Ma che ne sanno le 2080TI
Come si chiama quel gioco su cui hai passato l'infanzia e non se lo ricorda nessuno e probabilmente la Gen-Z non sperimenterà mai questa sensazione?
Nominalmente devo una recensione a Bitmap Books per il loro Visual Compendium di Nintendo 64 (sì, quello flexato qualche episodio del podcast fa). Hashtag #gifted e stronzate da influencer a parte (che poi è ridicolo che dobbiamo hashtaggare ‘sti libri ma i codici dei giochini no), non ho assolutamente idea di che cazzo debba essere una recensione del genere.
Cioè, è un Visual Compendium su Nintendo 64. È pieno di roba, al punto che ci ho ritrovato dentro quasi tutta la mia libreria Nintendo 64 accompagnata da interviste, dichiarazioni di addetti ai lavori e pure qualche virgolettato da parte di giornalisti dell’epoca. Libreria che come più o meno tutte quelle di chi giocava su Nintendo 64 qui in Italia e viveva in un buco di culo annovera roba che non è manco lontanamente passata alla storia stile Ocarina of Time, ma ha più i connotati di un improbabile Automobili Lamborghini sviluppato da Titus Interactive (francese, e fallita male nel 2004).
Automobili Lamborghini peraltro nel Compendium di Bitmap Books non c’è. Ma ci sono due robe che penso genuinamente di aver giocato solo io e la mamma dei dev.
Visto il mio status di frode infatti facciamo che la recensione dell’Unofficial Visual Compendium di Nintendo 64 diventa una scusa per parlare di come sia una cosa che è possibile soltanto in riferimento a pochissime macchine (i PC pre-dominio di Windows e appunto N64) e soltanto in un’epoca pre-Internet a patto di vivere in determinati buchi di culo. Un po’ “ma che ne sanno i 2000” che intanto ridi e scherza c’hanno 24 anni, però magari è interessante.
Intanto podcastino clickbait™.
Barabba the Rapper
Messi davanti ad un bivio prendiamo quasi sempre la direzione sbagliata. Tra il Figlio di Dio mandato sulla Terra per salvarci tutti (un po’ come doveva fare l’indie, e infatti un po’ come l’indie pure Gesù poi s’è venduto alle multinazionali. Devolver Digital o Opus Dei cambia un cazzo) e un qualunque filibustiere graziamo il secondo, e chi dovrebbe urlarci “ma che cazzo fai” se ne lava le mani.
Però è proprio la scelta, il libero arbitrio, la possibilità di fare cose a dispetto di quanto previsto dal programmatore o dal designer, che rende il videogioco Verbo. È la scelta che dà significato all’esperienza di gioco, anche quando questa scelta all’atto pratico è apparente o fittizia.
È una puntata molto DAMS questa. A volte va così. Perché videoludicamente scorretto ancora oggi vuol dire questo: portare i videogiochi su strade poco battute, su domande poco poste. E dare risposte inaspettate.
Come si chiama quel gioco?
Negli ultimi anni 0 ci si imbatteva spesso in questa domanda sui forum. A volte eri proprio tu a porla, preso da una curiosità procedurale da soddisfare subito – è il rapporto che abbiamo da sempre con l’Internet, no? Reward immediata che poi priva di valore l’oggetto della tua ricerca.
Erano le ultime conseguenze del videogioco non ancora completamente industrializzato. Oggi i ragazzini si sparano gratis su Fortnite o vanno a lavorare nelle miniere di Roblox: roba accessibile, di massa e perfetta per essere veicolata da piattaforme sociali pensate a loro immagine e somiglianza. Noi non avevamo TikTok e anzi, col senno di poi un po’ ce l’abbiamo con Zuckerberg perché Facebook ha ucciso i forum e c’ha pure costretti a tornare ad utilizzare il nostro nome e cognome vero, non il nickname che c’eravamo scelti.
E soprattutto dovevamo fare i conti con un videogioco diverso.
