Le conseguenze dei brevetti nell'industria dei videogiochi
Tutto quello che stiamo perdendo in nome dell'arricchimento di pochi
Se la gente avesse compreso, al tempo in cui gran parte delle idee odierne sono state sviluppate, come si sarebbero concessi in futuro i brevetti, e avesse allora ottenuto brevetti, l'industria del software sarebbe oggi ad un punto di stallo completo.
— Bill Gates, fondatore di Microsoft
Pensa come sarebbe usare un PC oggi se la Apple di Jobs avesse ottenuto il brevetto per l’interfaccia graf… Anzi no. Prima cito di nuovo Gates. Perché la risposta l’ha già data lui (con una coda di paglia enorme, ma per ora non ci interessa. Un po’ come il fatto che l’interfaccia grafica in realtà se la sia inventata Xerox).
[…] Ma siamo realistici, chi ha creato le barre dei menu File, Modifica, Visualizza e Aiuto? Volete tornare indietro al Mac originale e pensare da dove vengono quelle interfacce?
— Sempre Bill Gates rosicando un po’ sul tema “chi ha inventato l’interfaccia grafica?”
Ecco come sarebbe usare un PC oggi se agli albori dell’informatica di consumo fosse partita una gara a chi c’ha il brevetto più lungo. Avremmo prodotti molto più difficili da usare, proprio per questo meno diffusi sul mercato, e proprio per questo più costosi e meno utili.
Ora immagina la stessa cosa ma applicata ai videogiochi.
Prima di entrare nel vivo del discorso però come al solito devo advertizzare i nostri podcastini.
Zack e Cozy al Grand Hotel
È esplosa la moda dei cozy games. Là dove prima c’era sostanzialmente solo Animal Crossing adesso anche roba come, boh, il recentissimo Tiny Glade (che è un city builder senza la parte pallosa di numerini & sostenibilità, costruisci ebbasta) spaccano e raccolgono consensi su Steam.
È un po’ sintomatico dei tempi che stiamo vivendo. Forse stiamo iniziando a rimettere al centro delle nostre vite la salute mentale, e quindi che ci siano giochini pensati per il relax senza le botte e con tanta mindfulness ci fa stare bene. E quindi li compriamo.
O forse ci piace solo fare il punto croce usando i Joy-Con di Switch.
All’Ombra di Morton
Doverosa premessa iniziale: La Voce della Ribellione non è
, e manco vuole esserlo. A me interessa discutere le conseguenze dell’idea del brevetto applicata al videogioco, non fare informazione (tanto più che manco Pocketpair sa ancora quali brevetti Nintendo sostiene Palworld stia violando).L’informazione è una roba che va lasciata a chi fa il giornalista con una certa professionalità.
è uno dei pochi nomi che metto in questa lista all’interno dei videogiochi. Per cui visto che ne ha già parlato lui rimando alla sua issue e qui mi occupo di quello che mi interessa: la critica, non l’informazione.Altra doverosa premessa iniziale: non sono “dalla parte di Pocketpair”. Mi ha fatto abbastanza schifo il comunicato che han buttato sui social appena ricevuti gli avvisi di garanzia da Kyoto, dove ci si piangeva addosso e si rivendicava di essere indie che lottano perché l’indie possa continuare a esistere. C’hai una società con due controllate di Sony, indie magari anche no.
Sono semplicemente dell’idea che i brevetti nei videogiochi ci abbiano scopato e ci stiano scopando il culo senza manco usare la vasellina, perché Nintendo nello specifico non si è inventata nulla e ci sono un sacco di precedenti che hanno messo un freno al progresso del medium perché era più importante tutelare lo sfruttamento economico di pochi rispetto al benessere per tutti.
Oggi voglio raccontare alcune di queste storie. Perché l’unica cosa che può salvarci come specie è l’empatia, e proprio per questo raccontiamo storie da che si è inventata la scrittura 6000 anni fa.
La prima di queste storie inizia in collina. C’è traffico e nevica, al punto che le macchine fanno fatica a ripartire e finiscono per scivolare ogni volta un po’ indietro. Ho dimenticato di dire una cosa: siamo in Giappone. Come conseguenza quello che succede non sono automobilisti incazzati che si attaccano al clacson, ma persone che decidono che la cosa più sensata da fare sia avvicinarsi dolcemente alla macchina davanti alla loro e spingerla un po’ se va in affanno. “Peccato non poter ringraziare quelli dietro”, pensa Hidetaka.
