Fallimento Metacritico
È davvero colpa di Metacritic se giochiamo solo cloni, sequel e remake?
Quando il 5 maggio 2002 inizia non sa ancora di essere una di quelle date destinate a rimanere nell’immaginario collettivo.
Sa che l’Inter, ad una giornata dalla fine del campionato, è prima nella classifica della Serie A con un punto di vantaggio sulla Juventus e due sulla Roma campionessa in carica. Sa che i nerazzurri devono giocare in trasferta contro la Lazio, tifoseria gemellata che si è pure schierata pubblicamente a favore di una vittoria dell’Inter pur di non vedere i nemici giallorossi festeggiare per il secondo anno di fila.
Non sa che invece alla fine della giornata l’Inter arriverà addirittura terza, irrisa pure da quell’Antonio Conte (“c’è poco da parlare, stiamo godendo”) che poi finirà ad allenare proprio l’Inter tra le altre.
Ma soprattutto non sa che esattamente quindici anni dopo nello stesso giorno Raphaël Colantonio proverà ad Austin, Texas le stesse sensazioni provate dal suo connazionale Stéphane Dalmat.
Prima di parlare di Colantonio che se la prende con Metacritic confondendo il sintomo con la malattia però devo dirti un paio di cose.
Indiependenza is back!
Il 2024 è stato un anno di magra lato giochini che c’ha pure messo il carico accanendosi IRL da una parte ma lasciandoci scrivere un libro dall’altra (B-Human: Vite di seconda classe nell’industria dei videogiochi, Ledizioni. COMPRATE).
Ma tanto GR vive a dispetto di tutto.
E quindi save the date, perché giovedì 19 dicembre dalle 21:30 torniamo live per gli Indiependenza Awards 2024, aka i premi videoludicamente scorretti dedicati ai giochini indie usciti quest’anno.
Non ci saranno ospiti perché, beh, il contenuto sappiamo portarlo da noi. Senza circolini.
I podcastini clickbait della settimana
Non c’è più respec
Non c’è più respec per l’etichetta “soulslike”: ormai per rientrarci basta veramente poco, al punto che quasi se ci sono il parry e la rollata ci si può lanciare in paralleli con Miyazaki. Cosa che in realtà s’è sempre fatta, quindi mi sa che non c’è mai stato respec.
Eppure qualche elemento che empiricamente poi ti porta a pensare di star giocando un soulslike c’è. E anche se poi all’atto pratico sono molto diversi c’è un filo rosso che parte da Demon’s Souls e arriva a Black Myth Wukong, perché Wukong in un certo senso è l’ultimo tassello di un processo di decostruzione iniziato quasi da subito dalla stessa From Software.
Continua l’Avvento col Rolex
La prima settimana è andata, ma abbiamo ancora tante, troppe caselline da aprire.
Ogni mattina alle 8:00 circa se Alteri non si confonde come al solito troverai un mini-podcast da ascoltare per chi esce 5€ al mese su Patreon. Ma se fai iscrivere qualcunə alla newsletter la casellina del giorno dopo è free-to-listen per chiunque, quindi facciamo che ti appoggio qui il bottone per istigare la gente a iscriversi e tu lo premi.
Premuto? Bene. Adesso torniamo a Colantonio, Metacritic e a perché l’industria dei videogiochi sta facendo quello che farebbe Silvione fosse ancora in vita: andare a puttane.
Mangia, preda, ama
Il 5 maggio 2017 Prey (quello di Arkane Austin) esce sugli scaffali. Qualche giorno dopo (Bethesda aveva deciso di non mandare copie prima del day one, ci avevo scritto uno speciale imbarazzante rispetto al tono che ho oggi) si scontra con la dura evidenza dei fatti.
Per la stampa di settore vale 79, secondo le 76 recensioni censite da Metacritic. E non va molto meglio per la gente, dove la media delle 1397 user review dà 8.
