad associazioni o simili manda tutto.
Linkerei Villa Medusa [qui il profilo Instagram], che è un bene comune che abbiamo contribuito a restituire al quartiere e a Napoli, perché penso che possa essere coinvolgente e attraente per chi segue Gameromancer ed è in zona – tanto per svago che come luogo di studio, coworking e/o cultura.
A margine: si è manifestato anche a Torino lo stesso giorno. Il trattamento è stato lo stesso. A dimostrazione che col cazzo che staremo zittə, si è andati anche davanti alla sede Bolognese di Rai il 15 febbraio. Prese altre botte. Trai le tue conclusioni.
Giovani Palestinesi Italia, Movimento Studenti Palestinesi e Unione Democratica Arabo-Palestinese hanno lanciato un appello a sindacati e lavoratorə con l’intento di bloccare tutta la macchina produttiva del Paese. La data scelta per lo sciopero generale è il 23 febbraio.
Il 24 febbraio invece a Piazzale Loreto (che evoca sempre dolci ricordi per chi sta dalla parte giusta della storia) è stata indetta una manifestazione nazionale alle 14:30.
Mi permetto di aggiungere solo una cosa: che persone come Dario siano parte più o meno della nostra community ripaga tanto di quei costi di cui parlavo più su. Non ripaga lui e lə altrə delle botte che hanno preso, però. Quelle dobbiamo ripagarle ogni giorno.
O meglio, restituirle. Al mittente.
Le manganellate di Napoli le abbiamo prese pure noi.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Ciò che si è consumato lì è qualcosa che poteva accadere ovunque, a chiunque si sia ritrovatə a manifestare il suo dissenso per lo schifo che quotidianamente si verifica in questo cesso di Repubblica Democratica che di democratica gli è rimasta solo la morte.
Anzi, nemmeno quella visto che abbiamo la brutta abitudine di riabilitare i morti nonostante questi abbiano fatto le peggio porcherie finché respiravano.
Siamo un paese morto, dove nemmeno i servizi di informazione pubblica hanno la decenza di mantenere un minimo di decoro.
Scrivono di "manifestanti Pro Palestina", non "anti- genocidio", perché tutto si deve ridurre al bianco o al nero, ai buoni e i cattivi, come se si parlasse di una squadra di calcio.
Parlare di vittime innocenti, di morti collaterali, di bagni di sangue non si può, perché sono parole brutte.
Non è il discorso "è successo a Napoli", è il discorso "è successo a dellə manifestantə".
E che sotto quei manganelli potevamo esserci tuttə.
Ti comporteRAI da cane
di Filippo “Whitesmith” Tagliaferri
Parto con un assunto fondamentale, a mio parere: la televisione è, al pari degli altri media, uno specchio della società in cui siamo immersi ogni giorno. Questo vale anche per la TV italiana, e a maggior ragione DOVREBBE VALERE per la TV pubblica.
Perché poco importa se mandi in seconda serata su Rai 1 i Diversity Media Awards (che si ispirano alla storica premiazione di GLAAD negli USA e che sono una roba FICHISSIMA, tanto per gli ospiti quanto per i discorsi che affrontano) se poi la coscienza che la rete televisiva ha di determinate istanze e problematiche rasenta l’insufficiente…
Qualche giorno fa, nel corso della trasmissione di Serena Bortone, veniva fatto outing nei confronti di Marco Mengoni e Alessandro Mahmood, tra lə tantə protagonistə dell’ultimo festival. Questo perché due “giornalisti” erano convinti che fossero entrambi “out of the closet”, completamente dichiarati e alla luce del sole. Sono sicuro che molti diranno che è stato un inciampo, un errore e niente di più e che, tutto sommato, capita a tuttə di sbagliare e non si deve ghigliottinare nessuno per questo.
Del resto, sia Mahmood che Mengoni sono stati negli anni bersaglio di quella disgustosa subcultura dei paparazzi, volta solo ad alimentare la ancor più disgustosa macchina del gossip da copertina, che da sempre fa parte dell’intrattenimento e che permette di fare quel salto quantistico, all’indietro, per riportare su carta ciò che la carta aveva lasciato, la chiacchiera suə “personaggə del momento”. E nel momento in cui determinate indiscrezioni trapelano, poi è facile pensare che mesi, anni dopo quelle notizie non vengano verificate, che si dia “l’ovvio” per scontato (ne ho sentite di ogni, negli ultimi giorni) e che quindi si arrivi allo scivolone, alla gaffe in diretta televisiva.
