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Lovecraft è come il cyberpunk.
Nel senso che cyberpunk è stato ridotto a semplice estetica, svuotato dei suoi significati anticapitalisti e delle sue prese di posizione. E con Lovecraft uguale: via tutto il terrore dell’ignoto, l’uscire di senno che ti porta a confrontarti con l’orrore cosmico, dentro un sacco di tentacoli e degli scenari più o meno dark. A suo modo per dire è più lovecraftiano un Don’t Starve che ti fa sentire come se stessi impazzendo di, boh, una cosa più canonicamente Lovecraft perché c’ha i kraken cacati dentro di forza.
«Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!»– Dante Alighieri, Purgatorio, canto VI, vv. 76-78
Questa settimana sono capitato in diverse discussioni che hanno come minimo comun denominatore lo stato di salute dei contenuti che escono sui sitini di giochini. In particolare sono capitato in diverse discussioni dove l’atteggiamento garantista nei confronti delle testate – vuoi perché l’interlocutore ci teneva a specificare che “Not All Everyeye”, un po’ come “Not All Men” quando viene fuori un caso di stupro, vuoi perché invece ci fossero rapporti amicali chi gestisce la testata – mi ha sfracellato i coglioni. In modo irrimediabile. E quindi questo numero della newsletter parla del perché siamo tutti fottutamente parte del problema, di come questa cosa andrebbe gestita – di come la gestisco io su TGM, in particolare – e di come Not All Everyeye non solo non abbia senso, ma sia pure una posizione pericolosa. Perché fa gli interessi degli unici stronzi che da questa storia ne escono arricchiti: gli editori.
Convenzione Odontoiatrica (a Lisa serve l’apparecchio)
Iniziamo con un fatto di cui è fondamentale prendere atto, soprattutto da parte di chi scrive sui sitini. La gente è esausta. Negli ultimi anni c’è stato un crollo verticale nella qualità dei pezzi. È scesa per prima cosa la qualità della manifattura di questi, perché la stragrande maggioranza delle firme che hanno fatto la storia del settore in epoca riviste adesso si occupa di tutt’altro. Capita ancora qualche collaborazione – ogni tanto Zave una feature su IGN Italia la ammolla –, ma nella maggioranza dei casi c’è stato un fuggi fuggi generale dalla carta stampata. Verso “lavori veri” (Zave, continuando l’esempio, oggi si occupa di localizzazione di videogiochi) o facendo come Ualone, cioè riprendendosi i mezzi di produzione mettendosi in proprio e diventando Content Creator veri e propri.
Perché è successo questo? Perché il settore banalmente non paga più un cazzo.
È il segreto di Pulcinella: mediamente un pezzo oggi da freelance viene pagato dai 5 ai 40€, a seconda della pubblicazione e della lunghezza di questo. Il caso medio si approssima attorno ai 20€, e bisogna considerare anche che non sono “venti euro per scrivere quello che cazzo vuoi”, ma sempre in base alla pubblicazione ci sono necessità editoriali diverse. In più bisogna aggiungere che il settore ha smesso di formare le persone. Ci si aspetta che chi arriva sia già abile e arruolato, e checché ne dica Mara Sanvitale di GameTime non gli si dà il modo né il tempo di formarsi e approfondire il medium. Se si decide di studiare qualcosa lo si fa da autodidatti. Nel mio caso specifico questo vuol dire che ho iniziato a scrivere nel 2013 seguendo quello che è ancora oggi il template standard della critica ai giochini, ho iniziato a metterlo in dubbio solo nel 2017 e ho sentito parlare per la prima volta di New Games Journalism e dell’approccio Gonzo solo dopo aver maturato una mia filosofia in modo autonomo.