Hidetaka di cognome fa Miyazaki. Non lo sa ancora, ma sta lavorando a quello che diventerà il fenomeno più pop della storia recente del videogioco.
Quel viaggio in macchina sulla neve in Demon’s Souls si traduce nella possibilità di evocare i Phantom e lasciare per terra messaggi per “quelli dietro”. Aiuti, consigli, incoraggiamenti, anche inganni e minacce in realtà, perché come specie sappiamo dispensare il bene tanto quanto il male, i videogiochi si limitano semplicemente a ribadire l’ovvio by design. Su quella collina nasce l’idea di multiplayer asincrono così come esiste ancora oggi nelle opere di From Software. Hidetaka non lo sa ancora. Non lo sa nemmeno Hideo (lui di cognome ovviamente fa Kojima), perché Demon’s Souls è distante nel tempo 10 anni e un divorzio pesante con Konami da Death Stranding.
Senza quei 10 anni, senza quel divorzio, Death Stranding non potrebbe esistere. Non tanto perché Konami non darebbe mai l’ok ad un progetto così – quegli scalzacani hanno chiuso i rubinetti anche per Metal Gear Solid V –, ma perché senza perdere tutto ed essere costretto a ripartire dai legami dalle corde che gli restano a Hideo l’idea del Social Strand System non verebbe mai. È il multiplayer asincrono di Dark Souls, ma votato esclusivamente alla collaborazione. Quando Sam chiede incoraggiamento a qualcuno nella sua partita single player arriva la voce di un altro Sam a dirgli di non mollare. Di più, connessa una zona alla rete chirale si può accedere alle strutture e alle attrezzature lasciate da altri giocatori, sulla base del numero di like lasciati e ricevuti su queste. È il terreno stesso a modellarsi sulla base di come Death Stranding viene giocato. Non solo quando nel capitolo 3 si costruisce tuttə assieme una strada capendo quanto cazzo sono importanti per noi le strade: la terra si deforma quando i Sam la calpestano, e i sentieri più battuti finiscono inevitabilmente per rimanere segnati da questo passaggio.
Siamo di nuovo su quella collina dove cade la neve. Partendo dalla stessa meccanica e raffinandola Kojima Production ha costruito così come abbiamo fatto sempre nella storia dell’essere umano: sulle spalle dei giganti.
A questa storia manca una cosa fondamentale, cioè il cattivo. Nella vita reale siamo a corto di re e non esistono i draghi, ma abbiamo inventato quella bestia che risponde al nome di capitalismo. E quindi Sony decide di mettere sotto brevetto quanto inventato da Kojima Production, reclamando come sua di diritto l’idea di influenzare il mondo di gioco nella partita di un giocatore sulla base delle strade percorse da altri giocatori. Nessuno potrà più salire sulle spalle dei giganti. Nessuno potrà più migliorare il lavoro di Kojima Production senza l’avallo di Sony.
È forse il momento in cui il claim di PS4, “4 The Players”, inizia a venire meno.
È sempre stata una supercazzola, 4 The Players, perché quando sei quotato in borsa il motto è sempre “4 The Stakeholders”. Fino a quel momento però c’era stato un certo pudore nel comportarsi così, forse ancora memori del disastroso lancio di PS3 dove secondo Ken Kutaragi avremmo fatto un secondo lavoro da Burger King pur di lasciare 600€ a Sony.
Per la seconda storia dobbiamo tornare all’estate del 2006. Non c’entrano i Mondiali in Germania, fanno solo da sfondo al fatto che io, che in casa avevo Xbox, sto passando per quella che credo sia stata l’ultima volta nella mia vita un paio di mesi a casa dei “parenti di giù”. Tutti i miei cugini hanno ovviamente quella PlayStation 2 che fino a quel momento non m’ero inculato di pezza. Oggi possiamo giocare God of War anche sui PC e giriamo con in tasca device che possono emulare tranquillamente PS2, all’epoca invece vigeva l’unica vera dittatura mai esistita nel gaming: il monopolio quasi assoluto di PlayStation 2. Su Xbox ho giocato diversa bella roba, ma quell’estate i miei cugini erano Prometeo e mi stavano portando il fuoco: Devil May Cry, Resident Evil 4, Gran Turismo 4 con le sue 24 ore al Nürburgring… Eppure la cosa che mi fa più impazzire sembra una cazzata. Ogni volta che lanciamo Tekken 5 il caricamento iniziale è mascherato dal fatto che il gioco ci lascia giocare un altro gioco.