Costoso, anche più degli 80€ del prezzo di listino di oggi sotto tanti punti di vista, perché meno avvezzi a spenderli e meno economicamente indipendenti di quanto possiamo essere ora che ci intestiamo macchine, bollette, mutui.
Scarso, non nel senso che i giochini facevano schifo (posto che insomma eh), ma perché oggi è facile aprire uno shop qualunque e scaricare in una mezz’ora 100 giga di versione digitale o alle brutte c’hai Amazon, all’epoca invece dovevi capire in che negozio andare e sperare che avessero qualche copia di quello che volevi. Altrimenti finivi per accontentarti di Superman 64 perché sulla copertina c’era il Superman del cartone che andava in onda dentro Game Boat su Rete 4.
Tribale, perché appunto Internet non c’era o quando c’era non era il posto che è oggi, non bastava googlare il nome del gioco per trovare (oltre a un sacco di merda, ça va sans dire) essai, approfondimenti, podcast e stronzate che approfondiscono la dimensione culturale dell’oggetto ludico. E quindi nella pratica poteva succedere che nella tua cerchia – nella tua tribù – si decidesse arbitrariamente che DOOM in fondo era una ciofeca rispetto a Turok: Dinosaur Hunter. Cioè vuoi mettere? Ci sono i dinosauri!
In N64: A Visual Compendium c’è peraltro un’intervistona a Remington Scott, oggi auctoritas del motion capture e all’epoca sotto contratto con Acclaim e coinvolto prepotentemente nello sviluppo di Turok.
È proprio questo senso di tribalità che caratterizza questo videogioco pre-industriale, ancora non così succube del capitalismo e molto più simile all’artigianato. A metà della nona generazione di console quando riguardiamo alla quinta, in particolare quando riguardiamo a Nintendo 64, uno dei nomi che viene fuori con più insistenza è quello di Rare. I britannici capaci di inventare lo sparatutto in prima persona da controller con 007 Goldeneye, di sfidare in casa sua Super Mario 64 con Banjo-Kazooie, per quanto mi riguarda di batterlo quando si parla di kart con Diddy Kong Racing. Quasi nessuno si ricorda di Blast Corps.
Blast Corps era una roba strana. Non saprei manco in che genere inserirlo, in realtà. “Se tiri giù degli edifici sarà per forza divertente”. Il concept dietro il gioco è questo, un’idea che Chris Stamper (co-fondatore di Rare assieme al fratello Tim) si porta dietro da anni ma che riesce a trovare corpo solo in quella cartuccia del ‘97 su quella console dove in mancanza di tutti gli altri nomi che avevano carryato Nintendo al successo a Kyoto devono pescare per forza in occidente. E oh, oggi so che “essere divertente” non vuol dire nulla dal punto di vista critico e non conferisce valore a qualcosa più di quanto non lo faccia “essere blu”. Però Blast Corps era davvero divertente. I livelli erano una manciata, ma tanto sostanzialmente a me interessava giocare per ore e ore quelli dove potevi usare questo mecha giallo col jetpack che scassava gli edifici crollandogli addosso. Era Michael Bay: The Game prima ancora che Michael Bay facesse i soldi con la pala. Era un sandbox ignorante che anticipava a grandi linee il modo in cui avremmo giocato i Grand Theft Auto tridimensionali qualche anno dopo, sbattendocene assolutamente della trama e andando in giro a fare casino per il gusto di farlo. Solo che probabilmente mancando le parolacce e le puttane Blast Corps s’è fermato lì a casa mia invece di entrare in quelle di tutti.
