"Quasi famosi"
Disilludersi del "giornalismo videoludico" quando ti accorgi che tutti i tuoi miti giovanili nel settore sono pezzi di merda
Non ho mai sognato di fare il giornalista videoludico.
In generale penso si possa dire che non ho mai sognato punto. Sono cresciuto in mezzo ai computer e a 13 anni ho capito una cosa che in realtà credo di aver sempre pensato: da grande avrei fatto il programmatore.
La prima volta che ho pensato di scrivere di videogiochi è perché in un podcast che stavo ascoltando “uno del mestiere” identificava DOOM come primo sparatutto in prima della storia, facendomi pensare che [bestemmia redatta] allora pure io posso parlare di videogiochi a ‘sto punto.
Tutto questo per dire che non avendo mai seguito se non tangenzialmente l’editoria quando ho avuto a che fare con “quelli del mestiere” non c’era molto di cui rimanere delusi.
Per Scibetta è stato diverso. E come avrai capito, La Voce della Ribellione™ di questa settimana è la sua.
Prima dell’editorialino però ci sono i soliti podcastini clickbait e le call to action per iscriversi alla newsletter e mollare un po’ di soldini su Patreon.
Podcastini clickbait™
Giochi del ca…lcio e altre amenità sportive
Sempre per la serie “mascheriamo l’avidità di Francesco Alteri che vuole farsi omaggiare di copie review di libri” (nello specifico il già discusso A Tale of Two Halves: The History Of Football Video Games, di Bitmap Books) abbiamo deciso di partorire un cestone che parte dai giochini calcistici un po’ meno pop per poi allargarsi a come lo sport viene declinato in ludo.
Non poteva mancare il Cummenda Calzati ad appoggiare lì oltre ai soliti giochini sul golf – che continua ad essere uno sport per borghesi di merda pure nei videogiochi – anche il suo feticismo per le robe invernali. E non c’entrano i furry di Mario & Sonic ai giochi olimpici, quanto più Ubisoft e la serie di giochini Lonely Mountain, con Downhill già disponibile da mo (sta pure su Game Pass, DROGA) e Snow Riders in prossima uscita.
A 5 anni da Death Stranding di Death Stranding non abbiamo capito un cazzo
Un po' di riflessioni che partono dal giochino dell'Unico Vero HiDio per arrivare a Trump, alla polarizzazione, all'odio che alla fine come nelle cazzo di fiabe della Disney non è la risposta giusta (forse) e insomma deliri di un ex-militante.
Questo è quello che dice la descrizione dell’episodio, che è paywallato anche per via del fatto che prima della parola “militante” lì in fondo c’è un “ex” che rivendico e sottolineo. In questo periodo storico l’odio e la rabbia andrebbero maneggiati con cura, perché altrimenti si finisce per allontanare gente dalle cause giuste per cui si combatte (e non sto parlando di me che penso di poter dire che sto ancora combattendo in un certo senso, ho solo rifiutato quei metodi).
Comunque, se vuoi ascoltare il discorso i primi 5 minuti sono in chiaro, poi tocca pagà perché è solo così che si può fare un distinguo tra chi è interessato e chi vuole solo spaccare le vetrine. Sono 5€ oppure attivi la trial gratuita, con accesso per 7 giorni a tutti e 182 i Gameromancer Col Rolex™ (che sono mini-episodi del podcast).
Per entrare nel gruppo Patreon su Telegram invece basta un solo euro. Io sono di parte, ma mai come questa settimana penso di poter dire che ne vale assolutamente la pena e le persone lì dentro sono l’asset più di valore di tutto Gameromancer. Grazie per esserci.
Ah, c’entra un cazzo, ma pare che B-Human: Vite di seconda classe nell’industria dei videogiochi sia tornato disponibile sull’Amazon (e presumo pure nelle librerie). Se non sai cos’è, beh, è un libro che abbiamo scritto io e Fra che cerca di raccontare un po’ di storie che parlano superficialmente dei problemi che ha l’industria del videogioco. COMPRATE.