Parte un rail shooter 3D che non ho mai visto e che per dirla tutta non è nemmeno così rivoluzionario, visto che c’ha la mia stessa età. Però la cosa che lanciando Tekken 5 parte Starblade e puoi giocarci mentre il gioco carica mi fa esplodere il cervello. È geniale. [Nota: lo faceva anche il primo Ridge Racer su PS1, ma non l’avevo giocato ed è una storia personale, per cui che voi?]
Qualcosina – non disponibile su Xbox – ci va vicino, eh. Dragon Ball Z: Budokai 3 ha quella schermata di caricamento dove devi girare gli analogici per far spawnare i Saibamen, e Devil May Cry 3 fa quella roba che alla pressione di qualche tasto simula un colpo di spada sulla scritta “loading”, però Tekken 5 gioca al rialzo. Perché cazzo non c’è la stessa cosa in TUTTI i videogiochi? Cioè, sto passando l’estate a constatare quanto si possa riempire di mini-giochi un gioco, per colpa di Final Fantasy X. Basta semplicemente fare la stessa cosa ma durante i caricamenti.
Perché gli sviluppatori non lo fanno? Beh, perché non possono. Namco ha brevettato l’idea.
E rimarrà sotto brevetto per altri 9 anni, fino a che in pratica non avremmo più bisogno di mascherare i caricamenti perché a meno che non ti chiami di nuovo Hidetaka non ce n’è bisogno. E ce ne sarà ancor meno bisogno con l’avvento degli SSD su console, l’unica cosa davvero next di questa gen. E chissà quante ore di noia abbiamo dovuto subire perché Namco voleva farci sopra due soldi.
L’ultima storia è la storia che conoscono tutti. La storia di uno dei giochi più derivativi della sua generazione – perché è inutile girarci attorno, L’Ombra di Mordor ricopia tantissimo gli Assassin’s Creed della sua epoca – che grazie a quest’idea riesce comunque ad entrare nella storia del medium e ad essere ricordato, solo che poi Warner Bros. forgia un brevetto per domarla, un brevetto per ghermirla e nel buio incatenarla. E quindi quell’idea fa quello che fanno le idee quando non si possono esprimere: muore.
Il Nemesis System risolve uno dei problemi principali di quei generic-open-world-rpg che per qualche motivo sono diventati il nuovo sexy sul mercato. Ad un certo punto il contenuto secondario emerge per quello che è, roba ripetitiva o al massimo quando va bene generata pseudo-proceduralmente seguendo sempre la stessa struttura. In Shadow of Mordor invece gli Uruk ricordano. E crescono. Se ci ammazzano diventano più forti e più difficili da affrontare, se sopravvivono ad uno scontro vengono promossi e meditano vendetta.
Warner ha ufficialmente ottenuto il brevetto di tutto questo nel 2021, e ha la possibilità di mantenerlo fino al 2035. Nel frattempo, l’unica altra cosa vagamente simile al Nemesis System vista in un videogioco è in Assassin’s Creed: Odyssey (2018), dove sono presenti una ventina di mercenari che in modo assolutamente casuale braccano Kassandra/Alexios in giro per la Grecia spawnando anche durante le missioni principali ed introducendo un po’ di alea nell’esperienza di gioco. I mercenari non hanno memoria e non diventano più difficili da combattere quando vengono ammazzati: dell’idea del Nemesis System è rimasto solo questo, perché alla fine il senso dei brevetti per le aziende che li ottengono è la deterrenza. Che per ironia della sorte è uno dei concetti contro cui Kojima si scagliava in The Phantom Pain.
In queste tre storie alla fine non c’è niente di nuovo, perché le aziende si appropriano delle idee (e in quest’epoca anche delle istanze e delle battaglie sociali) dei loro creativi da che esiste Atari.