Facile ricordarsi di F-Zero e Wipeout, probabilmente nei loro anni di grazia perché l’automotive tirava ancora una madonna e ci piaceva sognare questo futuro cyber-positivo di corse a zero-g e tecno-edonismo sfrenato. Quanti hanno giocato Extreme-G invece? Uscito l’anno prima di F-Zero X e di WipeOut 64, provava a buttare in mezzo anche stronzatine a la Mario Kart nella mischia, con turbi e bombe e roba del genere raccattabile lungo la pista. Aveva circa lo stesso frame-rate di Andreotti ospite da Paola Perego su Canale 5. Ma appunto, giocavi quello che capitava sotto mano e io alla fine F-Zero X l’ho scoperto per caso anni dopo a casa di un amico Nintendo64-munito anche lui, però lo stesso amico aveva anche la cartuccia del già citato Diddy Kong Racing e per un bel po’ non avrei avuto altro racing game al di fuori di quello.
Guardandomi indietro il motivo per cui gioco tanto indie oggi forse è questo. È effettivamente il segmento di mercato che va più vicino a quel flavor.
È ancora artigianato (anche se sempre meno, perché Devolver e Annapurna hanno sdoganato e adesso sono arrivate le big-corp pure lì). È ancora in una certa misura tribale, vive di passaparola più che di grandi investimenti per avere il trailerone mandato on-air durante i TGA o le metropolitane tappezzate di manifesti. Nella tribù di Gameromancer spesso e volentieri ritornano fuori nomi di cose che ok, sono sicuramente più note di Blast Corps, ma non hanno venduto necessariamente le milionate. Everhood qua in Italia lo si è discusso quasi solo noi, per esempio.
Everhood è una cattedrale nel deserto di questo ultimo periodo videoludico, costruita con secchiello e paletta. Non perdere altro tempo a leggere, apri quel cazzo di eShop.
Ma se proprio vuoi leggere, Sacro Blog™ →
Non è chiaramente la stessa cosa e non può esserlo. Forse smetterà pure di assomigliarglici, a breve, appunto perché ormai l’indie sta diventando sempre più Tripla-I e tutto quello che ci abbiamo visto all’alba del movimento grazie ai World of Goo e ai Super Meat Boy finirà relegato su itch.io. Sempre finché poi anche lì non arriva la Devolver di turno a notare quanto quel Sacrifices Must Be Done di un certo Daniel Mullins sia una ficata e dandogli due lire ecco che abbiamo Inscryption.
Però voglio restare ottimista. Don’t You (Ludum) Dare go hollow.
Un po’ di podcastini clickbait™
Se vuoi sentirci cianciare di altri giochini dell’epoca, recupera questa:
PlayStation 1 o Nintendo 64? Special Guest: Francesco “SuperDipi” Di Pietro
Ma la vera notizia è che sono tornati i cazzo di Gameromancer col Rolex™ nel loro formato long-form-mini-essay sui temi di cui non si occupa uno stracazzo di nessuno del videoludo. Tipo, di Aloy si è parlato sempre e soprattutto a livello di estetica per via della Face Rework Mod, delle Guerre Memetiche, dei fasci che rompono i coglioni perché vogliono giocare nei panni delle sorche e via così. Il risultato è che ci siamo persi il personaggio che sta sotto le texture, che è molto di più di una bellezza plausibile perché c’ha la barba. E quindi…
La figura messianica della cazzo di Aloy
Solito discorso. 5€ (due canne, dai [cit.]) per sentire il mini-episodio, possibilità di attivare la trial gratuita di 7 giorni che dà accesso a tutti gli altri Rolex™ e volendo primi 5 minuti dove flexo facendo il fenomeno free to listen direttamente su Patreon.
Per supportare la causa della Ribellione basta anche un euro solo, che permette di adottare un DAMS a distanza e di entrare nel gruppo riservato a chi paga. In alternativa puoi subbarti su Twitch, specie se ti balla la sub di Prime e non sai a chi darla. Tornerà anche quello, in una forma molto probabilmente più rilassata e meno ossessiva, perché le novità quelle vere™ saranno in podcast. Ma sto dicendo troppo…
Ah già, se paghi l’abbonamento Rolex™ (o quello Avvisi di Garanzia con le uncut delle puntate del podcast) puoi ascoltare tutto comodamente da Spotify.
