La reazione istintiva quando sei braccato è scappare. È così dannatamente facile scappare nell’era di Internet. Ti basta archiviare una chat, bloccare un contatto, limitare i commenti sotto uno stato di Facebook. Spazi sicuri. Safe, oggi si dice così. Una volta si diceva stronzate. L’unico spazio davvero safe è in 180 centimetri di mogano. La gazzella è al sicuro solo dopo che le fauci del leone l’hanno presa e i suoi 21 grammi di anima – gli animali hanno un’anima? E gli esseri umani ce l’hanno davvero? – hanno abbandonato le carni.
Siamo condannati a vivere perennemente nello State of Prey. E spesso il predatore è a nostra immagine e somiglianza.
E il primo posto dove sono scappato, come ogni settimana, è in un’ora di podcast in formato mp3…
Il 2006 è un anno pieno di anomalie per i videogiochi. È l’anno del fenomeno Wii, la console che ha fatto giocare tutti, però giusto a Wii Sport. L’anno di quella PS3 per cui secondo Sony avremmo fatto due lavori pur di trovare i 599€ del prezzo di listino finendo per comprare al massimo anni dopo il modello Slim a metà della cifra.
L’anno in cui Clover Studio tira le ultime prima di venire smantellata da una Capcom che da lì in poi avrebbe smantellato anno dopo anno se stessa, del capitolo di Zelda più anonimo della serie e del primo The Elder Scrolls di massa. Di quella merda di Need for Speed Carbon e di quella ficata di Hitman: Blood Money.
Il 2006 è l’ultimo anno di quelli che abbiamo deciso di raccontare con Andrea Porta. Un sacco di storie di videogame assieme a chi è Storie di Videogame.
La differenza tra Paperino in Kingdom Hearts e una persona vera è che Paperino non può ferirti.
Di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Paperino al massimo spreca Curaga, a dimostrazione che perfino una IA programmata malissimo in un giochino per PS2 è più empatica di tanti, troppi di noi. Uno studio tempo fa diceva che chi si identifica come "gamer" è statisticamente più incline ad atteggiamenti sessisti, razzisti ed escludenti. L'altra sera guardando il TG con mio padre lui se ne è uscito con una supercazzola tipo che dovremmo ricordare tutte le vittime di ogni guerra il 27 gennaio. "All Lives Matter".
Mio padre non tocca un controller dai tempi di Tomb Raider II. "Not only the Gamers".
È per questo che alla fin fine cerchiamo rifugio nei videogiochi, quando le cose non vanno. Perché Paperino in Kingdom Hearts sarà pure inutile, ma segue delle regole prestabilite. Nei videogiochi è tutto predetto e nessuno può tradirti a meno che non ci sia scritto così sulla sceneggiatura. È tutto semplice, bidimensionale anche quando è 3D, non c'è la complessità di quelle persone vere che sono tante persone diverse per altrettante persone diverse.
Paperino è invariabilmente quello stronzo che spreca cure anche quando non ti servono.
Che poi è la definizione di amicizia. L'irrealistica definizione di amicizia sponsorizzata da chiunque, da Hollywood fino ai biscotti della fortuna del tuo sushi all you can eat. Nella vita vera non funziona così. Nella vita vera tutto quello che puoi mangiare è la merda.
È per questo che giochi ai videogiochi. È per questo che non puoi smettere di farlo. È per questo che continui a premere Start quando ti chiedono se vuoi continuare.
Perché hai bisogno di illuderti che la vita possa essere come nei videogiochi e da qualche parte Paperino esista.
E gli balli in tasca quel Curaga che ti serve tanto.
Ma siamo sicurə di averli capiti, questi Souls?
Di Davide “Celens” Celentano
Negli ultimi tempi sto recuperando (molto lentamente, ammetto) Lies of P, un po' spinto dai giudizi molto positivi che ho sentito in giro - sia online che da amici irl - ma probabilmente l'avrei fatto in ogni caso, visto che il concept inevitabilmente incuriosisce parecchio.
E a giusta ragione, direi. La premessa narrativa è veramente interessante e sembra davvero azzeccata come reinterpretazione di entrambe le opere da cui trae spunto.
E pure l'atmosfera e la direzione artistica mi sembrano particolarmente ispirate, arrivato ormai quasi a metà dell'esperienza da quello che mi è sembrato di capire.
Per quanto mi riguarda, però, i punti di contatto tra questo Lies of P e i grandi videogiochi di From Software finiscono praticamente qui.
Nessuna libertà di scegliere in che ordine esplorare le mappe, moveset di armi e nemici abbastanza scialbi, level design a corridoi, sensazione di movimenti molto legnosi (pun intended) del personaggio.
Non fraintendetemi, il gioco è sufficiente, forse anche buono nel complesso.