Tradotto: ho sprecato almeno 5 anni della mia vita a scrivere contenuti privi di qualunque valore, e solo per puro culo ad un certo punto ne ho sentito l’olezzo. Non ho avuto maestri, al massimo responsabili che mi dicevano che stavo sbagliando, che non mi assegnavano più recensioni perché ero una mina vagante. Mi ricordo che una volta su Ilovevg consegnato un pezzo mi si è risposto “mi sento come se avessi appena letto una supercazzola”. E non do nemmeno torto a quella persona, perché quella recensione di Bridge Constructor Portal lo era. Ma lo era con un motivo più profondo dell’esercizio di stile, nascondeva la necessità di crescere. Cosa che seguendo le regole del settore non avrei potuto – e nemmeno dovuto – fare.
Il settore ci vuole utili idiotə.
Yes-man disposti a scrivere cagate tipo “come accendere PS4”. E quando per caso capita l’occasione importante spesso e volentieri chi scrive non ne è all’altezza, e finisce che nelle recensioni di The Last of Us Parte 1 viene fuori che prima di The Last of Us la narrativa nei videogiochi non esisteva. Chi scrive è analfabeta, nel senso che non conosce la grammatica del videogioco. Fa fatica a concepire l’idea che da The Last of Us alla sua Parte 1 siano passati 9 anni, 9 anni in cui sono uscite cose che hanno superato l’approccio sezione giocata-cutscene-sezione giocata rinse and repeat. È uscito Hellblade. E infatti qualche cane gli ha dato 6.5. È uscito lo stesso The Last of Us Parte 2, che utilizza un linguaggio fortemente videoludico per raccontarsi.
Ma oltre alla qualità dei pezzi e alle paghe è successo anche che ad impoverirsi sono state le linee editoriali.
Quando c’è stato lo switch tra riviste cartacee e siti le persone erano ancora importanti. Si scriveva per un pubblico, si dava modo alle community di vivere ed esprimersi sui forum proprietari, asset così importanti che ad un certo punto qualcuno ha pure deciso zitto zitto di comprarsi il forum di GamesRadar (poi diventato GamesVillage) e fare un mezzo golpe. Progressivamente però si è arrivati all’idea che una visual fosse una visual e che uno valesse uno: l’utente occasionale che arriva da Google News o dalle ricerchine sui motori di ricerca è identico a quello fidelizzato che ogni giorno si apre il sito dai preferiti e si va a leggere gli approfondimenti. Anzi. Chi arriva da Google vale di più, perché se uno vale uno a quel punto la questione diventa quantitativa e non qualitativa. Quindi si inizia a scrivere contenuti che intercettino gli intenti di ricerca di queste persone, ed ecco che “come accendere PS4” porta nelle tasche dell’editore più soldi dell’approfondimento sull’architettura della stazione Talos I in Prey.
Ora, a questo punto è il momento di spiegare perché questo editorialino si chiama così e perché si apre con un memino low-effort.
I Simpson avevano predetto anche questo: la centrale a voi, ma l’energia siamo noi.
Siamo noi che decidiamo di alimentare questo sistema. Noi che clicchiamo i pezzi, certo, ma soprattutto noi che decidiamo di scriverli e poi andiamo nelle piazze a gridare Not All Everyeyes. Non dubito che su Everyeye come su Multiplayer come perfino pure su SpaccioGames esca della roba meritevole. Statisticamente non può uscire solo merda. Ma il pezzo medio è un altro, e questa roba di “alto profilo” è washing pagato pure una miseria.
Io e Fra da un annetto e mezzo collaboriamo con TGM. In questo periodo su TGM sono usciti dei contenuti che oltre a farci cacare abbiamo ritenuto pericolosi. Siamo sempre stati in prima linea nel criticarli. Pubblicamente, sia sui canali di Gameromancer – chi c’era quando uscì “Apologia della forma femminile” si ricorderà tre giorni di fuoco tra social, gruppo pubblico e gruppo patreon. Ma soprattutto in seno alla redazione. Quando tieni a quello che fai – quando tieni alla pubblicazione su cui scrivi, e io a TGM tengo – lotti affinché le cose diventino migliori. A costo di litigare col Direttore Responsabile, col Caporedattore o con chi per lui.