Colantonio sta già da un po’ covando dentro di sè l’idea che lavorare nei Tripla-A non voglia più dire fare videogiochi, ma confezionare prodotti. È un’idea insopportabile, per uno che è entrato in Electronic Arts appena diciottene e non si è fatto problemi a mandare in culo tutto non appena capito che EA stava diventando soprattutto giochi sportivi. Raphaël voleva lavorare alle sue cose, Arkane era nata nel ‘99 proprio per questo, e per quanto il sodalizio con Bethesda sia di fatto la cosa che ha permesso a Dishonored di esistere adesso non ne può proprio più.
Prey al lancio aveva i suoi problemi. I caricamenti tra un’area di Talos I e l’altra erano insopportabili, durante il mio playthrough mi si è pure fottuto il salvataggio un paio di volte, viva Iddio il gioco salva automaticamente abbastanza spesso da aver comportato la perdita di due ore di gioco scarse al massimo. Le prime due ore sono pure una discreta palla al cazzo (prova a indovinare quale parte del gioco copre la demo?).
Solo che il 2017 non è il 2077, e quel maggio nessuno butta lì l’idea di andare oltre i problemi tecnici del gioco perché tolta la polvere lì sotto si nasconde uno degli immersive-sim più quadrati degli ultimi anni.
Un gioco che non ha paura di proporre contenuti a cui durante la partita non potrai accedere by design, perché per esplorare tutta Talos I andrebbero sbloccate tutte le abilità dello skill tree e quindi inevitabilmente qualcosa si lascia indietro. È un atto di coraggio clamoroso, probabilmente l’idea che mi ha colpito più forte durante la mia run di Prey. Talos I è un incubo in Art Deco insondabile, dove anche la tazza da caffè che vedi sulla scrivania da cui stai leggendo le email può essere un alieno che non vede l’ora di staccarti la faccia. E durante tutta l’esperienza devi scegliere se cedere la tua umanità un pezzo alla volta per sbloccare nuovi poteri alieni e sondare un po’ di più quel mistero o rimanere Morgan Yu.
Ma quello che penso io di Prey è ininfluente ai fini di questa storia. Quello che conta è la verità, o meglio quella che l’industria del videogioco ha eletto essere la verità. E il metascore parla di un flop.
Qualche settimana fa Colantonio su X se la prendeva con il sistema. L’oggetto del contendere era la ricezione media di S.T.A.L.K.E.R 2, ma il discorso – differenza di voto a parte – suona benissino anche riferito a Prey.
Finché un gioco è rifinito al lancio si garantisce [un metascore di] 80, a prescindere da quanto possa essere noioso. Intanto Stalker 2 prende un 73 perché è un po’ grezzo al lancio. Ingiusto. Ingannevole.
— Raphaël Colantonio, 23 novembre 2024
C’è sicuramente del vero in questo. E anzi più in generale è innegabile che esistano delle formule che si ripetono nei videogiochi proprio in virtù del fatto che hanno funzionato, sia dal punto di vista della critica che da quello commerciale.
È da un paio di generazioni che il crafting per esempio è un elemento ricorrente nel videogioco – c’era anche in Prey, peraltro. Anche in contesti dove è superfluo o fuori luogo, proprio perché ormai quelle meccaniche sono entrate a far parte di una sorta di standard. C’è una forte tendenza verso l’Open World nel Tripla-A, che ha quasi del tutto abbandonato degli approcci più lineari e i concetti di “livello” e “capitolo”. Le meccaniche rpg sono uscite dal loro genere e ormai vengono adottate ovunque, questo forse addirittura da prima che succedesse la stessa cosa al crafting.
The Witcher 3 (2015) è probabilmente il gioco che incarna meglio tutti questi fattori in una sola opera. E non a caso è diventato il template con cui si producono tantissimi AAA.
Quasi tutta la produzione first-party PlayStation single-player si rifà a The Witcher 3. Certo, Horizon prende le distanze cambiando il combat system e anche Ghost of Tsushima prova a fare qualcosa di simile aggiungendo tutte quelle meccaniche che urlano “Akira Kurosawa”, ma lo scheletro su cui si poggiano questi elementi è innegabilmente quello. E c’è anche chi è stato molto più pedissequo nel rifarsi al lavoro di CD Projekt: Assassin’s Creed Origins, Odyssey e Valhalla sono sostanzialmente identici a The Witcher 3, al netto dell’ambientazione (e della meccanica dei mercenari di Odyssey).