LucasArts non ha guardato in faccia Ron Gilbert quando ha deciso di andarsene, e ha fatto quello che gli pareva con Monkey Island rimasto orfano di suo padre. “Quello che gli pareva” poi si è tradotto in un capitolo tre tutto sommato buono ed un sacco di merda, e se Disney ad un certo punto ha deciso di fare “la cosa giusta” richiamando Gilbert per permettergli di scrivere del suo segreto di Monkey Island è stato solo perché era la cosa giusta dal punto di vista economico. Return to Monkey Island di tutto questo porta inevitabilmente i segni, perché il segreto che Gilbert aveva immaginato quando aveva trent’anni non è quello che è ora che ne ha il doppio, e quindi Return finisce per diventare un discorso meta sul tempo che passa, sulle aspettative impossibili da rispettare e insomma è The Guybrush Parable. Ogni tanto, per sbaglio, il capitalismo ci restituisce qualcosa. Solo che siamo troppo impegnati a lamentarci dello stile grafico che non ci piace o troppo ossessionati dalle nostre balene bianche per farci i conti.
In tutto questo anche mettendo da parte la politica – LOL come se fosse possibile – come giocatori e giocatrici e tutto quello che ci sta in mezzo dovremmo stare sempre dalla parte di chi crea, non di chi si appropria del loro lavoro. È la cosa più logica, perché a noi di valori in borsa, ricavi e altre stronzate che si è inventato il capitalismo che interessa? Ci dovrebbe interessare giocare roba sempre migliore.
I brevetti ci impediscono di farlo. E allora perché dovremmo giustificarli?
Cosa sta succedendo nella bolla dei giochini?
The Plucky Squire sembra uscito da una Game Jam. Ma ha anche dei difetti.
di Pietro “Phatejoker” Iacullo e Richard “Amaterasu” Sintoni
È pazzesco come siamo sempre lì a lamentarci come ormai i videogiochi non abbiano più idee, che sarebbe così bello giocare qualcosa di artigianale come li programmavano una volta.
Poi esce The Plucky Squire e non ci sembra abbastanza.
Non ha la profondità di Breath of the Wild, non ha la vena esplorativa di A Link To The Past, non fa nemmeno le cose che faceva Ocarina of Time quando esci dal libro e diventa 3D.
Solo che a The Plucky Squire non interessava quella roba lì.
Riesce a fare un po' di tutte queste cose e a tratti fa Zelda, a tratti fa il gioco di boxe e ad una certa pure Puzzle Bobble, ma voleva soprattutto reinventarsi ogni 10 minuti e riuscire a dialogare con la generazione di TikTok, quella che salta da un contenuto all'altro ogni 60 secondi e che davanti a 6 ore di gioco poi sennò perdono interesse.
The Plucky Squire è una cosa che giocherei con un figlio o un nipote.
Gli farebbe capire che belli possono essere i videogiochi. Magari Jot lo ispirerebbe a crearne di suoi, così come nella storia ispirerà Sam a diventare un autore di libri per bambini.
Una cosa così chiuderebbe il cerchio, e varrebbe molto di più di qualche puzzle più sofisticato.
Ma era così difficile presentare Ghost of Yotei assieme a PS5 Pro?
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
È da due settimane che ci chiediamo per quale motivo dovremmo spendere 800€. L’unica risposta plausibile poteva essere “per giocare a questi giochi”, e invece si è preferito far vedere quanto è bello l’ennesimo restauro di The Last of Us.
Non che di Yotei si sia visto un cazzo, eh.
Cioè, abbastanza per iniziare a frignare su quanto sia woke giocare l’ennesima protagonista femminile e rendere sempre più evidente a tutte le persone normali quanto “woke” stia diventando un’espressione ridicola che include tutto tranne i giochini di Yu Gi Oh (finché qualcuno non si ricorda che esiste l’archetipo Arpia), ma nella pratica un cazzo.
Eppure sarebbe bastato questo niente per rendere più sensato il reveal di PS5 Pro, che tra l’altro manco deve uscire e ha già pronta una colorazione alternativa per i 30 anni di PlayStation che si sarebbe potuta mostrare al reveal invece di postarla su PlayStation Blog e basta.
Incredibile ma vero mi manca un po’ la Sony paracula che annuncia i giochi 3 anni prima, li rinvia due volte ma intanto vende fumo.
Col fumo almeno ci sballavamo, adesso invece facciamo le 2 di notte per vedere la remastered di Soul Reaver. Che è pure multipiatta.