Ma se penso che una roba come Bloodborne sia uscita 8 anni prima, veramente non riesco a capire come fate a metterli nello stesso campionato.
Suicide Squad: Kill the Journalist League
Il problema dell’ultimo giochino di Rocksteady è che ha scoperchiato diverse ipocrisie in come raccontiamo i videogiochi. Che è un po’ l’argomento di questa settimana, il perché viviamo in ‘sto cazzo di perenne State of Prey. Tipo: basta non mandare un codice review affinché non se ne parli? Basta che IGN US dica “oh, non ce lo mandano” perché scatti la dietrologia? Beh, dopotutto IGN un po’ se lo merita.
Basta veramente così poco per mandare a troie un discorso che di conseguenza non si potrà mai davvero fare se non dietro 5€ di paywall o quantomeno il ricatto morale del doverti iscrivere e attivare la trial gratuita?
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Se hai già pagato, goditi l’embed
Se l'asticella ai videogiochi la settiamo noi tutto ciò che possiamo fare davanti alle merdate delle big è tacere.
Di Richard “Amaterasu” Sintoni
Oramai ci siamo talmente abituatə alle comunicazioni sui nostri giochini che stiamo già lì, col dito puntato sulla tastiera prontə a gettare fango e merda sulle cose che non ci piacciono.
"No ma questo pare troppo facile, scaffale". "Il mondo di gioco è troppo piccolo, mi rimetto su Skyrim"."In che senso devo scegliere il pronome del mio PG? Che è 'sta roba uoke?"
Pretendiamo di dar noi le direttive all'arte dellə altrə e ci siamo illegittimamente legittimati a incazzarci quando questa non rispecchia le nostre aspettative, che ribadiamo su Metacritic e nelle sezioni commenti shitstormando tutto ciò che ci viene a tiro.
Questo quando non abbiamo un bersaglio preciso, altrimenti via di cazzi in chat a Alanah Pierce o minacce a Cory Barlog per un rinvio in tempo di pandemia.
Per poi far finta di rattristarci quando un piccolo studio chiude o i big fanno tagli sul personale lasciando a casa chi fino a ieri s'è rotto il culo a lavorare a quel titolo che ci ha fatto tanto girare i coglioni per chissà quale motivo generico, sia questo una feature di gioco o il mancato doppiaggio in italiano che, allerta spoiler, la gente continua a chiedere a gran voce perché non ha scazzo per leggere.
La verità è che vogliamo tutto e non vogliamo nulla, perché pretendiamo di aver l'impossibile ma solo se è come lo vogliamo noi e al prezzo che siamo disposti a calare noi.
Stiamo lì a urlare che "il mercato lo fa l'acquirente", e forse in una qualche misura è pure vero.
Perché se questo fa cagare la colpa è pure nostra.
Prede del nostro stesso fottuto Ego.
Mostriamo compulsivamente noi stessi attraverso tutto quello che ci capita per mano, diventando noi stessi l’oggetto che si ha la pretesa di divulgare. Divulgare. L’ennesimo parolone per ammantare questo manierismo ipocrita che non serve ad altro che a continuare le nostre personalissime Guerre Segrete non tanto per alzare la tiratura di riviste che manco escono più in edicola, quanto perché l’alternativa sarebbe fermarsi e ammettere che le uniche persone per cui tutto questo è rilevante sono proprio quelle che stiamo combattendo.
Al resto del mondo non frega una sega. Escono le recensioni di Persona 3 Reloaded e gli unici a cui interessano sono quelli che le usano per accusarsi di essere degli imcompetenti. La stessa incompetenza da parte di persone diverse mica ci da lo stesso fastidio, però. Quando chi scrive una cazzata sta nel nostro circolino questa diventa ok. È ok strumentalizzare la depre per prendersi qualche like, scendere allo stesso livello che nello stato di Facebook subito prima si condannava. È ok perché non ci resta altro, le uniche persone che leggono quello che scriviamo, che ascoltano i nostri podcast e guardano le nostre live sono quelle che poi ritrovi agli eventi stampa di Londra e non sanno spiccicare mezza parola in real life.
Quand’è che abbiamo smesso di essere rilevanti? Boh. Ad un certo punto immagino sia semplicemente successo. A furia di titillare il nostro ego abbiamo smesso di raccontare i videogiochi e abbiamo iniziato a parassitarli per parlare di noi. Ma non per raccontare i nostri drammi e le nostre malattie. Quello sarebbe utile, ci renderebbe effettivamente migliori e l’idea che possa esistere da qualche parte una versione migliore di noi ci fa impazzire.
Lo facciamo per i quindici minuti di notorietà che ci aveva promesso Andy Warhol. Gran peccato che non ci abbia spiegato che fare nel resto delle nostre vite dopo quel quarto d’ora.
