Se vuoi un pompino te lo vai a cercare in tangenziale
Se hai paura che la Critica stronchi il tuo giochino, non sviluppare giochini
È la settimana di I3 + QUE3R. Dovrebbe essere una festa. Spero lo sia. Faremo di tutto perché riesca. Ma organizzare tutta la macchina è stato complesso, molto più complesso del dovuto. Il motivo? Perché (citando dei feedback che mi sono arrivati all’orecchio) “quellə di Gameromancer hanno parlato malissimo di Baldo” e “Gameromancer stronca i giochini”.
E quindi questa settimana è doveroso parlare di feedback, di scena del game dev italiano e raccontare un po’ di storie che ci sono successe avendo a che fare con chi sviluppa dal 2016. Perché è il momento di crescere e il metodo Montessori mi sembra che non stia evidentemente funzionando, da questo punto di vista. Vediamo che succede col metodo Iacullo. Prima però spammino del podcast.
Se hai un kink per Tears of the Kingdom e t’è piaciuto più di Breath of the Wild congratulazioni: sei unə normalonə.
Non è un dramma. Anzi. Bisogna però ammettere che by design Tears of the Kingdom è un passo verso il modo di intendere l’open world di una Ubisoft. Un passo elegante eh, senza la paranoia di dover riempire la mini-mappa di indicatori del cazzo come se fossimo dentro The Witcher 3. Però è innegabile: TotK ti guida di più rispetto a BotW, che aveva questa tendenza ad abbandonarti nel mezzo di Hyrule e lasciarti fare sostanzialmente il cazzo che ti pare. Anche andare subito a shottare Ganon.
Ma com’è che ci siamo messi a parlare di Zelda rompendo pure le ovaie a Giulia Martino per essere dei nostri? Beh, intanto perché non dipendiamo da nessuna major e il giochino ce lo siamo comprato coi soldi dellə Patron e dellə sub di Twitch. E secondo poi perché la Critica ha bisogno di tempo, altrimenti finisci per dire minchiate del tipo che “non ci sono i dungeon” nonostante ESCANO I NOMI DEI DUNGEON A SCHERMO QUANDO CI ENTRI. E oh, noi quello che si fa non lo facciamo per i numeri, ma possiamo permetterci di farlo e di farlo così perché abbiamo un’audience che poi ‘ste cose se le ascolta. Anche se il giochino è uscito mesi fa. Quindi grazie.
E se non sei dellə nostrə, puppacelə.
Per fare buona critica devi essere una persona orribile
La prima cosa che ti insegnano quando studi Game Design è che devi nutrirti di feedback.
– Maura “Mewra” Saccà durante uno dei troppi rant di queste giornate
Quest’anno sono 10 anni esatti che scrivo di giochini. In questi 10 anni ho visto di tutto, e questo “di tutto” è quello che mi ha portato a creare Gameromancer e a prendere determinate scelte. Lo dicevo poco fa, Tears of the Kingdom per esempio l’abbiamo comprato coi soldi elargiti dalla community, guardandoci bene dal chiedere una chiave a Nintendo – che sì, molto probabilmente avrebbe risposto LOL CREDICI. Il motivo è che quando copriamo i giochini su Gameromancer voglio che ci sia la piena libertà di farlo nei modi, nei tempi e negli approcci che preferisce chi sta parlando. E questo spesso e volentieri non è possibile se devi rispondere a PR ed embarghi.
La recensione deve uscire ad una data e ad un’ora precisa – tecnicamente “a partire da una data e un’ora precisi”, ma sappiamo tutti che se buchi un embargo ti si incula con la sabbia –, ci sono cose che non si possono dire perché l’NDA (non-disclosure agreement, ovvero accordo di non divulgazione) che hai firmato prevede così e ha delle penali per cifre per cui ti rovini la vita se sgarri. C’è soprattutto il rapporto con lə PR, cioè la persona che segue una o più aziende e ti manda le chiavi dei giochini. È un rapporto dove sei succube: ricordo che all’epoca dell’uscita di GTA V su PS3 e 360 nella “redazione” dove “lavoravo” chi aveva fatto la recensione aveva dato un 9 elogiando fortissimo il gioco. Il PR però quando gli si era girato l’articolo ha risposto una cosa del tipo peccato per il voto, è il più basso in Italia. Inutile dire che poi per un tot di anni da quell’agenzia non s’è ricevuto nulla a parte i comunicati stampa.