Andando su Metacritic è facile constatare come nessuno di questi giochi sia sceso sotto l’80. Non si può smentire Colantonio, però il discorso va allargato prendendo in considerazione che i voti che poi contribuiscono alla media di Metacritic sono quelli assegnati dai vari portali.
Il problema allora è la stampa? Chi scrive recensioni su un portale, nell’Anno DOOMini 2024, è tendenzialmente una figura che si è accontentata.
Accontentata di avere a disposizione una decina di giorni per giocare e poi scrivere, di essere pagata una merda, di dover seguire linee editoriali, trend di Google, logiche di mercato per cui quello che scrive un tanto al chilo deve generare abbastanza traffico da convincere l’editore a non premere il pulsante rosso. O a non sfancularlo alla prossima spending review. Le persone di valore hanno smesso di giocare al gioco dell’editoria videoludica da un pezzo, aprendosi i loro canali o trovandosi un lavoro vero, visto che scrivere per gli Everyeye o per i Multiplayer non ti permette di pagare l’affitto. E questo succede anche all’estero, dove tantissime figure di spicco ad un certo punto si son dette “ma perché non divento indie?” e hanno aperto il loro Patreon o il loro Substack. Dopotutto se hai passato 20 o 30 anni nell’editoria è giustissimo considerare la rete di contatti e la reputazione che ti sei costruito come una sorta di buonuscita.
Perché accontentarsi di essere pagato 20€ a pezzo a tre mesi (quando va bene) se puoi essere padrone di quello che fai e prendere tutte le decisioni del caso?
Chiaro, questo implica che non finisci più su Metacritic. E sticazzissimi, però lascia su Metacritic tutti gli altri. Quelli che si sono accontentati e accontentate di far parte di un sistema al collasso, che alla fine non sono poi così tanto diversi da chi i videogiochi li gioca, e infatti finiscono per esprimere un parere medio che è sovrapponibile a quello del popolo spesso e volentieri.
E quindi si premiano quegli Assassin’s Creed derivativi non solo coi voti, ma con 10-20 milioni di copie vendute certificando Valhalla come il capitolo più di successo della saga nonostante sia anche quello più anonimo. E quindi si assolve Cyberpunk 2077 da tutti i suoi peccati perché si rimane vittime dell’hype, non si riesce ad accettare che una cosa che la software house della gente ci ha promesso essere l’equivalente della venuta del Cristo nel medium alla fine sia poco più di un GTA con le lucine al neon. Addirittura ci si rende complici di un’operazione di revisionismo storico sul gioco che è passata dall’anime su Netflix, dalla patch 1.5 che finalmente lo rende il gioco che doveva essere (ma allora i 9 e i 10 al lancio?), da un DLC che ribalta definitivamente il risultato e si porta a casa un premio come Best Ongoing Game alla faccia di chi è ongoing davvero e non ha mai vinto un cazzo.
Si può dare la colpa a Metacritic, se Metacritic alla fine siamo un po’ tutti?
Di più. Se è il sistema stesso ad usare Metacritic come metro, dando bonus agli sviluppatori sulla base dei risultati che i loro giochi raggiungono in media o dando luce verde solo a quello che oltre a vendere può andare sopra l’80, possiamo fare qualcosa?
Ho sempre ritenuto che assegnare un voto alla fine di una recensione fosse una responsabilità di chi decide di parlare di videogiochi. Ne sono ancora convinto, ma con gli anni ho dovuto accettare una cosa: i due caratteri con cui si esprime il voto annullano gli altri 7-10mila che lo precedono. Sempre e comunque, perché si fa e si continua a fare questa riduzione del videogioco a due cifre che non sono in grado di esprimere tutte le sfumature che servirebbero.
Mafia III è un gioco tendenzialmente palloso e ripetitivo, ma ha la miglior rappresentazione in-game del razzismo che abbia mai visto, roba d’essai, da videogioco indie pubblicato su itch.io. Come traduci tutto questo con un voto?