Vecchi poster
di Andrea “Incidente Diplomatico” Scibetta
Da ragazzino, verso gli undici o dodici anni, quando ancora mio padre pagava la tassa Sky, per qualche tempo sui canali di cinema davano a ripetizione un film uscito da poco. Non era niente di che a pensarci oggi, però per qualche motivo lo vidi e lo rividi e mi ci affezionai. Sarà stato il protagonista dall’aria malinconica o la ragazza svampita, saranno stati i grandi spazi degli Stati Uniti on the road, sarà stata quella colonna sonora rock o quel romanticismo agrodolce, ma Elizabethtown è un film che mi è rimasto dentro. Negli anni l’ho rivisto varie volte e anche fatto vedere, restando quasi sempre deluso dalle reazioni. Non avevo mai visto altri film di Cameron Crowe, a parte quello strano mix incompiuto e insoddisfacente che risponde al nome di Vanilla Sky. Pietro mi ha chiesto di scrivere la newsletter al suo posto e dovevo parlare di tutt’altro, ma poi ho visto Almost Famous e ho deciso di cambiare i miei piani.
È un film che racconta la storia più o meno autobiografica di un quindicenne di San Diego che insegue il mito del rock a inizio anni ‘70, che grazie all’incontro con Lester Bangs inizia a scrivere di musica per le riviste americane. William è un bravo ragazzo, è sotto età, un po’ oppresso dalla madre e vorrebbe essere un po’ più “fico”. Che poi, in fondo, vorrebbe solo essere accettato, come tutti noi. In qualche modo si ritrova a seguire in tour una band emergente mediamente famosa, gli Stillwater, e addirittura viene incaricato da Rolling Stones di scrivere un articolo su di loro. Il vero catalizzatore della storia è anche qui una donna, Penny Lane, una groupie sua coetanea un po’ svampita anche lei e con un rapporto travagliato con il chitarrista del gruppo.
Guardando il film ho pensato fin da subito che fosse in qualche modo la versione “originale” di quell’Elizabethtown che tanto mi ha segnato. Però mi ha aiutato anche a guardare le cose da una prospettiva diversa su un film che so praticamente a memoria. Il protagonista in quel caso, tale Drew, è un altro bravo ragazzo con la testa sulle spalle, che è andato via di casa per fare carriera e che si troverà incastrato tra un enorme fallimento lavorativo e la morte del padre. Ecco, forse guardando Almost Famous ho capito che ciò che mi piace di questi personaggi di Crowe è la loro genuinità. La figura del ragazzo per bene e un po’ impacciato che pianifica, che organizza con le migliori intenzioni e vorrebbe solo far parte del gruppo, e che poi si ritrova sconfitto dalla vita e in preda alla disillusione. La realtà in fondo odia i bravi ragazzi. Dall’altro lato c’è la figura della donna idealizzata e poi spogliata di quel velo di mistero e sicurezza, riportata a una dimensione di verità, che diventa una mappa (in un caso letteralmente) verso una leggerezza di vivere che si è sempre guardata con diffidenza.
In fondo sono sempre stato anch’io quel bravo ragazzo. Organizzato e con le idee chiare, ma anche quello che cercava di farsi accettare, di mostrarsi più “fico” e sicuro di sé. E anche l’idealizzazione della figura femminile è qualcosa che mi riguarda direttamente. Ma questa è un’altra storia. Però mi è chiaro perché sono affascinato dalla donna emancipata e forte che poi viene riportata in una dimensione terrena e mostrata nella fragilità forse ancora più forte.
Ma che c’entrano ‘sti film e tutto ‘sto melodramma personale coi giochini, direte voi. Il fatto è che il ragazzino di Quasi Famosi sta provando a farsi strada tra le riviste musicali e si ritrova in mezzo a rock star affermate in un mondo finto in cui tutti vogliono essere famosi.
Quando riceve la telefonata di Rolling Stones che vorrebbe scritto un pezzo ho pensato alla genuina felicità che ho provato quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa per Everyeye, la realtà editoriale che mi ha spinto a iniziare a scrivere e su cui per diverso tempo ho sognato di arrivare. Anche approdare qui, su Gameromancer, che seguivo da molto come ascoltatore, era stata una botta emozionale non da poco. Ricordo le prime volte in cui mi sono trovato di persona con gente che seguivo e ascoltavo con stima, ricordo la sensazione di essere “quasi famoso”, per quanto in una bolla dei giochini di cui in fondo non frega niente a nessuno, soprattutto in Italia. Ero giovane e illuso, non siate troppo severi coi giudizi.