Ora, il problema è che quando si parla di videogiochi indie italiani spesso e volentieri succede la stessa cosa. Solo che dall’altra parte non c’è unə PR, ma chi ha sviluppato il gioco.
C’è capitato diverse volte. Anni fa quando c’era ancora LVI Andrea Sorichetti per esempio la sua recensione di Virtuaverse su I Love Videogames non era per nulla piaciuta allo sviluppatore, Vittorio d’Amore. E per “non era per nulla piaciuta” intendo che ha detto pubblicamente cose del tipo che la mamma di Andrea praticava abitualmente il meretricio (aka era una puttana) e che uno stronzo nato nel 1995 non doveva permettersi di parlare del cyberpunk. Prima ancora era capitato il caso Daymare 1998: il gioco alla sua uscita su PC in Italia aveva preso un sacco di votoni roboanti, salvo poi essere ricevuto in maniera decisamente più fredda all’estero (faccio reato di Metacritic: la versione PC ha una media voto di 62). Qualche mese dopo il gioco arriva anche su PS4 e Xbox One e la musica, improvvisamente, cambia. Ci sono differenze anche di un voto/un voto e mezzo tra le due recensioni.
Capisco e accetto che due persone diverse che giudicano la stessa cosa possano dare due giudizi anche molto diversi. È uno dei fondamenti di Gameromancer questo, spesso e volentieri non siamo d’accordo manco tra di noi. Però appunto, è una cosa manifesta all’interno di un contesto dove l’oggettività e la sacralità dei pareri sono messi in dubbio costantemente: qua invece s’è semplicemente preso atto di aver pompato Daymare 1998 su PC perché sviluppato da paisà (i dev, Invader Studio, sono di Roma) salvo poi allinearsi a Metacritic senza ammettere l’errore fatto in origine. I dev, per fortuna, quella volta non s’erano incazzati con noi, e anzi avevano dato una lettura molto lucida della cosa in podcast (DLC #15: l’invasione di Invader Studio – c’è anche il riassuntino sul blog).
Molto simile quello che è successo l’anno scorso con Clunky Hero: sia io che Scibetta ci troviamo a giocare il gioco, lo riteniamo un clone un po’ troppo pedissequo e fin troppo verboso di Hollow Knight e diamo una valutazione che nel circo dei giochini è ritenuta “bassa”. Su altri portali volano gli 8 e ci si taccia di essere degli incompetenti che non hanno considerato che è un gioco indie sviluppato da una persona sola. Prima ancora era successo anche con Blind Fate: Edo no Yami – altro reato di Metacritic: li ha 54 come media. Il gioco al lancio aveva diversi problemi, sia di design (tipo che il platforming era completamente sbagliato) che di bilanciamento dei nemici, troppo spugne. Mi è dispiaciuto un sacco, perché i due dev (anche loro italiani) sono venuti spesso in podcast e Edo no Yami è stata una delle cose che pre e durante la pandemia abbiamo endorsato più forte a livello di progetto. È con Edo no Yami che infatti ho capito che parlare dei giochini prima che escano è un errore: se sbagli poi ne fa le spese la tua credibilità.
Anche in questo caso è successo che noi si è stati ruvidi con la valutazione mentre altrove fioccavano gli 8 e i 9. Che sottolineo, sono legittimi, c’è un’enorme componente di soggettività quando si valuta un gioco. Però ci sono anche delle cose oggettive – o meglio, oggettivabili. Il design rientra in questo insieme. E se gli sviluppatori sono costretti a rilasciare un video per spiegare come superare una boss fight perché al lancio non era assolutamente chiaro come farlo, beh, l’errore è manifesto. Non puoi ometterlo in un testo che nominalmente vuole essere un servizio al lettore, se no ci stiamo prendendo per il culo.
