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Ma quindi ‘sto Baldur’s Gate 3 è il nuovo standard e dobbiamo pretendere che tutti i prossimi cRPG stiano nella stessa tier in culo a DLC, cut content, microtransazioni e altre merdate varie?
La risposta corta è: no. Nel senso che è inumano chiedere a tutto il Game Dev di fare quello che Larian si è potuta permettere 1) perché alle spalle c’è pure Wizard of the Coast e 2) perché è Larian. Baldur’s Gate 3 è stato in sviluppo per 7 anni, di cui 3 in Accesso Anticipato – leggasi: monetizzando il giocattolo. Se Bioware facesse la stessa cosa giustamente le si riderebbe in faccia. Oddio, “giustamente”, stiam parlando comunque di poverə stronzə a cui Electronic Arts ha tolto 50 persone dalla forza lavoro perché je girava così.
Parallelamente (e quando mai?) c’è tutta la questione woke applicata al gioco di ruolo classico per PC. Che in teoria nasce come cosa che cerca di approssimare quanto più possibile D&D che è quel posto dove se vuoi essere unə nanə gender-swappata che copula esclusivamente con lə Warlock è ok, sei accettatə.
Purtroppo nei videogiochi abbiamo deciso tanto tempo fa che dovevamo essere esclusivi e non inclusivi, perché erano l’unico spazio che concepivamo come sicuro e per mantenerne la presunta purezza siamo diventati i peggiori nazisti. Col risultato che adesso ogni volta che si prova a fare qualcosa che non si rivolge direttamente a noi è merda da ostracizzare. Probabilmente oggi parleremmo di pensiero unico e dittatura del politicamente corretto anche per Bioware che mette le romance gay in Mass Effect, non fosse stato proprio Mass Effect a svezzarci anni fa.
E quindi questo Baldur’s Gay non è proprio cosa. Fuori la politica dai videogiochi. No. Fuori tu, che non sei più all’altezza del medium.
Ammesso e non concesso tu lo sia mai stato.
Devo ammazzare il titolo di questa uscita della newsletter.
Ogni volta che viene spiegata una battuta, bella o brutta che sia – che stai a fa joke-shaming subito dopo lo spammino del podcast sulle minoranze in Baldur’s Gate? – questa muore. Però questa volta la spiega è d’obbligo, altrimenti c’è il rischio di alimentare la cazzata che su Gameromancer sono tuttə edgy e schifano i giochini bellini tipo quella merda di Control (che rimane una merda, prima o poi ti spiego per bene perché).
Questa settimana mi sono immerso in Sea of Stars. E lo ritengo un bel giochino, ma lontano dagli strilloni e dalla media di Metacritic che sto vedendo in giro. È solido, il battle system funziona un sacco ed è meraviglioso vedere come in occidente si stia reinterpretando il jRPG dandogli un’accezione meno “giapponese” – nel senso che mancano tutte quelle cose che fanno impazzire i nipponici tipo il grinding molesto e durare dieci miliardi di ore. Poi Final Fantasy XVI fa la stessa cosa ed è lesa maestà ma shhht.
Il problema è che Sea of Stars mi sta risultando nel complesso inferiore alla somma delle sue parti e quindi, overall, è bello ma non bellissimo. O per citare le immortali parole di Tommaso Pugliese di Multimeme.it, “è solo un buon gioco”. Una roba da C, secondo il sistema di voti che si usa negli USA (ok, questa fa un po’ cacare frasata così, stacce).
E “C” in inglese si legge circa come si legge “Sea”. That’s the joke. Perfetta per parlare di giochi che si accontentano di essere “solo” buoni, no? Mentre ci pensi, beccati le anticipazioni sui contenuti di questa settimana:
Ci serve un gioco fantasy in cui maschi violentano altri maschi. E nel gioco interpreti sempre e solo la vittima.
Di Igno “Igno” Igno
E non puoi in nessun modo scampare allo stupro. E quando arrivi alla schermata di Game Over, il gioco deve sottolineare che hai sbagliato tu. Che è colpa del tuo aspetto, delle pozioni che hai bevuto alla locanda, che sei rientrato alla tua dimora senza armatura e con le armi nella guaina.