Solo che quella che potrebbe sembrare una gaffe più o meno innocente, in realtà è un sintomo di quanto le nostre storie vengono trattate con leggerezza.
Se parli dell’orientamento sessuale di una persona o del suo riconoscersi in una identità non conforme, stai spettacolarizzando una cosa che non dovresti. Possiamo tranquillamente spettacolarizzarci da solə, e basta partecipare a un fottutissimo Pride qualunque per averne certezza. Il minimo che ti si potrebbe chiedere è di fare controllo delle fonti e avere la certezza di non ferire nessunə.
C’è una differenza sostanziale tra una “notizia” che notizia non è perché magari è già di dominio pubblico, un segreto di Pulcinella, e la scelta personale e autodeterminante di chi decide di fare coming out pubblico, soprattutto quando la tua visibilità ti porta tantə fan quantə hater. Il minimo che si potrebbe richiedere a chi sceglie, per le sacre regole dell’egemonia dello share, di appropriarsi di queste storie sarebbe forse quello di assicurarsi di non star privando nessunə altrə della stessa facoltà, quella di scegliere.
Perché se l’orientamento sessuale o romantico non è una scelta, come decidiamo NOI di raccontarci lo è, e vorremmo che questa possibilità ci restasse attaccata, fosse anche solo perché in quanto categorie minorizzate abbiamo già perso fin troppo, qui e altrove.
E vorrei poter dire che è solo questo, mia cara Rai, ad aver attirato le mie ire qui e ora, ma questa settimana ne hai combinate di ogni, davvero: sto pure pensando a “Gloria”, la nuova serie con Sabrina Ferilli che in questi giorni dovrebbe uscire su RaiPlay, e a quel tanto chiacchierato bacio gay oscurato.
Poco importa che sia stato un cappello o una “cappella” da parte della Radiotelevisione Italiana, perché io credo che non sia lì il focus del discorso.
Se fosse il bollino della censura, certo, sarebbe da prendere torce e forconi e tornare ad assediarli, quei maledetti cancelli, e forse in una maniera meno pacifica a questo giro. Se non lo fosse, se fosse realmente soltanto un cappello e quindi qualcosa di contemplato a livello di sceneggiatura, credo dovrebbe essere quantomeno ben giustificato a livello del racconto.
Non è la prima volta che Rai censura dei baci gay (ridatemi Connor e Oliver nel 2016, che ancora ho il batticuore per quella ship) e quindi si dovrebbero impegnare non poco per farmi digerire questa scelta quantomeno discutibile. Perché la rappresentazione di baci omosessuali non è la stessa, in tutti i media, dei baci eteronormati ed anche se quel cappello fosse una scelta della regia, questa sottintende una scelta di adeguamento, e non di rottura, nei confronti dei vertici di una televisione che è, ahimè, sempre più schierata contro determinate differenze e che più volte si è imposta per censurarle.
Che insomma, è tutto già abbastanza discutibile senza che lo facciate coi nostri soldi :)
E allora torna quella filastrocca, riassuntiva di molti discorsi: abbasso il canone, ma alzate il cannone. Che se spariamo tuttə insieme, forse quel muro, quel maledetto cancello, vien giù.
E allora magari sì, che si può avere una televisione di tuttə e per tuttə.
Casa mia non è solo la porta che si apre con le chiavi ricevute a 18 anni da mia madre.
di Francesco “TheLawyer” Alteri
Casa mia non è solo il letto dove vado a dormire ogni sera sapendo di essere al sicuro dai mostri, protetto dalle coperte.
Casa mia non è solo la nazione in cui sono nato e che per qualche diritto sconosciuto è esclusiva solo perché i miei genitori a loro volta ci sono nati.
Casa mia è anche la stessa del ragazzo del balcone di fronte, che ha la mia stessa età ma genitori nati in una nazione diversa e che fino ai 18 anni, e dopo solo per grazia di qualcuno, non ha potuto cantare "sono un italiano vero". Perché non lo era per lo stato, anche se giocavamo sullo stesso campo di calcio e bevevamo dalla stessa fontana.
Casa mia è anche la baracca in Palestina dove esseri umani vengono trucidati senza ritegno. Loro non sono fortunati come me, non basta una coperta per proteggersi dai mostri. Le bombe fischiano e non si fa in tempo a sentirne il rumore che già vedi la luce bianca dell'ospedale... Se non è già esploso anche quello.
Casa mia sono tutte le porte del mondo oltre le quali dovrei trovare odori, sapori e sorrisi. Invece trovo l'odore acre, metallico del sangue e l'ipocrisia.
