Quello che non va in Black Myth: Wukong
Attenzione: potrebbe contenere nozioni di Game Design (e un po' di sinistroidismo)
Caption clickbait ad effetto: Black Myth Wukong è il primo gioco dal 2011 ad oggi che mi ha dato la necessità di scrivere “soulslite”.
Prima dell’uscita del giochino s’è parlato delle dichiarazioni dei dev – su cui si sono sollevati dubbi relativi allo slang e al contesto e che comunque, va detto, risalgono a una decina di anni fa – e si è parlato di quel disgustoso NDA per cui il giochino è stato mandato ai creator a condizione di non parlare, tra le altre cose, di propaganda femminista durante il coverage. Per i giornalisti nessun NDA (ma chiavi solo piccì), cosa che comporterebbe aprire una lunga parentesi su quanto ci mancherà il giornalismo quando tra qualche mese sarà completamente morto.
A giochino uscito comunque la cosa interessante è andare a vedere quanto di tutto questo poi si respira in Wukong. Cercare di capire se c’ha ragione ScreenRant o “dopo il capitolo 3 è pieno di fica gne gne cazzo dicono”, parlare insomma di tutte quelle cose che presuppongono aver speso un po’ di ore pad alla mano. Cioè quella cosa che i giornalisti non hanno fatto visto l’embargo ridicolmente attaccato al day one.
Spoiler: c’ha ragione ScreenRant. Ma prima andiamo coi podcastini.
Domanda all’OST se il vino è buono
Nei videogiochi uno dei cinque sensi, cioè il tatto, ce lo diamo in culo.
Non è propriamente vero che non lo usiamo, al di là degli esempi di design cinestetico (Ico che ti fa tenere pigiato R1 per tenere la mano a Yorda, tutto Jusant, Death Stranding ecc) un minimo di feedback aptico ce lo aspettiamo e quando non c’è, beh, il gioco è Skyrim.
Ma il tatto sicuramente non è sfruttato al massimo dai videogiochi, e quindi forse anche per questo si appellano molto all’udito. E in particolare alla colonna sonora.
Se è PS5 Porno Pro tolgo
È stata anche la settimana dell’annuncio in pompa non-così-magna di PS5 Pro. ‘Na cafonata. C’è un’ora di checkpoint dedicata se proprio c’hai voglia, ma perché perdere tutto questo tempo quando basta il pratico Amanda Reel (online pure su TikTok!) che ti spiega tutto in meno di 90 secondi?
E direi che con questa anche lo spammino dei social ce lo siamo tolto dalle palle dalla checklist. Se non metti il follow sei derrata alimentare.
Black Mynchia: Wukong
La cosa più strana di Wukong è che è inconsistente. I primi due capitoli (su sei totali) sono sostanzialmente delle boss rush lineari in cui ogni tot metri si inciampa in un combattimento con un nemico più o meno carrozzato e più o meno tratto da Il Viaggio in Occidente (di cui Wukong si pone come sequel, anche se spesso sembra più un remake). Quando non si picchia gente che c’ha una barra della salute indicata a schermo si picchia gente più piccola che la barra della salute invece ce l’ha sopra la testa, perché per sbloccare le varie abilità della scimmia misogina servono Scintille e le Scintille si ottengono una alla volta salendo di livello (o trovando i punti dove si può meditare sparsi in giro per i livelli, ma mostly livellando).
Tutto questo si aggancia ad una struttura copiata paro paro da Dark Souls, falò inclusi. Solo che quando muori non lasci punti esperienza/valuta/cose dove sei morto (quella meccanica che nel gergo dei souls si identifica come corpse run – anche se poi in realtà ce l’ha pure Nier Automata).
Il risultato è che si grinda gratis come i pazzi perché viene meno quella roba che rende Dark Souls, beh, Dark Souls. Che non è l’essere difficile, ma l’essere punitivo.