O appunto stiamo spompinando un prodotto perché è paisà o siamo amici dei dev. Tipo tutta quella gentaglia che ha fatto recensioni roboanti di Baldo e poi ritrovi ringraziata nei credits del gioco.
La Critica dovrebbe mettere davanti a tutto la sua indipendenza. Anche davanti alle amicizie e ai rapporti personali che inevitabilmente si vengono a creare. È umano e comprensibile che se conosci chi sta dall’altra parte e sai i sacrifici che ha fatto per arrivare a poter pubblicare empatizzi con quella storia e con quelle persone. L’empatia però nelle recensioni non è contemplata. Non deve esserlo. E in Italia purtroppo manca in modo sistemico questo tipo di cultura. Manca da parte di chi fa critica, perché appunto ti ho appena dimostrato con diversi esempi come spesso e volentieri si sia fatto endorsement alla merda per motivi ridicoli. Un gioco non deve essere valutato per il suo passaporto, non esiste che un gioco italiano prenda uno o due voti in più in quanto tale. Non esiste che copri su una testata professionale (o presunta tale) i prodotti di qualcuno che conosci bene. È il motivo per cui su TGM non mi vedrete mai coprire giochi di persone che bazzisco e vengono in podcast o in live.
Ma questa cultura manca anche e soprattutto lato game-dev.
A furia di stendere il tappeto rosso a qualunque produzione italiana abbiamo cresciuto una scena di bambinə viziatə, che davanti ad una critica rispondono con i lei non sa chi sono io, quando non con insulti personali e pesanti. E non è una questione di forma, non dipende dal fatto che “quellə di Gameromancer usano un linguaggio violento”. Sorichetti è stato preso di mira per un pezzo scritto su Ilovevg, che utilizza un registro molto più aulico. La violenza stava tutta dalla parte di Vittorio d’Amore in quel caso.
PS: in nessun caso un “linguaggio violento” giustifica una risposta violenta. È la stessa mentalità che c’è dietro il discorso che se vai in giro in minigonna poi è logico che ti stuprano. Cosa cazzo ti dice il cervello?
Il tuo libero arbitrio come sviluppatorə finisce nel momento in cui mi contatti per mandarmi la chiave del giochino. Da lì in poi sono cazzi tuoi. Ti devi assumere il rischio che il gioco non ci piaccia, che si dia una sua lettura politica e che vengano messi in pubblica piazza tutti i difetti che vediamo. Gameromancer nasce per urlare il Re è nudo, si parli di storture sistemiche del settore o banalmente di videogiochi. Non c’è la pretesa di essere infallibili. Crediamo profondamente nella soggettività del giudizio. C’è però la pretesa di essere rispettati e di non essere clienti del game dev.
L’unico vero padrone di Gameromancer è quello che pensiamo. Senza filtro. Come le sigarette. E come le sigarette, può fare malissimo.
Ci sbattiamo un sacco per dare spazio al fattore umano dietro lo sviluppo. Il podcast in origine è nato per quello e ci sono decine di DLC dedicati a videogiochi italiani con ospiti lə sviluppatorə – l’unica regola da un po’ di anni a questa parte è appunto “dobbiamo averlo giocato prima”, spesso di tasca nostra peraltro. Ci sono spazi come Indiependenza (dove c’è un premio dedicato ai giochi italiani), PitchAGame e appunto I3+QUE3R pensati per togliere dall’equazione il nostro senso critico e lasciar parlare o figure più intitolate di noi oppure non dare proprio nessun tipo di giudizio, solo un palco e una 50ina di spettatorə.
Sulle recensioni però non ci dovete cacare il cazzo.
Quando faccio critica pretendo di non guardare in faccia a nessuno. Anche se fa male, e fa male anche a me, ha fatto male spesso in questi anni. Ma è difficile che una cosa giusta sia anche facile da fare. Se vuoi un pompino, appunto, vai a cercarlo in tangenziale.
O su Multiplayer.it.
L’ho già detto che da martedì iniziano I3 e QUE3R? Va beh, Repetita si dopa ™ Iuvant. 17, 18 e 19 ottobre, a partire dalle 21:30 su GameromancerLive. Sarà una ficata clamorosa, c’è diversa roba veramente bella e un sacco di dev veramente preparatə.