I voti sono una responsabilità che se ti assumi introia tutto il discorso. Non siamo pronti per i voti. E quindi se vogliamo continuare a vivere in una società dobbiamo togliere i voti da in fondo alle recensioni.
Per lo stesso motivo per cui scriviamo “non bere” sulle bocce di varechina.
Cosa succede nei videogiochi?
Perfino Pac-Man ad una certa s'è reinventato come platform.
di Pietro “Phatejoker” Iacullo
L'idea che tu debba giocare ESATTAMENTE le stesse cazzo di cose che giocavi quarant'anni fa è ridicola. Quarant'anni fa c'era un'altra moneta e la barattavi 100 lire alla volta per poter giocare 5 minuti ad un cabinato pensato per fotterti più soldi delle accise sulla benzina. Quel cabinato era nel locale peggiore della città, e chissà quanti pacchetti di Marlboro ti sei fumato passivamente lì in mezzo a quella bassa umanità.
Quarant'anni fa se volevi che il videogioco avesse una storia dovevi leggertela nei cazzo di libretti allegati nella confezione. Oggi i libretti non ci sono più ma le storie, cazzo se di storie ne abbiamo giocate nel frattempo.
Perché vuoi a tutti i costi che le cose rimangano esattamente quelle che erano?
Se Giotto non ha rovinato la pittura inventandosi la prospettiva, perché Miyamoto dovrebbe aver rovinato i videogiochi codificando il 3D?
Perché lo stronzo è Hideo Kojima quando decide che il videogioco può predire il futuro, Davey Wreden quando usa The Stanley Parable per raccontare il videogioco stesso, chiunque decida di sviluppare un walking simulator senza infilarci di forza un AK-77?
Hai nostalgia di quella cazzo di sala giochi? Pac-Man puoi giocarlo pure nella homepage di Google.
Viviamo un'epoca dove sono tornati in auge generi che sembravano essere persi per sempre, è fisicamente impossibile che non esca almeno un gioco alla settimana che possa rispondere ai tuoi gusti. Eppure rompi lo stesso i coglioni.
Forse allora è il momento che fai come Pac-Man e ti reinventi un po'.
Magari è la volta buona che cresci.
Nine Sols è il miglior metroidvania dell'anno. Ma è giusto chiamarli ancora metroidvania?
di Andrea “IncidenteDiplomatico” Scibetta
Immaginatevi di prendere Hollow Knight e ficcarci dentro il combat system all’arma bianca di Sekiro. Ok, non così raffinato, ma l’idea è più o meno quella.
Quando qualcuno disse di Metroid Dread che era “figlio del modello Hollow Knight” fece abbastanza scalpore. Giustamente, perché era una minchiata. Ma un modello Hollow Knight esiste ed esistono i suoi figli.
Per dire: già in Ori 2 ci sono gli stessi amuleti del gioco di Team Cherry. Come in Nine Sols.
Soulslike non è un genere, ma un trend di elementi che amalgamati assieme ha avuto molta fortuna negli ultimi quindici anni. E che piano piano si è andato diluendo e influenzando varie cose.
Nelle due dimensioni sono arrivati Salt and Sanctuary e Hollow Knight. Ma è soprattutto dal secondo che negli ultimi sei o sette anni un mare di piccoli team di sviluppo a preso spunto.
E via con i Laika, con gli Haiku the robot e con Nine Sols. A questo punto chiamiamoli HollowLike, no?
No, è un'idea di merda. A differenza delle idee che un sacco di sviluppatori stanno mettendo nei loro giochini. Delle idee di level design e combat 2D che Nine Sols mette a schermo per la sua trentina di ore.
E sticazzi delle etichette, evviva i giochi belli.
È di nuovo tempo di TGA, e quest'anno più che mai li aspetto con lo stesso entusiasmo di chi aspetta una raccomandata da Equitalia.
di Richard “Ayrton” Sintoni
Il Geoffoni Games Festival 2024 si preannuncia più croccante che mai, con l'ingrato compito di far credere che l'industria stia bene mentre balla sui cadaveri dei vari Tango, Toys for Bob e di diverse centinaia di posti di lavoro andati in fumo.