Penso che la storia di William in Almost Famous sia prima di tutto quella di un’adolescente che si scontra per la prima volta con la disillusione, con il dover staccare i poster dei propri idoli dalla parete mentale, con il diventare grande. E nonostante tutto penso che anche di quell’amichevole Lester Bangs prima o poi quel ragazzino staccherà il poster, a un certo punto lui gli dice più o meno che “l’unica vera moneta di scambio in questo mondo in bancarotta è ciò che condividi con qualcun altro quando sei ‘uncool’”, quando accetti di non essere fico, quando te ne freghi. Un po’ come in questa newsletter.
Bangs lo incoraggia a essere onesto e tagliente senza riserve e come prevedibile nel mondo delle rock star non c’è posto per la verità. In Elizabethtown c’è una frase detta dal protagonista, in un momento di profonda amarezza e disillusione, che mi è rimasta impressa: “il successo, non la grandezza, era l’unico vero dio”. In fondo essere “bravi” e veri non paga, e quel ragazzino che è il più grande e vero su quell’autobus di narcisisti egocentrici sarà l’unico a tornare a casa con la coda tra le gambe. O quasi. Il film alla fine c’ha una specie di lieto fine, un paio di scene che suggeriscono che le star possano anche essere umane, che in fondo gliene freghi qualcosa e ogni tanto facciano ammenda. Anche questo dopotutto è un film romanticamente agrodolce. Nella realtà però il successo è l’unica cosa che conta e gli idoli si fa sempre meglio a staccarli dal muro.
Oggi non scrivo più per Everyeye e non nutro più particolare stima per nessuna delle figure giornalistiche che stimavo cinque anni fa. Né ho fiducia che il rock vada effettivamente da qualche parte e, contrariamente a quello che dice nel film un Jimmy Fallon quasi irriconoscibile, Jagger è ancora sul palco a fare la rock star ben oltre i settant’anni. E così quelle star della micro nicchia dei giochini in Italia sono ancora sul palco. Anche se sono passate oltre e hanno portato ancora più in là il narcisismo e la megalomania. Quel circo continua ad andare avanti e nutrire l’ego dei soliti, mentre mastica le illusioni di qualche altro ragazzetto. Nella realtà a nessun chitarrista importa dei sogni di un quindicenne di San Diego. Io ho staccato i poster dal muro e ho lasciato perdere. Per scrivere su Rolling Stones o diventare Mick Jagger bisogna vendere l’anima al diavolo. Forse per avere successo in generale.
Ma in fondo meglio essere nudi e sinceri, “che nudi si è tutti più brutti e più veri, anche le belle fiche” rock star.
Novelle dal mondo dei giochini che ci hanno fatto girare gli ingranaggi. E i coglioni.
Una settimana dopo l'election day Elon Musk s'è già assicurato uno spazio, ed è già un DOGE.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Figlia di una campagna di disinformazione a colpi di fake news e diffusione d'odio sui social che ricalcano esattamente gli stessi passi del primo GamerGate del 2014, la nuova amministrazione Trump ha gia trovato uno spazio per il magnate di Tesla e X. Musk sarà a capo del Department of Government Efficency, una squadra governativa che operando fuori dal Governo avrà il compito di individuarne le spese che vengono considerate superflue.
Musk promette trasparenza e aggiornamenti continui tramite la sua piattaforma social, un po' come Activision che prometteva di rendere i suoi ambienti lavorativi meno sessisti. Per poi chiudere un occhio sulle bestialità commesse dai suoi dipendenti di alto rango e dare una buona uscita milionaria a Kotick giusto un annetto fa.
I modus operandi di queste operazioni sono gli stessi che portarono Zoe Quinn a doversi nascondere dall'odio che stava inquinando la sua vita privata. Sono gli stessi che qualche mese fa hanno obbligato ScreenRant a rimuovere il nome di chi aveva recensito Wukong sul suo portale per paura che questa persona vedesse la sua incolumità minacciata.
Il GamerGate non è mai finito, ha portato alla prima elezione di Trump e adesso alla seconda. Ha semplicemente cambiato il cartello da Twitter a X e tolto tutta la moderazione non gradita, quella che rema contro alle sue alte sfere.
Però oh, poteva andarti peggio: pensa ai sonary americany che rischiano di vedersi le console rincarate del 40% grazie alle nuove politiche di Trump.
D'altronde che saranno mai 'ste fregnacce in confronto all'aumento del prezzo dell'intrattenimento?
Shadow of the Erdtree può essere candidato come Game of the Year per i TGA.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Manca poco meno di un mese al Geoffoni Games Festival, e per dare già un po' di sale alla serata si è deciso, proprio quest'anno, di fare un po' di chiarezza su cosa ci vuole per essere candidati all'ambito premio Gioco dell'anno.
