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Avatar di Pacione

Rispettare l'utenza con contenuti decenti è il futuro.

Non c'è un cazzo da fare.

Penso che creare una dimensione più intima, che non tradisca la fiducia di chi ti segue è qualcosa di più che importante: come giustamente avete scritto, I portali pagano una miseria e non puoi sostentarti a fronte di 20 euro a articolo.

Questo porta a l'assenza di professionalità da ogni redazione.

Non vuol dire che non ci siano buone penne, ma nessuno o quasi, può definirsi un professionista del settore.

Per questo, bisogna riprenderci in mano quell'utenza che vuole contenuti di approfondimento, contenuti diversi e che descrivano gli aspetti tralasciati dai grandi siti.

Grazie alla game critics internazionale il videogioco da hobby splendido e profondo, mi sembra che si stia trasformando in un fast food.

Non è colpa solo delle redazioni eh, è anche colpa della quantità di titoli interessanti che escono, ma il videogioco andrebbe rispettato di più, non puoi gettare quel lavoro dopo una recensione, specialmente oggi che tra patch e DLC un gioco dopo 6 mesi è completamente diverso dal day One.

Per quanto riguarda il discorso Atari, a me è girato terribilmente il cazzo per come l'autore del pezzo è stato trattato: al di là del fatto che l'errore fosse del titolista, la bile e l'acidità delle persone mi hanno fatto venire il vomito.

Come già ho scritto in privato a Pietro, in questo ultimo periodo ho capito molte cose della community di retrogaming italiana.

E non c'è verso: ovunque la si guardi, apparte piccolissime oasi, fa cacare.

È composta da boomer rosiconi che in passato sono stati bullizzati per le loro passioni e ora bullizzano di riflesso i più giovani, per quella che è stata una svista di un titolista.

Per quanto riguarda lo storytelling americanocentrico, stiamo parlando di un problema veramente grosso: se continuiamo a tradurre libri più o meno accademici dagli USA, se continuiamo a formarci su contenuti americani perché in Italia sull'argomento se ne producono veramente pochi ( e quando cerchi di farlo, lo fai nell'indifferenza più totale), il risultato è quello: un overriding della storia americana sopra alla storia mondiale.

Pensiamo tuttə che il grande crash videoludico sia esistito e sia un qualcosa che abbia plasmato l'intero mercato mondiale, ma se ci si pensa bene, se quel crash avesse pesato mondialmente, come è possibile che Sega e Nintendo decisero di ingegnerizzare home console?

E i pc?

Questo tipo di narrazione è un grosso problema, anche parlando di informatica in generale.

Parliamo molto di commodore e altri pc, ma perché non si parla mai di Olivetti?

Che ok, magari nel gaming non ha fatto un cazzo, ma ehi: i pc Olivetti in Italia erano in qualsiasi ufficio.

Insomma, bisognerebbe fare delle ricerche serie sull'argomento, chiarire cose sia su Atari, sia sul crash, sia di come Asia e Europa fossero marginalmente toccate dalla cosa: bisogna fare capire alla gente che il deserto di Alamogordo non è dietro Roma, è una menzogna che è dentro la nostra testa e che è difficile da estirpare.

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Avatar di Massimiliano Di Marco

Pensiamo, troppo spesso, che ciò che accade all'informazione sui videogiochi sia peculiare: invece, è ciò che succede a chiunque lavori nel settore dell'informazione e del giornalismo.

Le persone vengono pagate poco per scrivere sui maggiori quotidiani nazionali di cronaca nera, di sport, di politica e di economia.

I progetti di cui oggi vantiamo le lodi e solleviamo da terra per ergerli a modello virtuoso hanno bisogno del sostegno diretto delle persone, degli abbonamenti, delle donazioni: altrimenti, avevano, forse, già chiuso perché solo con la pubblicità, a una certa, finisci per non riuscire a star dietro alle spese. Se vuoi lavorare in un certo modo, almeno.

Sui videogiochi, però, c'è da dire alcune cose: già l'informazione tutta interessa pochi; l'informazione estesa, approfondita e acculturata interessa ad ancora meno persone. E questa cosa, prima o poi, dobbiamo accettarla, perché significa che siamo in 1.000, ma c'è spazio per 10. Ed è chiaro che chi sta fra i 990 rimasti fuori - e mi ci metto in mezzo - non può che subire le conseguenze, la frustrazione e anche il peso di inseguire un modello per cui, probabilmente, lo spazio non c'è.

Lavorare meglio significa lasciare da parte i clic (e le visualizzazioni e le pubblicità) e i volumi e pagare di più: ci sto. Sono d'accordo che sia la via da seguire per salvare ciò che può essere salvato.

Ma sarò franco: chi ce li mette i soldi per la qualità? Il punto è sempre questo.

Si chiede la qualità, ma poi si fa come in chiesa durante la raccolta delle offerte: si finge di non vedere la persona col retino.

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