Porte che lo stato italiano continuamente ci sbatte in faccia.
Porte che sbatte in faccia anche agli artisti che dicono cose sacrosante come "stop al genocidio" senza fare nessun nome e dimostrando la coda di paglia di chi sa di essere uno stronzo. Stato schiavo che per pararsi il culo fa comunicati in diretta TV, sia mai prendere posizione contro il padrone.
Casa mia è anche la terra, una terra fatta di gente che dimentica facilmente a quanto pare.
Che quando aveva una stella sul petto ha subito brutalmente e ingiustamente e che ora che è forte fa la stessa identica cosa a chi è più debole. Ma essendo anche casa mia e non solo la loro io i piedi in testa non me li faccio mettere e quindi dal mio zerbino, dallo spazio se pur piccolo che mi sono guadagnato, urlo "Stop al genocidio".
E lo farò sempre. Finché non verrete a togliermi il fiato.
Spammini Tattici Nucleari™
Gli spammini di questa settimana sono a tema. Ci sono un po’ di contenuti che riguardano l’attualità, altri che riguardano la politica nei giochini, altri che riguardano la politica e basta.
A vent’anni da Genova non avete capito un cazzo
Ho scritto questo pezzo tre anni fa per il ricorrere dei 20 anni dal G8 di Genova. Riflette ancora piuttosto bene come mi sento nei confronti di chi a Genova c’era, legittimamente si è arreso (tre anni dopo questo lo capisco ancora meglio) ma invece di uscire di scena si permette di farti mansplaining. Anche se c’hai il cazzo.
In ogni caso, rant stagionato sul Sacro Blog™ →
Metro: il non sopravvivere all’Olocausto nucleare
Dici “e che c’entra Metro adesso”. C’entra perché Nicholas Mercurio ha usato il giochino di 4A Games (peraltro studio ucraino) per parlare di che cazzo sta succedendo a Gaza. E l’ha fatto in modo a) esplicito e b) su una pubblicazione mainstream, dove di solito al massimo si parla dei videogiochi attorno al genocidio ma mai del genocidio stesso.
E quindi fotte un cazzo del mio conflitto di interessi, vai su TGM →
Gloria e quel bacio gay coperto da un cappello nero
Avresti mai pensato di trovare spammato su Gameromancer un pezzo di Vanity Fair? Io sì, perché se una roba è interessante può essere scritta pure nei cessi dell’autogrill che la leggo lo stesso. In ogni caso Mario Manca ha scritto una cosa super a fuoco. Leggila. Poi diamo fuoco alla Rai.
Ebbene sì, è davvero su Vanity Fair →
L’industria del videogioco non può stare zitta sulla Palestina
Chiudiamo con una roba imperdibile sul discorso palestinese firmata da People Make Games. Che dovresti seguire in generale, figurati poi quando fanno ‘ste cose.
Avessi il budget, da grande vorrei essere loro →
“Ok, ma i giochini?”
Per questa settimana i giochini li trovi dietro paywall, non ti fosse bastato il cestone indie nel podcast principale ascoltabile a scrocco. Per Gameromancer Col Rolex™ è uscito un rant di una mezz’oretta sulla direzione che sta prendendo il mercato e su quanto la gente non ci stia capendo un cazzo. Perché se Atene piange, Sony non ride.
Soliti 5€/due canne, solita preview di 5 minuti su Patreon con possibilità di attivare la trial di una settimana e sentire anche gli altri mini-podcast a pagamento. Ne approfitto per ringraziare chi paga e sta continuando a farlo nonostante tutto: nessunə ci aveva mai trattato così male, ma siamo rimasti in piedi. Vale molto più di qualunque cifra tiriate fuori ogni mese.
Non so cosa ci riserverà il futuro, non faccio mai piani a lungo termine manco per questa newsletter. So solo che continueremo a fare il meglio che possiamo e a rialzarci finché sarà possibile farlo. Spero di poter festeggiare i 25 anni di Gameromancer esattamente come Multiplayer.it sta festeggiando i suoi in questi giorni. Per quanto non sia sicuramente il portale che mi piacerebbe, è stato un pezzo di vita prima che iniziassi a parlare in prima persona di giochini e gli va riconosciuto il merito di essere stato precursore di tante cose.
Io e te ci rileggiamo lunedì prossimo. E ci ascoltiamo quando capita on air, in live e in altri postacci dove ormai gli algoritmi decidono per noi cosa cazzo dobbiamo sapere.