Sulle prime pare proprio un errore di design. Nelle parole di Game Science Wukong “non è un gioco per signorine”, dovrebbe essere una roba che ti fa buttare il sangue e sudare ogni metro conquistato in direzione titoli di coda. E invece c’è già da subito un farming spot comodissimo per tirare su 20-30 livelli come niente, e infatti è molto facile che chi ha giocato il gioco abbia battuto il boss opzionale Anima Errante, che droppa il primo degli spiriti equipaggiabili, prima ancora che si sblocchi la relativa funzionalità a menu (problema che i dev avrebbero potuto risolvere facendola sbloccare prima dell’area dove l’Anima Errante… erra, ma è il minore dei problemi e qua volevano abbastanza chiaramente fare il cosplay di Miyazaki).
Anche il secondo capitolo è dritto pe’ dritto, ma in particolare è il capitolo 1 a dare un’idea abbastanza distorta di quello che è Wukong. Questo come detto infinite volte è bad design, perché sono le prime ore quelle che vengono giocate per le recensioni – soprattutto se i codici li mandi solo 4 giorni prima – ma soprattutto perché sono le prime ore che generano quel passa-parola vitale per il successo di un gioco, perché di certo mica vado a consigliare il giochino brutto all’amico mio che figura ci faccio. Giocando solo questa parte l’idea è che il gioco non sia ben congegnato e tutto sommato rimanga sempre approcciabile, tanto più che oltre che a morire gratis puoi pure fare il respec gratis delle Scintille spese, e quindi ci si mette ben poco a capire per sommi capi come funziona Wukong. All’inizio è uno strano ibrido a metà strada tra un Souls (non c’è il parry in favore della schivata, ma c’è la fiaschetta stile Estus, lo strategic sword stickplay con la gestione della stamina, i falò) e un action abbastanza semplificato perché le combo alla fin fine son 3, e variano più che altro a seconda della posa che si sta usando – c’era una roba simile anche in Nioh se non vado errato. Poi però tutte le cose che lo avvicinano a From Software pad alla mano diventano sempre meno impattanti: si allargano le finestre per le schivate perfette, il roll smette di interrompere le combo e si può continuare ad attaccare anche senza stamina accettando l’idea di far meno danni. Sempre che poi la stamina finisca davvero visto che può essere boostata anche con degli oggetti equipaggiabili.
Quello che resta è un giochino abbordabile. Poi iniziano a piovere i boss segreti.
Ci sono alcune scopiazzate a livello di concetto e/o di estetica abbastanza pesanti, ma innegabilmente le boss fight di Wukong da un certo punto in poi iniziano a funzionare forte. E migliora pure il level design (per quanto alcune sezioni siano completamente sbagliate – tipo quella del masso che rotola nel capitolo 5) perché pur essendo lineare ammerda il secondo capitolo è probabilmente il più riuscito del gioco e inizia a mettere sul piatto un’altra cosa rubacchiata a From Software, quelle sub-quest non tracciate dove bisogna intuire quale sia lo step successivo per arrivare al termine. Giocandone buona parte il gioco rimane assolutamente adatto alle signorine, parafrasando Game Science, perché oltre al power-leveling si sbloccano armature e altri pezzi di equipaggiamento che poi vanno a creare delle build rottissime.
C’è in particolare un’armatura che quando la scimmia è avvelenata (oltre a ridurre i danni da veleno subiti) aumenta di brutto l’attacco. In combo ad uno spirito che nello stesso stato aumenta la probabilità di critico e ad una modifica della bevanda nella fiaschetta che auto-avvelena la scimmia quando si beve, l’output di danni che si riesce ad ottenere è senza senso. E può ancora aumentare se si rinuncia all’idea di usare le magie attivando il blocca-magia, che va a boostare ulteriormente l’attacco. Non tutti i boss sono una passeggiata di salute, eh. A volte anche per colpa della solita telecamera di merda che accomuna tanto i Souls quanto i giochi d’azione. Ma buona parte delle sfide che il gioco ti mette davanti con un setup del genere si squagliano, e probabilmente buona parte del motivo per cui Wukong alla fine m’è garbato ragguardevolmente – e sta ragguardevolmente garbando a tanta gente – sta proprio qui, nella soddisfazione con cui si progredisce complice un po’ la quality of life di alcune scelte e un po’ la scelleratezza di altre che mandano completamente a fanculo il bilanciamento. Abbastanza per resistere quando il gioco ti propone delle fight o delle sezioni dove incendieresti molto volentieri non solo la console ma pure lo sviluppatore, che testimoniamo come alla fine Game Science sia effettivamente al debutto nel mondo dei giochini fuori dal mobile e si vede.