Ti andasse per caso di sostenerci in questi tentativi di portare i videogiochi su sentieri che qui in Italia non batte nessuno, puoi farlo anche subbandoti su Twitch. Se hai Amazon Prime non ti costa un cazzo, e peraltro ti garantisce pure l’accesso al gruppo Telegram privato “Adotta un DAMS a distanza”.
Al solito, non c’è nessun ricatto: andremo avanti finché riusciremo ad andare avanti che tu lo voglia o no. Spero però che tu lo voglia.
E davvero, basta anche banalmente un like o un follow su Instagram per ripagarci. Anche perché su Instagram (e se sei proto-boomer, anche su Facebook) puoi leggere ogni giorno alle 12:00 contenuti tipo questi:
Chiamami “principessa” e scoprirai che posso fare in modo che ti sbattano a calci in culo fuori dal tuo castello.
Di Filippo “Whitesmith” Tagliaferri
È di un paio di settimane fa l’ennesimo scandalo a Gardaland, che già negli anni scorsi aveva fatto parlare di sé sui giornali.
Tutta pubblicità, voi direte, solo che non è esattamente quel battage che uno vorrebbe per il proprio parco divertimenti; soprattutto se arriva nella forma dell’ultimo, plateale caso di omofobia in Italia.
Omofobia che, ricordiamo, segue un paio di “scivoloni” sulle tematiche dell’abilismo (ricordo il caso di una influencer a cui non era stata fatta saltare la fila perché “non abbastanza disabile”) e della bassa retribuzione dei dipendenti (vabeh amə vuoi un goccio di Schweppes? it’s Italy!!).
Wow, che roallercoaster emozionale, soprattutto se penso all’ipocrisia dei piani alti, che hanno immediatamente licenziato il direttore del ristorante perché “il suo comportamento andava contro quello in cui crediamo”; che per inciso, è anche poter pagare mille euro al mese chi va oltre le settanta ore settimanali.
Va beh che i diritti umani sono terreno instabile quanto il pavimento di una madhouse, e quando saltano fuori ecco Oblivion: The Black Hole.
Fa incazzare soprattutto perché sarebbe potuto succedere a me…
Chiamami “principessa” e scoprirai che posso fare in modo che ti sbattano a calci in culo fuori dal tuo castello. Fallo nel mentre che mi paghi una miseria, e ti giuro che da Peach passo direttamente a interpretare Giant Bowser e faccio partire uno scontro tra kaiju con Prezzemolo nel mezzo del tuo fottuto parco divertimenti. E il tuo fottuto drago verde, credimi, non ha mangiato abbastanza pizza alle fragole, e a me il prezzemolo piace tritato fine…
E se non succedesse a me, beh, comunque è un’attrazione per la quale volentieri farei la fila.
Figliolo, qui una volta era tutto marketing.
Di Davide “Celens” Celentano
È ufficiale: la mission di Sony non è più creare videogiochi, ma venderci la fuffa nascondendola tra due scintillanti scocche bianche. Che ora non stanno manco più in piedi da sole.
Se avevamo ancora dei dubbi su come il colosso giapponese vedesse lə suə consumatorə, ora non li abbiamo più. Dei poveri cani di Pavlov che iniziano a salivare a ogni campanellina suonata dal padrone, anche se ogni volta i croccantini in realtà li prendono dalle nostre tasche.
Sono abituati a una console mid-gen dopo tre anni da quella base? Bene, che l'abbiano pure.
Peccato sia praticamente la stessa di prima, ma tanto la compreranno comunque perché vuoi mettere 200 giga di memoria in più? Fondamentali.
Inutile scaldarsi tanto, direte voi. E sono d'accordo, la guerra ormai l'abbiamo già persa da anni, che non ci siamo manco accorti che sta per uscire prima un'altra console che un gioco che sia realmente per questa generazione.
Ma il sogno è sempre lo stesso: fare sì che anche un cagnolino in più si svegli e faccia un uso più intelligente di tutta quella saliva.
Non sono poche mele marce, è un campo di letame che continua a crescere.