E ti insegna che la realtà non è un mondo fatato.
Ed è vero che non viviamo nelle fiabe (e non favole, imparate una buona volta la differenza, checcazzo) ma dobbiamo smetterla di prendercela con le vittime. Perché il punto non sta nella difesa di un individuo, ma nell'educazione di tutti gli altri. E a me sale il vomito a vedere cro-magnon che si sentono brillanti e visionari a raccontarci che il mondo è un posto brutto e cattivo ma che stanno sempre in una fottuta posizione di privilegio. Che è pure la mia, sia chiaro. E io questa responsabilità me la sento tutta.
Non lo so quando capiremo che il cheat per avanzare nel gioco non sta nel privare una ragazza di ubriacarsi e andare in giro come cazzo le pare ma nell'insegnare a noi maschi a non essere lupi ma persone vagamente decenti.
Vi sembra woke questo discorso? A me sembra invece che abbiamo così tanta paura della dittatura del politicamente corretto che al suo posto stiamo scegliendo la dittatura ebbasta.
Quindi io lo voglio davvero un gioco così.
Basta che non lo facciate fare a Chris Avellone.
Comodi gli abbonamenti, ma cazzo se mi fanno sentire in colpa.
Di Richard “Amaterasu” Sintoni
Da quando ho scoperto gli abbonamenti per giocare ho ridotto di tanto le mie capatine nei negozi per comprare i giochini. D'altronde "cazzo mene, di roba per tenermi occupato ce n'è a strafottere". Chi me lo fa fare di spendere altri dindi per giochi che chissà quando giocherò?
Poi ti capitano i giochini piccini.
Quelli che avresti giocato tipo mai perché non ne hai sentito parlare al di fuori dei circoletti di amici, che ti danno tante di quelle sberle emotive che ti restano dentro, insieme al vuoto dopo i titoli di coda.
E li scopri così. A caso. Preso dalla noia del binge-downloading.
E cazzo se mi sento una merda per non averli comprati e non aver dato i soldi ai dev, scroccando il frutto del loro lavoro.
C'è di buono che vedere i numeri dei piccoli crescere vuol dire che qualcosa forse sta cambiando e che c'è una speranza.
Quella di vedere Golia ai piedi di Davide.
Videogiocare mi ha cambiato anche il modo di viaggiare.
Di Davide “Celens” Celentano
Quando visito un posto, inconsciamente uso molti degli approcci che uso anche nei giochini. Innanzitutto si sblocca la mappa e si cerca di orientarsi in maniera efficace, che quando non ti serve più il navigatore per tornare nello stesso posto un po' si gode sempre.
Poi ti prefissi le missioni primarie e quelle secondarie, da portare a termine nei tempi morti ma che spesso risultano più interessanti di quello che inizialmente sembrava essere trama principale.
Infine, se il contesto è abbastanza profondo, ci saranno spesso eventi random che si incontrano sul percorso, imprevisti che renderanno l'esperienza unica, se avrai la mente abbastanza aperta da riconoscerle come tali.
A differenza di un gioco, un luogo non si può platinare e sarà molto difficile avere l'occasione di tornarci in una seconda run.
Ma in fondo sarà davvero così diverso imbattersi in una festa di Curdi a Bruxelles, mangiare il loro cibo e ballare la loro musica, dallo scoprire un segreto figo in un Souls?
Ma guarda un po’ chi torna su Twitch…
Questa settimana riapre le porte la tavola rotonda videoludicamente scorretta che hai imparato a temere come GameromancerLive. Saranno della partita Gianluca Bovio (in rappresentanza dell’associazione Giochi Senza Frontiere) e Stefano Caselli, eminenza grigia di IVIPRO. Se non sai cos’è IVIPRO, malissimo, anche perché organizzano un sacco di ficate.