Rimangono comunque due grossi problemi: uno tecnico e uno sociale.
Il primo è oggettivo e misurabile, quindi c’è poco da indignarsi. Su PS5 Wukong spesso gira una merda. In particolare il problema sono alcune fight dove s’è abbondato coi particellari e il capitolo 6, dove evidentemente Game Science aveva finito i soldi e ha deciso di cavarsela tirando fuori una sezione open world (abbastanza brutta) dove i 60 frame al secondo sono utopici come una headline di SpaccioGames che non faccia clickbaiting.
Credo che su PC vada meglio (e infatti da qui il motivo per cui le recensioni dei journos son tutte su PC), ma è di poca consolazione. Anche perché le patch post-lancio hanno fixato dei glitch che rompevano il gioco (tipo lasciandoti spammare le magie senza cooldown e senza consumare mana) e addrizzato alcune boss fight pallose, ma prestazionalmente non è cambiato poi molto. Ah sì, capita pure che il gioco crashi male.
L’altro problema è che appunto come si accennava (e nonostante l’editor abbia giocato i primi tre capitoli e basta) Wukong non è che faccia qualcosa per smentire quelle frasi dei dev messe in dubbio di cui sopra. Anzi, semmai a me il dubbio l’ha levato, perché alla fine sì, qualche personaggio femminile c’è, ma il 100% di questi sono o incapaci o mangia-uomini – letteralmente mangia-uomini, proprio di trama. Non l’avrei frasata come “poca inclusività”, ma un contro che recitasse “rappresentazione della donna abbastanza tossica” lo condividerei di brutto.
Cosa vuol dire questo per l’esperienza di gioco? Dipende da chi sta giocando. A me ha dato fastidio, altrimenti non ne starei parlando qui dove posso parlarne e mi sarei buscato dei soldi (e magari la copia gratis del gioco) per scriverne altrove.
Non siamo nessuno per imporre il nostro metro di giudizio sulle cose. Se qualcunə mi dicesse che non ha intenzione di giocare Wukong sapendo questa cosa non farei un gran cazzo per farlə cambiare idea. Allo stesso modo trovo che sia veramente idiota assumere che s’è t’è piaciuto il giochino della scimmia misogina allora sei misoginə a tua volta.
È però molto importante che proprio tenendo a mente questo leggendo delle analisi sociali/politicizzate/quello che vuoi di Wukong (o di qualunque videogioco in generale) non rompi i coglioni.
Anche queste sono assolutamente parte della critica. Anche queste danno una lettura dell’opera, e se vogliono dare un giudizio sotto quella lente hanno tutto il diritto di farlo. Non vengono scritte perché siamo statə infettatə dal genə woke (sì, l’ultima schwa è per prenderti per il culo), ma perché abbiamo deciso di trattare i videogiochi come quello che sono sempre stati: arte.
Vengono fatte perché finalmente la Cosa Videoludica appartiene alla collettività, incluse quelle istanze che fino all’altro ieri erano marginalizzate quando non direttamente escluse e oggi si prova ad includere. Un’analisi che ti dica che Wukong è effettivamente un gioco un po’ sessista prodotto da un ambiente culturale che sappiamo essere sessista (è la Cina delle loline, baby) e da tizi che probabilmente a loro volta sono frutto di quell’ambiente non ti sta impedendo di divertirti col giochino. Sta aggiungendo un punto di vista, non toglie nulla, né al gioco né a te che il gioco puoi comprarlo tranquillamente tranne se sei boxaro.
È arrivato il momento che invece iniziamo a rimuovere dal dibattito chiunque voglia impoverirlo.