Di Richard “Amaterasu” Sintoni
Il fantasmagorico mondo dell'Internet ci regala un'altra perla, ed a pagarne il prezzo è, tanto per cambiare, una donna che stava facendo il suo lavoro.
Durante la conferenza stampa dell'allenatore Gattuso il club del Marsiglia ha dovuto cancellare decine su decine di messaggi sessisti ai danni della traduttrice, e 'sta storia ricorda un po' quella storia dei "Pacchetti di aggiornamento" di Bobbi e Valsecchi di qualche mese fa no?
Qualcunə prova pure a metterci una pezza, scrivendo che saranno "i soliti fragili adolescenti e adulti chiusi nella loro stanza e senza cervello", ma com'è che sembra siano MOLTI DI PIÙ?
E no, non è un problema "legato allo sport", perché 'sto marciume è ovunque.
Perché porca puttana 'ste bestie sono ovunque. Sono i vicini di casa, i colleghi di lavoro, magari pure qualche dirigente che se beccato da la colpa al nipote che gli ha fregato il cellulare o qualche stronzo Activision che si diverte a rubare il latte materno delle colleghe dal frigo.
La rete ci dà questo senso di onnipotenza grazie all'anonimato che offre e cazzo se la gente riesce ad usarlo per fare schifo a tutto, tranne che a sé stessə.
Avoja a dire "not all men", con quanto c'è da vergognarsi di questo merdaio.
Spammini Tattici Nucleari™
Dai, questa settimana qualcosa si è mosso.
Su PoteriArcani La Rivista Ufficiale™ mi sono chiesto quand’è che hanno smesso di piacerci i videogiochi. È un viaggio attraverso il fatto che non ci va bene un cazzo in un mercato dove se vuoi giocare OGGI giochi nuovi per C64 li trovi senza nessun cazzo di problema. Divertiti;
La settimana scorsa si parlava di Druckmann e Israele. Ci hanno segnalato questo pezzo del fu Waypoint di Vice a tema;
La già citata Giulia Martino su Virgilio Notizie parla di giochini rimossi da App Store e Google Play proprio per il loro voler raccontare la guerra tra Israele e Hamas;
LevelArt ha pubblicato un altro video: Videogiocare per l’Anima. Parla di diversi aspetti della Critica al giochino™ toccati anche in questa newsletter (tipo la soggettività) e che sono fondanti per e in Gameromancer. Da guardare;
Oltre a questo, faccio una roba che non faccio mai. Ripropongo la replica della live della scorsa settimana – che non era prevista, ma è stato doveroso fare. Approfitto per ringraziare di nuovo Cecilia Formicola per essersi esposta come ha fatto sia la scorsa settimana chiedendo spazio con un post che appunto durante la live:
One more thing come Steve Jobs
È uscito un video di Gekigemu che tocca una tematica di cui parliamo e abbiamo parlato abitualmente. Sono d’accordo in larga parte con i concetti espressi, e trovo molto interessante anche la parte che non mi è piaciuta – che prevedibilmente è quella sul tono dei contenuti.
Io ti mollo il video qua perché Gekigemu va ascoltato a prescindere e oh, magari la prossima newsletter potrebbe essere proprio sul tema del tone policing. Magari dando un po’ di spazio a Maura e tirando fuori un po’ di roba che negli anni mi ha spacciato Francesco Rugerfred Sedda (che è un’altra di quelle persone che si ascolta a prescindere anche se non sei d’accordo).
Avrete notato che la struttura della newsletter questa settimana è diversa perché l’editorialino dove parlo dei cazzi miei precede tutto, anche il podcast – che secondo me è ed è sempre stato il centro di tutto quello che facciamo. Ho sentito il bisogno di farlo proprio perché è la settimana di I3 e QUE3R, e davanti a certi attacchi cretini ed ingiustificati abbiamo accusato il colpo. Finché la cosa riguarda personalmente me, sticazzi. Non è la prima volta che mi danno dell’edgy attention whore che parla male di tutto e di tutti in cerca di visibilità. So benissimo che in questo settore per avere davvero visibilità invece la strada migliore è leccare culi e vendersi a tutti gli offerenti possibili, in culo a tutti i propositi di provare a fare del buono. Per cui non mi tange.