Chissà quest'anno chi si porterà a casa qualche premio, ma soprattutto se avrà il tempo di parlare su quel palco per ringraziare qualcunə senza che qualche schermo gli dica di stringere che qui il carrozzone deve andare avanti. O il coraggio di strappare quel velo di ipocrisia che c'è tra la celebrazione della nostra passione e la cruda realtà di un settore in crisi nera, fatto sempre più di costi insostenibili, crunch, precariato e l'incubo di esser lasciatə a casa senza preavviso.
Il Met Gala dei giochini che aspettiamo con tanto entusiasmo oramai è solo più uno specchietto per le allodole, o almeno ci prova ad esserlo, mentre la fuori piovono licenziamenti e si chiudono progetti e studi, per un totale di più di 13.000 posti di lavoro persi. Più di tutto il 2023.
Eppure saremo ancora una volta li, ad ascoltare questa banda suonare "Nearer, My God, to Thee" mentre il Titanic affonda.
E chissà se almeno in questa occasione nessun Wrap It up interromperà questo requiem.
Come resto aggiornato?
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Spammini Tattici Nucleari™
ha fatto anche cose buone [risate registrate perché questa battuta mi fa sempre ridere]. Cazzate a parte, è uscita una bella intervista a Simone Granata di Kibou — che parallamente sta organizzando Milano Indies, dagli un occhio — che vale la pena di leggere. Anche solo per confermare che il capitolo sul game dev in Italia di B-Human dice la verità (e forse viene contestato anche per questo).Il problema non sono mai gli strumenti. Gli strumenti sono un alibi che ci viene comodo usare, perché “è colpa di Metacritic” o “è colpa dei social e degli algoritmi” è un pensiero che ci assolve dall’essere noi poi quelli a cui Metacritic e gli algoritmi si rivolgono.
Questa l’ho un po’ rubata a
che è una delle poche persone con cui mi va ancora di parlare, perché (rubando adesso una cosa che diceva un po’ di uscite di Insert Coin fa) discutere di videogiochi sta diventando sempre più pesante.È tutto sempre più polarizzato, frammentato anche laddove bisognerebbe essere invece più monolitici visto che a destra ci riescono benissimo, ci finisce di mezzo pure l’odio e l’invidia sociale di chi in certi circolini è arrivato e vuole tenere fuori tutti gli altri perché ha una paura fottuta di perdere spazi, visibilità, occasioni.
Il problema però continuano a non essere gli strumenti. E forse in fondo non è nemmeno il capitalismo, perché quella mentalità da competizione, quella voglia di distruggere tutti gli altri per rimanere in piedi solo noi, è solo l’exploit che il capitalismo ha usato per affermarsi come “il migliore dei sistemi possibili”.
Il problema è che è vero che non contano le dimensioni, ma come si usa.
E noi lo usiamo solo per fare schifo ormai. Da Metacritic fino ai videogiochi.
PS: Soliti ringraziamenti a
che a) revisiona e b) durante la settimana mi istiga a discutere ancora di questa merda impedendomi di arrendermi.
L'evoluzione del medium, così come l'evoluzione della società e l'adeguamento per viverci bene, è qualcosa che non tuttə capiscono. Si lasciano travolgere dal passato pensando che Space invaders sia uscito l'altro ieri e che, alla fin fine, le battaglie sociali non sono importanti, perché tanto i nostri diritti noi già li abbiamo.
Un pensiero un po' del cazzo, un qualcosa che secondo me si limita tremendamente a non leggere la realtà sfaccettata del 2024, ma che a conti fatti ti fa vivere felice.
Perché sotto sotto, nella bolla dell'uomo medio, non è cambiato nulla.
Gli strumenti sono neutri, è qualcosa su cui dovremmo rassegnarci.
È l'uomo a fare schifo, non la tecnologia.
Prima ci accorgiamo di questo senza scaricare le colpe sugli strumenti, prima miglioreremo.
È facile dire che Kawasaki e Hiroshima sono state distrutte da una bomba atomica, ma se quella bomba atomica fosse rimasta negli USA nessuno sarebbe morto (esempio un po' del cazzo e iper semplificato, però ecco: è sempre facile dar colpa agli strumenti)