Da una parte e dall’altra, perché mi stanno profondamente sul cazzo tanto quellə che “devi giocare e basta e il resto sono seghe mentali” quanto quellə che vogliono un’unica lente sotto cui analizzare le cose. I videogiochi sono anche giochi, si possono analizzare dal punto di vista sociale e politico, ma “si può” non vorrà mai dire “si deve fare così ebbasta”. Altrimenti non c’è nessuna differenza con la piaga del post-strutturalismo che ancora oggi riduce i videogiochi a trama, gameplay e grafica e ne parla non capendoci nulla.
Se non sei d’accordo, fammi un favore e togliti dalle palle. Non sei qui per giocare, ma per odiare.
E l’odio non mi interessa a meno che non sia generato by design.
Concord è il nuovo ET e stiamo per vivere un’altra crisi dei videogiochi?
Sì e no. Nel senso che ci sono diversi punti di contatto tra i due scenari, ma è difficile immaginare un crollo totale (non fosse altro perché oggi il player grosso non è solo uno). Però è vero che ci stiamo pericolosamente avvicinando alla saturazione del mercato e che servirebbe come l’ossigeno un downscale.
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A John Garvin non va giù che in Astrobot gli usino il personaggio? E allora gettiamo al cesso tutto il citazionismo videoludico.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Diciamolo subito: Days Gone e Astrobot non c'hanno un cazzo a che fare l'uno con l'altro. Uno è un gioco che è pieno di citazioni a opere simili al suo genere, l'altro è il platform che sta vendendo le madonne sin dal momento del suo annuncio.
Ah, forse ero fraintendibile. Beh, non mi pare che le orde degli zombie fossero una roba così nuova nei media alla fine. Mai sentito parlare di The Walking Dead?
Comunque, tornando a Garvin: a lui proprio non è andato giù che Deacon finisse in mezzo al citazionismo di Astrobot, e ne è uscito un tweet incazzato nero su quanto sia deluso da Sony per aver dato luce verde a questa appropriazione.
Caro Garvin: ma tu hai mai sentito parlare di Enter the Gungeon? Perché ti garantisco che lì di citazionismo ce n'è a strafottere, e manco Nintendo ha mandato i suoi ninja per buttarlo giù pur essendoci elementi che richiamano palesemente Zelda, Super Mario e via discorrendo.
Io capisco che faccia incazzare che t'abbiano cestinato il sequel, davvero. Pure a me dispiace perché bene o male Days Gone non mi era dispiaciuto.
Ma battere i piedi all'urlo de "m'hanno preso il protagonista" non è che sia proprio indice di maturità.
Non che la scrittura di Days Gone fosse poi così matura eh, ma d'altronde separare opera e autore è specialità dei redattori woke che ti stroncano il giochino no?
Astro Bot è la prova che devo stare meno a pianificare.
di Andrea “Overrided” Scibetta
Ogni tanto succede che mi metto lì a guardare che giochi escono e quando, e fare una sorta di calendario mentale: questo lo prendo assolutamente, quello vediamo, questo qui invece arriva su Game Pass e lo gioco per forza, però prima devo finire quest’altro.
Quasi sempre quando entro in questo loop di pianificazione della vita videoludica finisce che mi rompo le palle e non gioco più a nulla, convinto che prima di giocare quello che magari vorrei giocare davvero devo finire qualcos’altro che sennò è peccato.
E quindi Wukong vediamo, Star Wars può aspettare, però dai ora c’è Plucky Squire, Zelda lo devo prendere per forza, sto Astro Bot boh, vediamo.
Invece ieri finisco di parlare con la psicologa della rigidità che mi impongo, in generale nella vita, che mi fa male. Devo essere più elastico. E tutto sommato oh, io ad Astro Bot voglio giocarci.
E menomale! Con buona pace dei 70 chicchi che ho dovuto dare a Sony, giocarci ha preso a calci quella noia videoludica che sentivo addosso e mi ha ricordato quanto amo i videogiochi.