Quando però la cosa si sposta sullə altrə non ci sto.
Io ho fondato Gameromancer, ma se oggi è diventato una cosa più grande di me è merito dellə altrə. Di chi ha lasciato la sua impronta e lo ha fatto crescere dall’interno, portando competenze che meriterebbero ben altri palchi e ben altra considerazione. Lo stronzo insolente sono io, è il mio ruolo – la mia maschera – e lo accetto. Questo non autorizza nessuno a far pagare le mie colpe alle altre persone che hanno sposato la Ribellione e si sbattono ogni giorno per farla andare da qualche parte. Vedo troppa cattiveria in giro. Ne ho fatto qualche esempio, ma ne potrei citare di più grandi e di più piccoli, micro-aggressioni giornaliere tutte basate sul pregiudizio e sulla superficialità.
A fare e rifare quello che abbiamo già fatto negli ultimi 30 anni di Game Critic, cosa otteniamo? Un cazzo di niente. Coi pompini e coi proclama per cui ogni anno è l’anno dei videogiochi italiani (cosa che sento dire dal 2012) non andiamo da nessuna parte. Non basta un Vampire Survivors – che peraltro finché non vinceva i premi internazionali qualcuno nella scena ci teneva a sottolineare come Poncle fosse residente a Londra – per illuderci che adesso un’industria c’è e ce l’abbiamo fatta. Non serve a un cazzo flexare i libricini di Game Culture pubblicati se poi hanno una tiratura di 23 copie e una è la mia.
Bravi, gran podcast e newsletter.
Siete un mio appartamento fisso. Invece quasi tutto il resto del mondo dell' informazione videoludica ormai lo seguo occasionalmente.
1) la gente sta male. Ma veramente male.
Io non capisco come si possa tacciare qualcuno di stronzo insolente quando fa notare semplicemente le cazzate che fai.
Se una persona ha le palle, non si nasconde dietro a un dito e corregge i propri errori.
Se sono errori.
2) Per quanto riguarda la critica, sono d'accordo col tuo giudizio, di solito non riesco nemmeno a giudicare un'opera di persone che conosco.
Preferisco fare parlare loro, tipo Saverio con Edo no Yami.
Non perché non voglia screditarli, ma perché in un certo senso già sento che la mia visione è compromessa perché conosco quella persona. Dunque evito
Non è un discorso di non screditare un lavoro, ma quando una cosa è sviluppata da persone che conosco, non mi sento in grado di giudicare lucidamente.
3) Le recensioni oggettive non esistono, con buona pace di chi fa schemi, parametri di valutazione e sterili separazioni delle componenti tecniche.
La componente emotiva nel giudizio c'è sempre: non ho mai sentito parlare di cinema o di arte senza parlare di emozioni.
Anche perché se prendiamo l'arte contemporanea "tecnicamente" fa cacare.
Peccato che bisogna elaborare quell'opera col proprio filtro e cercare di capire il messaggio che l'autore voleva dare.
Col videogioco è la stessa cosa.
Pari Pari, e non capisco perché continuiamo a dare voti, votkni e votucci su una scala completamente soggettiva.
Sì, si può discutere di regole di game design, si può discutere dei bug, si può discutere di qualsiasi cosa all'interno della recensione, ma l'unica cosa importante è che il messaggio degli autori venga veicolato al meglio (e con messaggio non intendo un contenuto profondo, potrebbe anche essere trasmetterti divertimento e meraviglia attraverso il gameplay eh)
Dunque boh, per me sarebbe da cestinare la recensione, chiamarla "consiglio per gli acquisti" per poi creare approfondimenti a posteriori sul gioco.
4) ho apprezzato molto Tears of The Kingdom proprio per la sua ubisoftizzazione: che poi in realtà non fa altro che riportare in auge un tipo di struttura che Zelda aveva da Oot, ma rendendotela un filo più chiara.
5) io non capisco come si possa fare a incazzarsi se qualcuno critica un tuo prodotto.
Le critiche costruttive ci aiutano a migliorare.
Mi sto rendendo conto che le persone in genere tendono a pensare che il loro modo di agire sia perfetto e impeccabile: non è così.