Cosa sono i tagli ai finanziamenti per i cartoni "Made in Italy" se non l'ennesima dimostrazione che a questo governo dellə giovanə non frega un cazzo?
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Al di là dell'intrattenimento per lə più piccinə che si ritroveranno ancora una volta a doverne pagare le conseguenze (figuriamoci, non succede mai) i pensieri vanno a quelle più o meno 6000 persone che lavorano per gli studi d'animazione italiana, soprattutto giovanə tra i 20 ed i 30 che, pensa un po', ai piccolə ci pensano. Qualcosa come 50 aziende che si ritroveranno senza finanziamenti perché non appartengono alla cerchia fatta da balneari, industrie immanicate, aziende di proprietà di qualche parlamentare.
Per di più tagli ipocriti voluti da un governo che tanto pare preoccuparsi dell'autarchica provenienza dei suoi prodotti, che si spende una madonna per tutelare i prodotti "fatti in Italia" al punto di istituire un ministero per preservarli e che decide poi di mandare tutto affanculo se non si tratta di robe che gli garbano, servendo un altro assist all'unico player dell'animazione italiana rimasto in campo, caso vuole sia proprio la RAI.
Forse siamo noi che oramai ci abbiamo fatto un po' il callo visto che siamo cresciuti con gli insulti ai cartoni animati giapponesi troppo violenti e quelli americani di Cartoon Network troppo stupidi (laughts in Leone il Cane Fifone), ma non posso che dispiacermi ancora una volta per chi sta arrivando dopo.
Una generazione di sognatorə a cui stanno tarpando le ali, e senza una Zorba che insegni loro a volare.
Le emozioni più forti della mia vita sono nate da un PC.
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Non mi interessa dissare Umberto Galimberti per una cit (magari pure stravolta ad arte da La Stampa, che questo giochino lo fa spesso) dove sostiene che riempiendo le scuole di romanzi invece che di PC tutti saprebbero cos'è l'amore. Non mi interessa perché so già che tanto i romanzi quanto i PC sono solo canali, l'emozione dipende dal contenuto, non da come ti arriva nell'anima.
E quindi le emozioni più forti della mia vita sono date da un PC. Non è quello il punto.
Mi sarei sentito ugualmente onnipotente come la prima volta che ho piegato una macchina al mio volere facendogli eseguire delle linee di codice se avessi scolpito una statua o dipinto un quadro. Mi sarei sentito ugualmente ferito da quella persona se mi avesse fottuto a sangue IRL piuttosto che in rete. In realtà mi ha fottuto IRL, perché la rete fa parte di quella maledetta "real life".
Non esistono emozioni di serie B e ti assicuro che l'idea che "tanto è successo su Internet" non è di nessun conforto. Non fa nessuna differenza. Internet dà e toglie con la stessa scellerata freddezza di qualunque altra cosa. Dietro lo schermo c'è un essere umano, esattamente come dall'altra parte delle pagine di un romanzo.
The Boss in Metal Gear Solid 3 dice le stesse cose di John Lennon in Imagine. Cambia solo la forma in cui il concetto è espresso, il significato è lo stesso a prescindere dal significante.
Se non riesci a provare la stessa emozione il problema è tuo.
Non dovresti mai sentirti in colpa se non ti sta piacendo il giochino del momento.
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
Sarebbero anche cazzi tuoi, eh. Non c'è scritto da nessuna parte che i nostri gusti debbano essere omologati. Anzi, il fatto che ce li abbiamo fatti diventare è il motivo per cui è dal 2015 che giochi clonazzi e clonazzi di The Witcher 3, al punto che a maggio uscirà Tsushima su PC e non sembreranno mica passati 4 anni dall'uscita originale, alla fine trovi gli stessi sistemi anche in Final Fazio 7 Rebirth.
Hai tutto il diritto di farti stare sul cazzo Dragon's Dogma 2, Horizon Forbidden West o quello che ti pare.