Io posso dire di essere fortunato, perché chi gestisce TGM non piscia dal ginocchio e anche se non siamo allineati su diverse cose non mi ha fatto fuori per prendere qualche utile idiota. Mi hanno pubblicato editoriali sulla critica, pezzi sulle tematiche sociali, approfondimenti woke. Non è tutto rose e fiori, perché sono la cosa meno aziendalista di sempre e sono ben consapevole che in qualunque altra realtà sarei stato mandato a fare in culo senza ricevuta di ritorno dopo una settimana. Però appunto, la strada per lasciare un settore più pulito del disastro che c’hanno lasciato in eredità gli acquista-forum di cui sopra è questa.
Atari in italia è la tassa sulla monnezza a Roma Sud
Si dice "Atari" e pensiamo alla TARI, alla tassa sui rifiuti detta in romanaccio.
Questo perché Atari tendenzialmente alle nostre latitudini ce la raccontiamo un po' di cazzo, complice il fatto che culturalmente sia un fenomeno molto più americano che europeo e che paratesti (quindi "cose che ne parlano") ce ne sono molto poche e hanno comunque le lenti a stelle e strisce.
Chi potrebbe raccontarci bene cos'era Atari in Italia nell'83 durante una crisi che da noi non è mai arrivata è un gatekeeper di merda che preferisce irridere la gente nei gruppi Facebook di retrogame. E ne paghiamo dazio come popolazione videogiocante.
Ascolta l’approfondimento su Patreon. C’è anche una trial gratuita di 7 giorni che sblocca l’accesso a tutti e 103 i rolex™ pubblicati.
Hai già uscito il soldo? Bene, puoi ascoltare tutti i contenuti dietro paywall anche su Spotify.
Se ti nascondi dietro il fatto che sui contenuti di merda non c’è il tuo nome e che meriti rispetto a prescindere solo per le qualità intrinseche di quello che scrivi e non per lə redattorə che sei, stai dalla parte del problema. E mi dispiace – davvero, mi dispiace – ma durante la Rivoluzione Francese s’è ghigliottinata tutta la nobiltà.
Non c’è rivoluzione che non sia costata del sangue.
PS: per quel poco che vale, qua su Gameromancer esistono gli Spammini Tattici Nucleari™ (ovunque: newsletter, Instagram, gruppone telegram) proprio per dare visibilità a quei pezzi che sì, sono washing, ma meritano. Perfino se escono su Everyeye. La stessa premura non ci è mai stata mostrata da nessuno nel settore.
Un gioc(hin)o è bello finché ti resta dentro.
Di Richard “Amaterasu” Sintoni
Non importa quante ore un titolo ti ha preso o quante notti insonni ti ha lasciato, finché sono state belle non sono mai tante o troppo poche. Almeno, finché non smetterai di interrogarti sul perché i pensieri ti stanno prendendo la testa nonostante siano già passati i titoli di coda.
Quegli attimi sospesi col pad in mano a pensare a cosa hai appena visto, se avresti potuto fare di meglio o a domandarti se hai fatto la scelta giusta ai piedi del letto di Chloe non sono andati persi, perché resteranno lì a ricordarti che non sempre ciò che reputi giusto è anche facile. Anzi, probabilmente non lo è mai.
Tutte le scelte, i dilemmi di coscienza, le seghe mentali dei vari "What if" sono dubbi legittimi che avrai per molto tempo, con la differenza che mentre eri col culo sul divano hai avuto tutto il tempo per riflettere sul da farsi, un lusso che la vita non ti darà mai e per il quale non c'è possibilità di vedere un video su YouTube.
I migliori viaggi non li ho fatti in sella ad un cavallo nel Far West, né tantomeno in sella ad un drago immerso nei paesaggi medievali. Li ho fatti impersonando un'adolescente, un genitore, unə sopravvissutə nel bel mezzo di una guerra.