E quindi facciamo qualunque stronzata nella speranza di diventare virali. Non faccio eccezione. Quando anni fa per qualche motivo “Dove mi conviene prenderlo Cyberpunk 2077? Probabilmente in culo” aveva fatto il giro dell’Internet ho provato a replicarlo in tutti i modi. Per quale motivo? Anche qua, boh. Quel pezzo ha fatto una cosa come 50mila impressions ma se l’han letto 100 persone è grasso che cola. Cosa te ne fai di questi numeri, a parte masturbartici sopra dovendo pure attingere allo stipendio del lavoro-quello-vero per pagarti i kleenex?
In più ‘sta cosa ha lo sgradevole side-effect di ridurre tutta la tua persona a quel singolo pezzo. Diventi un meme, ti si chiama e ti si coinvolge – quando ti si coinvolge – perché sei un fenomeno da baraccone. Ci marci, su questa cosa. Perché funziona e apre le porte e quindi sticazzissimi se ti rende sempre meno una persona e sempre più un personaggio, guarda quanti clicchini ha fatto il mio pezzo sulle mucose e a quanti panel e conferenze mi hanno invitato per questa stronzata. Diventi preda di te stesso. Diventano preda anche i videogiochi. Guardi lo State of Play e lo devi guardare su Twitch, provando per procura le emozioni che lo streamer millanta di star provando a favor di telecamera.
Il protagonista non è più Hideo Kojima che espropria in modo neoproletario Konami riprendendosi il concetto di Tactical Espionage Action, ma tu che in modo neoliberista ti appropri della sua storia per raccontare che sei proprio come lui.
Non ci basta più regalare agli editori (che siano editori veri o piattaforme che pagano a seconda delle visual, cazzo cambia?) il nostro tempo, il nostro sforzo creativo. Regaliamo anche i nostri studi leggiadri e le sudate carte. Ci definiamo sulla base di quelli, di quante lauree in comunicazione abbiamo preso e/o del numero di stronzi che è disposto a pagare due lire al mese su Patreon per vederci cadere dalle sedie. Guardiamo i numeri per puro autoerotismo, per scappare dallo State of Prey perché se siamo in cima alla catena alimentare allora siamo il cacciatore, no? Lo dice la logica. Solo che l’unico numero che ha davvero senso è quello della gente che ci ascolta davvero. Tende ogni giorno sempre di più allo zero, perché ogni giorno che passa diventa sempre più facile fare qualcosa che deluderà o subire qualcosa che ci renderà delusi.
Niente di tutto questo ha senso se non riusciamo ad essere felici per Hideo Kojima nel nostro privato. Niente di tutto questo fa bene se ogni volta che arriva mezzo riconoscimento a qualcuno ci sentiamo come Zinedine Zidane il 9 luglio 2006.
Non frega un cazzo a nessuno. Manco a noi, visto che non stiamo facendo un cazzo per cambiare le cose.
Basta prendersi sul serio. Basta.
Spammini Tattici Nucleari™
L’unica cosa degna di nota che ho visto questa settimana è questo video di 151eg che fa una roba filosoficamente molto simile a come ragiona la mia testa. Quindi sponsorizzo volentieri.
Aggiungo in coda la rece di Anomaly Agent uscita tipo adesso sul Sacro Blog della Ribellione™. Di Anomaly Agent non sta parlando sostanzialmente nessuno. La cosa mi intristisce, e quindi ci ho fatto anche qualche discorso a tema nel GR col Rolex gratuito che accompagna il pezzo scritto.
Per il resto, oh, ok che la scrittura è morta e siamo solo a febbraio eccetera, ma che mortorio. Spamma qualcosa pure te.
La cosa della sedia è pure autobiografica. Faccio il content™ da una vita, e penso di aver indovinato pure un paio di discrete ficate. Eppure la cosa più di successo che ho fatto è stato cadere dalla sedia una domenica su Twitch a ora di pranzo. Quindi figurati se mi vergogno di chiederti di subbarti al Patreon. La vergogna l’ho finita nel ‘93.
Ti chiederai allora perché faccio tutto questo, se tutto questo fa così schifo. Ti potrei rispondere che lo faccio perché è giusto. Sarebbe una fregnaccia. Sono pure io vittima del mio cazzo di ego. Ho bisogno di creare, perché quando non creo alla fine sono solo un tizio che alza 1600€ netti al mese facendo un lavoro di ufficio che non lo cruncha, ma che a confronto di quell’unica ora di podcast alla settimana è infinitamente più palloso.
Avevo giurato di non crescere ma alla fine m’è successo anche quello. E a volte ho bisogno di regredire. È qui che entra in gioco “tutto questo”. Incluse le parti brutte. Tanto ho il privilegio di potermici incazzare, male che va questa newsletter diventa l’ennesimo motivo per cui qualcuno ha pigiato unsubscribe su qualcosa che portasse il mio nome.