Hai tutto il diritto di trovare il primo troppo artificioso perché non ci sono le cavalcature, il secondo troppo poco wRPG perchè è "troppo semplificato", è giusto anche che ti abbia fatto schifo Baldur's Gate 3 perché c'era troppa roba e ti veniva l'ansia. Non devi rendere conto a nessuno di quella che è la tua esperienza personale: finché non hai la pretesa di essere equiparatə al Vangelo vale tutto.
Ricordati anzi che pure del Vangelo esistono 4 versioni diverse. Senza contare quelle apocrife.
Dobbiamo iniziare a separare il gusto dalle analisi di critica. Dobbiamo forse rassegnarci al fatto che le analisi di critica non sono manco così importanti, qualunque stronzə sa dirti che Dragon's Dogma 2 a volte ha meno frame al secondo dell'Urlo di Munch.
Dobbiamo soprattutto mettere un freno a 'sta cazzo di peer pressure per cui se tutti dicono che è fico allora è fico.
Perché se no finisci per giocare cloni di The Witcher 3 per una decade solo perché gli abbiamo dato una marea di premi.
Spammini Tattici Nucleari™
Substack questa settimana mi ha spammato questo pezzo via mail. Ci (anzi, mi) riguarda un po’ alla lontana, perché qui
si fa delle domande che mi sto facendo anche io da un po’. E che mi sto facendo un po’ anche per colpa/merito suo dopo uno scambio che abbiamo avuto “di persona”.Sto un po’ mettendo in dubbio non tanto l’idea dietro GR ma alcune metodologie. Perché mi sono reso conto che parlare con le persone, anche solo su Discord o al telefono, è diverso dal discutere a mezzo social. L’anno scorso mi è successo non solo con lei, ma anche con un paio di persone che fanno parte della bolla giochini. E va detto che in realtà sono un coglione e avrei dovuto capirlo dall’esperienza che abbiamo avuto su Twich: gli stronzi esistono e va bene litigarci, ma #NotAllStronzi.
Il caso di Sweet Baby Inc: le polemiche e lo spettro del Gamergate
Gennaro Saraino mansplaina il Gamergate e questo suo ennesimo ritorno di fiamma. Lo fa sul sito del male, ma va benissimo così.
Pensa, mi tocca scrivere “leggi su Everyeye” →
Playdead: il silenzio è di chi lo riempie
Qualche settimana fa si parlava di silenzio. E allora ben volentieri si propone questo contributo di Francesco Farina su pop-eye che continua ad essere un sito da sborrarsi addosso.
Clicca per credere →
Chiudo con questa mezza auto-promozione che si ricollega anche, in parte, al primo spammino. Non voglio aggiungere altro, è tutto nel pezzo se c’hai cazzi di leggerlo. Se non ce ne hai, pace.
Ho detto già fin troppo delle cose che vorrei fare e che penso (spero) faremo prossimamente. La Ribellione checché se ne dica resta una ribellione contro chi tratta la Cosa Videoludica come merce invece che come arte.
Nei prossimi mesi voglio rimettere il videogioco al centro del discorso. Non vuol dire assolutamente “fuori la politica da Gameromancer”. Vuol dire che voglio ripartire dal videogioco per poi costruire battaglie, inchieste, contenuti. Voglio tornare a dare spazio a chi il videogioco lo fa e che negli ultimi anni ne ha avuto un po’ meno.
Voglio in generale diventare migliore. Imparare dagli errori fatti, riflettere su certi metodi adesso che ho visto cosa c’è dall’altro lato di questi. Far diventare Gameromancer la casa per momenti di aggregazione come PitchAGame, e non un posto dove sfogare la propria rabbia e basta, giusta o sbagliata che sia.
Voglio soprattutto dare dignità all’aspetto performativo del progetto. Mettere in chiaro che è una maschera, e dietro questa ci sono delle persone. Fallibili, imperfette persone che ci provano. E che non sono necessariamente 24 ore al giorno gli stronzi che si pensa siano.