Sono quelli che mi hanno saputo far sentire in colpa per non aver mai capito un cazzo.
Ed al termine di questi viaggi il "Grazie per aver giocato" mi ha fatto sentire ancora più in debito.
Dobbiamo rassegnarci: non sono i videogiochi a renderci violentə, siamo noi che facciamo cacare.
Di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Uno studio dell'Università della Carolina ha stabilito che giocare ad Apex Legends e a Outriders non ha effetti misurabili sull'aggressività delle persone. Ne consegue che quindi la prossima volta che unə giocatorə metterà su un remake della Columbine la colpa sarà tutta da attribuire a ləi: niente più alibi perché DOOM ti rende sociopaticə, niente più stronzate per cui le persone sole si rifugiano nel videogioco e ne escono alienate che confondono causa ed effetto.
Facciamo cacare come essere umani, i videogiochi non hanno il potere di renderci migliori o peggiori.
A fare la differenza, come in tutte le cazzo di arti, è quello che dai videogiochi decidi di cogliere. Se dopo il finale di Nier Automata impari l'altruismo il merito non è di Yoko Taro, ma tuo. Sei tu che hai deciso di interpretare Taro in quel modo, di sentire quella spinta verso il miglioramento e continuare a percorrerla anche quando Automata nella tua memoria si è raffreddato diventando solo un ricordo.
È tutto nella tua testa. Sta tutto nelle tue mani. Forse è per questo che fa così paura.
Ma se fosse facile non saremmo una specie di merda, no?
Se avessimo un indicatore a schermo per la nostra moralità chi sarebbero gli eroi?
Di Richard “Amaterasu” Sintoni
Che bello è prendere decisioni nei giochini, senza troppe menate di cazzo e pensieri invadenti. Senza conseguenze se non due linee di dialogo, malissimo che vada ti cambia il finale e ti puoi vedere l'altro su YouTube.
Vuoi fare lo stronzo ma comportarti da eroe? Bam, ecco a te Mass Effect. Usa il tuo potere e la tua influenza per raggiungere il tuo scopo a suon di pugni in faccia. Guarda, ti diamo pure l'opportunità di scoparti chi cazzo vuoi, che se ti gira puoi pure cambiare idea e mollarlə malissimo spezzando cuori a destra e sinistra.
O preferisci essere un salvatore? Allora Infamous fa per te. Scegli tu quali poteri ti fanno più sangue, sei tu che devi decidere se vuoi salvarlə tutti sacrificando te stessə o farlə morire male per salvaguardarti il culo.
Poi oh, alla peggio basta fare un backup del salvataggio prima del checkpoint. Alla peggio si ricarica da lì. Ti basta una chiavetta USB.
Invece no, siamo nel mondo vero e le azioni hanno conseguenze, che spesso non calcoliamo perché chissenefrega degli altri, ci frega di noi e dei nostri interessi. Siamo noi prima di loro, la nostra morale e i nostri principi. Se ne vadano affanculo i loro diritti se rischiano di intaccare i miei privilegi.
Il problema è che non ci rendiamo conto che per ripristinare il salvataggio dal Cloud dobbiamo capire di aver fatto una troiata e voler chiedere scusa, che con la coscienza ci dobbiamo fare i conti tutte le sere prima di andare a letto. Il tutto sperando di non aver già superato l'ultimo checkpoint.
Ed è un attimo rendersi conto di essere più simili ad Alex Mercer di quanto crediamo.
Questa settimana siamo ancora in pausa su Twitch, ma la prossima si riprende. Anzi, a questo proposito, se qualcunə avesse qualcosa da aggiungere ai discorsi sulla critica fatti in questa newsletter o per qualche altro motivo volesse organizzare una round table, sapete dove trovarci. Il diritto di replica non si nega a nessunə. Mica siamo Everyeye.