Se compriamo remake e remastered è perché sentiamo di avere ancora dei conti in sospeso.
di Richard “Amaterasu” Sintoni
Penso un po' tuttə ci siamo passatə per quelle stazioni, che tra le cartacce dei libretti d'istruzioni e mozziconi di sigarette celavano qualche segreto nascosto o qualche boss che non avevamo testa per trovare o pazienza per tirare giù a colpi di spada.
Tipo quelle stronzissime weapon, o quel merda di fantasma di Oxide che ci perculava mentre ci dava giri di pista e pizze in faccia, lasciandoci indietro come chi nelle nostre vite ci è rimasto per un tot, per poi salire su un interregionale salutandoci dal finestrino, promettendoci di scriverci.
Forse l'hai fatto anche tu che stai leggendo, come forse l'ho fatto anch'io che sto scrivendo.
E adesso che abbiamo una seconda chance non abbiamo la forza di andare avanti e di dire di no al passato che fa capolino, un po' per nostalgia romantica e un po' per chiudere dei conti in sospeso.
O forse solo perché abbiamo bisogno di credere che sarà una seconda prima volta, qualcosa di unico.
Come quell'ultimo abbraccio datosi in quella stazione dimenticata da Dio, dove il volersi bene era più forte degli squilli dei cellulari e la puzza di nicotina e piscio.
Ma come rimango informato?
Di certo non seguendo Gameromancer su Instagram e/o su TikTok. Ci devi seguire per la divulgazione, per le riflessioni personali e per la sborra. In ordine sparso. Quello che leggi qui sopra nel corso della settimana (o di quella successiva) diventa un Amanda Reel, ma escono pure diversi extra. Tipo la scorsa settimana ti sei persə sicuramente questo:
Spammini Tattici Nucleari™
Questo volevo spammarlo la scorsa settimana ma il report su Enotria s’è acchiappato tutto lo spazio, quindi arriva adesso con due settimane di lag. L’argomento è molto importante e ti ci ho già ammorbato lə cazzə in tutti i modi possibili: si parla di preservazione.
Solo che questa volta non lo faccio io che sono un coglione, ma due dei (tanti) padri del videoludo: John Romero, che forse ti ricorderai per essersi inventato DOOM, e Jordan Mechner, che ha fatto diverse cose ma la più pop presumo sia PoP (Prince of Persia – si era una battutaccia terribile).
In teoria appena finita di scrivere la newsletter dovrei finalmente iniziare The Legend of Zelda: Echoes of Windsom. Lo si è comprato coi soldi del Patreon, quindi al solito grazie a chi mette i sesterzi nella ribellione e se per caso volessi contribuire:
Tieni presente che la cosa che apprezziamo di più è quando la gente entra nel gruppone Telegram pubblico per parlare con noi. Agevolo il link (anche questa è una battutaccia, circa);
Comunque con 1€ (+ IVA) puoi adottare un DAMS a distanza ed entrare nel gruppo Telegram riservato a chi paga, aka il posto dove si consuma il drama;
Con
2 canne5€ puoi accedere ai 174 Gameromancer Col Rolex™ registrati (cioè dei mini-podcast dove parliamo di cose, dalla critica al design ai cazzi privati). Dalla prossima settimana credo che faremo pure internamente una rotazione per fare in modo che ne esca non dico uno a settimana ma quasi;Con 10€ accedi alle puntate senza le censure, oltre ai video di quando registriamo. Non farlo.
Non sentirti in obbligo a dare un cazzo, facciamo cose a prescindere dai soldi che entrano. Però quando entrano ci compriamo i giochini bellini di cui parlare quando non succede il drama – e considerato che segui Gameromancer per il drama ‘sta roba è proprio marketing 104, altro che 101.
Anyway, ringraziamenti ad hoc per
che revisiona questa roba settimana dopo settimana e a te che sei arrivato qui in fondo e magari hai mostrato un po’ d’amore con un like, un commento, un play sul podcast.Ci rileggiamo la prossima settimana. E credo che durante questa ci riascoltiamo per una roba su The Plucky Squire perché merita un po’ più di giustizia rispetto alle cose che si stan dicendo nei giochini.
Ma è un’altra storia, e oggi te ne ho già raccontate tre.