E mi ha fatto capire perché devo essere più elastico, con i videogiochi e soprattutto nella vita.
Dovremmo metterci in testa che non siamo ciò che ci piace giocare.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Tralasciando i meme cringe su Pac-Man che si mangiava palline sotto la musica elettronica, per qual motivo dovrei vedermi associato a un criminale perché gioco a GTA? O a un simpatizzante della alt-right perché gioco a Helldivers con la mia compagnia?
Perché fa così comodo semplificare le cose quando in realtà a volte bisognerebbe solo contestualizzarle, basterebbe rendersi conto che si, i giochini possono essere il cibo dell'anima ma i nostri gusti non si riflettono su cio che siamo.
La grossa differenza la dovrebbe fare chi i giochi li fa, perché sapere chi o cosa andiamo a finanziare ogni volta che ci prendiamo il giochino potrebbe e dovrebbe influenzarci un tot. Certo, se ne deve parlare, bisogna sensibilizzare e mettere in conto che a volte un giochino è meglio lasciarlo sullo scaffale piuttosto di contribuire al riempimento delle tasche di qualche merda che sposa cause orripilanti ai danni di altre persone.
Oppure possiamo giocare e basta, restando nella nostra bolla di felicità col pad in mano, che tanto se sei dalla parte privilegiata del mondo la cosa non ti tange.
Spammini Tattici Nucleari™
Un paio di settimanelle fa Yotobi ha riesumato quella storiaccia che è passata alla storia come Gioventù Ribelle. L’effetto nella bolla dei giochini è stato un po’ vario: c’è chi ha ricondiviso riconoscendo che così adesso finalmente di ‘sta storia s’è parlato anche fuori dalla bolla, c’è chi chiaramente si è sentito in dovere di fare i soliti lei non sa chi sono io e insomma, solito cinema, solito drama.
Io penso che oltre ad essere importante che si parli di quelli che sono i veri boss finali del videogioco in Italia (ancora oggi ammanicatissimi e intoccabilissimi) e che la conoscenza sia a prescindere un’arma che è meglio avere, sia molto parlante il fatto che qualcuno si sia sentito in dovere di evidenziare tutti i limiti del lavoro di Yotobi (“non è un’inchiesta”, “non è un giornalista” e via così) senza però riflettere sul fatto che di inchieste e di giornalisti in merito negli ultimi 15 anni se ne son viste pochine. E il 100% di queste su blog e siti personali o fatte all’estero, perché in Italia appunto ‘sta gente continua ad essere un culo da leccare.
Che occasione persa, per fare autocritica. Io sinceramente vedendo Yotobi fare il lavoro mio mi sono sentito un po’ in difetto. E penso sia sacrosanto così.
A proposito di inchieste, tutti i riferimenti in podcast a “B-Human: Vite di seconda classe nell’industria dei videogiochi” (aka il libro che io e quel fango di Francesco Alteri abbiamo scritto) dovrebbero prendere forma nel corso del mese. O se dice male all’inizio di ottobre. Seguiranno dettagli.
Presumo che seguiranno pure un po’ di diffide visto che c’è un capitolo sul Game Dev in Italia suffragato da fonti che c’hanno parlato malissimo di nomi di cui c’ha parlato malissimo un sacco di gente.
Spero di poter dare qualche dettaglio in più già dalla prossima Voce della Ribellione (e magari ci scappa pure l’inserto aggratis in newsletter se l’editore non si incazza).
Spero che in tutto questo La Voce della Ribellione continui ad essere una roba che tutto sommato vale la pena leggere, anche se è disorganica quanto Black Myth Wukong dal punto di vista degli argomenti trattati visto che a volte è politica, a volte è analisi, altre retrospettiva.
Spero soprattutto che continuino a uscire giochi di cui vale la pena parlare. Bene o male frega una sega, basta provare qualcosa pad alla mano.
Questa merda viene revisionata ogni settimana da 80 settimane consecutive da
. E pensa che revisiona pure . C’ha proprio un cazzo da fà.
Le ost migliori per me sono quelle di golf club: nostalgia, magnifiche
FFX