Intanto però iniziamo a fare un po’ di hype attorno al prossimo evento videoludicamente scorretto. Sarà tutto chiaro nei prossimi giorni – tieni d’occhio le storie su Instagram – ma insomma, dopo la “E” è il turno della “I”.
La prima delle tre I è INIZIATIVA. La keyword di chi non ce la fa a vedere la situazione desolante descritta nell’editoriale qui sopra e allora la prende per cercare di lasciare un segno. Anche piccolo, purché che assomigli al cambiamento che vuole vedere.
Ci sentiamo domani per la seconda I, e poi per la terza.
E poi chissà….
Spammini Tattici Nucleari™
Mannaggia mannaggia, niente Everyeye quest’oggi. Ma questo per un motivo banale: la lista degli ultimi speciali prodotti è questa e DAI LOL DOVE VOGLIAMO ANDARE. Nel resto del mondo invece:
Giulia Martino ha tirato fuori uno speciale sui migliori giochi dell’Ukranian Games Festival 2023. Se ti stai chiedendo dov’è l’analogo per il mondo russo, quello italiano o quello cileno, per favore disiscriviti immediatamente da questa newsletter;
Azalona è uno dei Content Creator con cui sono più affine. Ha l’ironia di chi nella vita l’ha presa fin troppo nel culo e ha dovuto imparare che o ridi o muori e una profondità che non è per un cazzo scontata, soprattutto se ti sei cucito addosso il personaggio di Caotico Neutrale. Con questo pezzo mi ha ucciso dentro. Leggilo;
In più sul filo di lana per la stesura della newsletter il solito Amaterasu ha droppato una SegaMentale™ fichissima sul concetto di escapismo. Ormai il ragazzo è lanciato.
L’invito è il solito. Questa settimana abbiamo visto che siamo tuttə un sacco bravə a lamentarci quando arrivano le critiche ai nostri portali perché “delegittimano il nostro lavoro”, però intanto di questo tanto decantato lavoro non vedo traccia andando a cercare sui sitini. Magari sono cieco io. Spammami qualcosa.
Sempre per il ciclo “la Game Critic che si offende” la scorsa settimana si è aperta con un revival della questione IGN Italia. Nello specifico, ha dato fastidio che nel post uscito sui social lunedì scorso si puntualizzasse come le recensioni vengono pagate “5€ dall’IGN Italia di turno”.
La motivazione dietro questo fastidio è anche legittima a modo suo. Nel senso che sì, IGN Italia paga una miseria – non è che gli altri paghino meglio eh, perché 20€ sono comunque ridicoli – ma lo fa a fronte di una linea editoriale che non fa clickbait (vero), non ricorre ad editoriali beceri (parliamone, ricordo un pezzo su Messina Denaro e Donkey Kong anche qui, peraltro se non sbaglio proprio di Zave) e ad altre schifezze assortite.
La domanda che dovremmo porci è se come giustificazione basta. E io qua posso dare una mia risposta, che vale per me e magari per tante altre penne no.
Io ho scritto anche pro-bono e sono un sostenitore del volontariato. Non credo per nulla al ragionamento che piace tanto allə criticə marxistə per cui un sito che non paga toglie spazio ad un sito che paga riducendone gli introiti e quindi le paghe. Intanto perché se un sito senza budget riesce a fare il culo agli Everyeye e ai Multiplayer vuol dire che chi gestisce Everyeye e Multiplayer dovrebbe cambiare lavoro e farlo pure di corsa. E secondo poi perché l’incasso extra (assolutamente ipotetico) generato dalla sparizione del sito senza budget finirebbe nelle tasche dell’editore.
Everyeye dal 2019 ad oggi è cresciuto una madonna. Le paghe sono rimaste le medesime. Non prendiamoci per il culo.