Il carrozzone Keighley infatti ha lasciato un comunicato che specifica che qualsiasi opera giudicata valida può ricevere una nomination per qualsiasi premio, senza alcuna barriera per remake, remastered e DLC o espansioni.
Non credo sia in malafede pensare che questa precisazione sia per aprire la strada al premio più ambito a Shadow of the Erdtree, il DLC di Elden Ring che già nel 2022 si portò a casa diversi premi, tra cui anche il Game of the Year.
Insomma, l'avessero fatto nel 2016 Blood and Wine col cazzo che s'accontentava del Best RPG, se la sarebbe giocata con Overwatch e compagnia bella.
La magra consolazione è che almeno 'sto giro ci sarebbe un minimo di coerenza nella candidatura. Insomma, Shadow of the Erdtree arriva dietro a un titolo che ha alzato 25 milioni di copie and counting.
Fosse arrivato dietro a qualcos'altro poteva ambire al massimo al best ongoing no?
Il più grosso marketplace di videogiochi al mondo è una piattaforma per estremisti.
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Il Center on Extremism della Anti-Defamation League ha pubblicato un report per cui su Steam esistono al momento quasi due milioni di contenuti d’odio, tra cui un sacco di simboli di natura antisemita ripresi dall’iconografia nazista.
Sulla piattaforma girano più di un milione di copypasta, e oltre la metà di queste aderiscono al suprematismo bianco.
Potrei andare avanti a botte di numeri e statistiche, ma il concetto chiave è che l’unica differenza che c’è tra Steam e 4Chan è che a Valve diamo un paccone di soldi ogni volta che compriamo un videogioco. Perché Gabe e soci trattengono il 30% di royalties su ogni transazione anche quando stai comprando un giochino tipo quel Life is Strange che non potrebbe essere più lontano da questi fenomeni di odio, e reinvestono praticamente un cazzo di quella cifra per moderare i contenuti pubblicati dalla gente su Steam.
La cosa stronza è che alternative credibili a Steam non ne esistono, perché GOG è bellino e vende giochi senza DRM, ma non raggiunge lo stesso pubblico, e Epic Games Store alla fine si apre quelle due volte al mese che molla i giochini gratis e basta. Ironicamente proprio perché non ha tutte quelle feature che su Steam vengono usate per diffondere odio come i forum e le pagine dei curatori.
Per l’ennesima volta abbiamo la dimostrazione che chi vuole fuori la politica dai videogiochi poi non si fa problemi a usare lo spazio dei videogiochi per portare avanti la sua agenda.
E le aziende per soldi se ne strafottono se poi questa assomiglia al diario di Anna Frank.
Come mi informo?
Ammolla un follow su su Instagram, Tiktok e/o YouTube. Ogni settimana escono dai 3 ai 5 Amanda Reel che parlano di che cazzo sta succedendo in questo circo che chiamiamo “mondo dei videogiochi”.
Se sei più comodə puoi ascoltare ogni mattina in formato audio, gratis, anche sul feed Spotify di Gameromancer col Rolex.
Tipo, se vuoi scoprire di quali giochini indie abbiamo parlato nell’ultimo cestone a tema basta pigiare play qua sotto:
Spammini Tattici Nucleari™
Con un po’ di lag spammiamo molto volentieri l’ultimo video-essai dei regaz di LevelArt. Era a tema Halloween, ma chi ha detto che devi cacarti addosso solo il 31 ottobre?
Seguiranno (se mi ricordo) aggiornamenti sull’Instagram, ma questa settimana c’è la Milan Games Week e prevediamo di essere in fiera il venerdì. L’idea come ogni anno è quella di provare i giochini indie presenti in loco e poi raccontarli da qualche parte e in qualche formato. Dico questo più che altro per anticipare che po’ esse che la prossima newsletter esca ma senza l’editoriale.
Al netto di queste ultime settimane un po’ girovaghe abbiamo alcune cose in serbo per dicembre. Non so se saranno gradite o no, se funzioneranno o meno. Non è nemmeno quello il punto.
Il punto è rimanere vivi e beh, quest’anno l’hai visto: tanto Gameromancer continua a farlo.
Soliti ringraziamenti a
per la revisione. In un mondo di pezzenti dal punto di vista esistenziale, mi tengo stretto Pulciaro.