Il volontariato però presuppone che io ti scriva quello che cazzo mi pare con i tempi che cazzo voglio io. Se mi fissi una scadenza e/o un argomento, allora voglio dei soldi. Accetterei di scrivere per 5€ su IGN Italia solo:
A garanzia di determinate libertà. Posso scendere a compromessi sul linguaggio, eventualmente se proprio fa piacere a chi pubblica i pezzi anche alle regole inutili che il plugin Yoast SEO di Wordpress consiglia per indicizzare meglio il pezzo. Però se voglio scrivere dell’architettura su Talos I in Prey me lo fai scrivere, il tuo arbitrio si limita a dirmi si o no e alle questioni formali. Se no ti inculi;
Se la cosa mi permettesse di raggiungere un pubblico che con Gameromancer non raggiungo. I compromessi fanno schifo, ma per quanto mi riguarda la causa viene prima di tutto. Ho patito abbastanza quando i primi pezzi che scrivevo su TGM finivano nei vari format di lettura e discussione degli articoli mentre la roba che scrivevo per Ilovevg, che ritengo assolutamente allo stesso livello di qualità e dignità, veniva snobbata. Però non ci posso fare un cazzo: Ilovevg per il gotha del videoludo™ non esisteva e tutt’ora non esiste;
Posso fare questi ragionamenti perché sono un privilegiato. Ho un lavoro che mi paga il mutuo e le spese, e quindi non devo vivere scrivendo di giochini. Gioco sapendo che un “no” non mi potrebbe far nulla, perché ho il lusso di essere Gameromancer e su Gameromancer delle logiche commerciali ce ne siamo sempre sbattuti il belino, quindi anche se il pezzo sull’architettura su Talos I non ha mercato sticazzissimi.
L’altro mio grosso privilegio è questo: c’è della gente che è interessata a quello che ho da dire. Tanta, poca, quello che ti pare. Però c’è. Tirano fuori 100€ al mese su Patreon. E probabilmente quella stronzata sull’architettura su Talos I se la leggerebbero pure, e più volentieri ancora se la ascolterebbero come podcast. Oltre a chi paga ci sono qualche migliaio di persone sui social – che sì, sono il contenuto più “superficiale” di GR, ma non hai idea di quanto sia liberatorio scrivere un post. Anzi, provaci – e quasi 800 su Telegram in #JoinTheRebellion. Dovresti proprio unirtici anche tu, a questa ribellione. Sono numerelli e rimarranno tali, ma sono i nostri numerelli. E se entri possono essere anche i tuoi, qua è tutto dal basso.
Se sei arrivato qui in fondo anche a te allora interessava cosa avevo da dire. Almeno un po’. Che tu sia unə dellə iscrittə alla newsletter o sia statə attiratə dal titolo catchy – che non è clickbait, è catchy, poi te la spiego la differenza – intanto sei arrivatə a questo punto. Meriti un grazie per questo. Ma già che hai fatto 30, famo 31, no? Discutiamo di quello che hai appena letto. Cerchiamo di capire dove sta andando e dove potrebbe andare la Game Critic, ragionano sul dove dovrebbe.
Facciamoci delle cazzo di domande mettendo in dubbio tutto. A Norimberga era pieno di gente che “eseguiva solo gli ordini”.
Not All Everyeyes
Rispettare l'utenza con contenuti decenti è il futuro.
Non c'è un cazzo da fare.
Penso che creare una dimensione più intima, che non tradisca la fiducia di chi ti segue è qualcosa di più che importante: come giustamente avete scritto, I portali pagano una miseria e non puoi sostentarti a fronte di 20 euro a articolo.
Questo porta a l'assenza di professionalità da ogni redazione.
Non vuol dire che non ci siano buone penne, ma nessuno o quasi, può definirsi un professionista del settore.
Per questo, bisogna riprenderci in mano quell'utenza che vuole contenuti di approfondimento, contenuti diversi e che descrivano gli aspetti tralasciati dai grandi siti.
Grazie alla game critics internazionale il videogioco da hobby splendido e profondo, mi sembra che si stia trasformando in un fast food.
Non è colpa solo delle redazioni eh, è anche colpa della quantità di titoli interessanti che escono, ma il videogioco andrebbe rispettato di più, non puoi gettare quel lavoro dopo una recensione, specialmente oggi che tra patch e DLC un gioco dopo 6 mesi è completamente diverso dal day One.
Per quanto riguarda il discorso Atari, a me è girato terribilmente il cazzo per come l'autore del pezzo è stato trattato: al di là del fatto che l'errore fosse del titolista, la bile e l'acidità delle persone mi hanno fatto venire il vomito.
Come già ho scritto in privato a Pietro, in questo ultimo periodo ho capito molte cose della community di retrogaming italiana.
E non c'è verso: ovunque la si guardi, apparte piccolissime oasi, fa cacare.
È composta da boomer rosiconi che in passato sono stati bullizzati per le loro passioni e ora bullizzano di riflesso i più giovani, per quella che è stata una svista di un titolista.
Per quanto riguarda lo storytelling americanocentrico, stiamo parlando di un problema veramente grosso: se continuiamo a tradurre libri più o meno accademici dagli USA, se continuiamo a formarci su contenuti americani perché in Italia sull'argomento se ne producono veramente pochi ( e quando cerchi di farlo, lo fai nell'indifferenza più totale), il risultato è quello: un overriding della storia americana sopra alla storia mondiale.
Pensiamo tuttə che il grande crash videoludico sia esistito e sia un qualcosa che abbia plasmato l'intero mercato mondiale, ma se ci si pensa bene, se quel crash avesse pesato mondialmente, come è possibile che Sega e Nintendo decisero di ingegnerizzare home console?
E i pc?
Questo tipo di narrazione è un grosso problema, anche parlando di informatica in generale.
Parliamo molto di commodore e altri pc, ma perché non si parla mai di Olivetti?
Che ok, magari nel gaming non ha fatto un cazzo, ma ehi: i pc Olivetti in Italia erano in qualsiasi ufficio.
Insomma, bisognerebbe fare delle ricerche serie sull'argomento, chiarire cose sia su Atari, sia sul crash, sia di come Asia e Europa fossero marginalmente toccate dalla cosa: bisogna fare capire alla gente che il deserto di Alamogordo non è dietro Roma, è una menzogna che è dentro la nostra testa e che è difficile da estirpare.
Pensiamo, troppo spesso, che ciò che accade all'informazione sui videogiochi sia peculiare: invece, è ciò che succede a chiunque lavori nel settore dell'informazione e del giornalismo.
Le persone vengono pagate poco per scrivere sui maggiori quotidiani nazionali di cronaca nera, di sport, di politica e di economia.
I progetti di cui oggi vantiamo le lodi e solleviamo da terra per ergerli a modello virtuoso hanno bisogno del sostegno diretto delle persone, degli abbonamenti, delle donazioni: altrimenti, avevano, forse, già chiuso perché solo con la pubblicità, a una certa, finisci per non riuscire a star dietro alle spese. Se vuoi lavorare in un certo modo, almeno.
Sui videogiochi, però, c'è da dire alcune cose: già l'informazione tutta interessa pochi; l'informazione estesa, approfondita e acculturata interessa ad ancora meno persone. E questa cosa, prima o poi, dobbiamo accettarla, perché significa che siamo in 1.000, ma c'è spazio per 10. Ed è chiaro che chi sta fra i 990 rimasti fuori - e mi ci metto in mezzo - non può che subire le conseguenze, la frustrazione e anche il peso di inseguire un modello per cui, probabilmente, lo spazio non c'è.
Lavorare meglio significa lasciare da parte i clic (e le visualizzazioni e le pubblicità) e i volumi e pagare di più: ci sto. Sono d'accordo che sia la via da seguire per salvare ciò che può essere salvato.
Ma sarò franco: chi ce li mette i soldi per la qualità? Il punto è sempre questo.
Si chiede la qualità, ma poi si fa come in chiesa durante la raccolta delle offerte: si finge di non vedere la persona col retino.