E vale pure per Giochi Senza Frontiere. Famo che ti salvi la data e mercoledì dalle 21:30 ti colleghi, va. E magari ti subbi pure. Perché ripartono anche le sfide del cazzo di Gameromancer alla sua community, e se arriviamo a 50 sub scatta la DAMS Run di No Man’s Skyrim Starfield.
Già che siamo in argomento Twitch, la scorsa settimana abbiamo annunciato il prossimo eventone live della ribellione – ci abbiamo preso un po’ gusto, con ‘ste stronzate. In realtà gli eventi sono due. Idealmente tutti e due ad ottobre. Tutti i dettagli su I3 e QUE3R sul Sacro Blog™.
Spammini Tattici Nucleari™
È stata la settimana delle recensioni GIGALOL di Starfield fatte con la fretta, da chi in 9 casi su 10 quando si parlava di Baldur’s Gate invitava alla calma. Facce di cazzo. Noi qua si supporta Sea of Stars, a tal proposito:
Per me è un bel giochino, ma non memorabile. Non è una questione di aspettative, perché The Messenger per me è 10/10 con tutto che non si reinventa la ruota e l’ultima parte (quella col backtracking) è abbastanza nammerda by design. A breve(?) la mia recensione su PoteriArcani La Rivista Ufficiale™;
Lo zeitgeist attorno a Sea of Stars non è per un cazzo allineato a come la vedo io. Non vuol dire che c’abbia ragione io e siano tuttə stronzə o viceversa. Vuol dire che i videogiochi sono arte, e in quanto arte le sensazioni che veicolano sono personali. Come le cazzo di mutande che indossi adesso (
di che colore sono? Scrivilo via DM ad Alteri su Instagram, è curioso). Mi è piaciuto il pezzo di Giulia Martino, anche se non siam d’accordo. Non è una tragedia. Basta aver finito le elementari e non succede il drama, visto giornalisty di settore?
Solito invito. Spammaci roba. Qua nei commenti, su Telegram, nei DM di IG. Dove ti pare. Spamma.
Mare Magnum, ma quello della Algida
In questa newsletter non voglio fare un’altra recensione di Sea of Stars. Sarebbe uguale a quella su TGM ma con il 15% di sborra in più, non così interessante. Voglio parlare di una delle suggestioni che mi si è innestata in testa giocando Sea of Stars, ovvero: quanto tempo perdiamo nei videogiochi a fare cose che sono chiaramente messe lì come riempitivi inutili?
Ci ho pensato perché alla fine la vena esplorativa di Sea of Stars è tutto sommato risibile. Nel senso che gli enigmi sono sempre quelli, alcuni sono pure abbastanza sicuro di averli già giocati da un’altra parte paro paro o quasi. Che differenza c’è tra questa scelta stilistica e, metti, inserire il crafting a cazzo di cane nel tuo gioco d’avventura cinematografico con gli zombie perché è una meccanica di moda? A conti fatti nessuna. Spingendo quei parallepipedi di pietra per farli incastrare nei buchi per terra in stile Via Vittoria di Pokémon Rosso mi sono sentito stronzo tanto quanto nello smanacciare tra armi tutte uguali a parte il +2 o il +3 su qualche statistica random sulla Pandora di Borderlands 2. Ho ripensato a quella volta che ero Lincoln Clay a New Bordeaux, Louisiana, e mi sbattevo come uno schia – come un ne – come un coglione (fottuto politicamente corretto, si diceva, no?) per conquistare tutti i quartieri della città per i miei business mafiosi.
Ecco, giocando Sea of Stars mi sono venuti in mente i miei due Mafia preferiti. Ovvero il 2 e il 3.
Mi sono venuti in mente perché sono due giochi tutt’altro che perfetti e con grossi errori di game design. Mafia II ha una mappa open world e un sistema di guida simulativo – tipo che devi pure andarti a fare la benza – che sono assolutamente inutili, visto che ci sono 4 tipi di attività in croce e per il resto guidi da A a B per fare la tua missione del cazzo e via. Tanto valeva segare via l’hub, solo che era il 2010, dovevi competere con gli Assassin’s Creed e tutta quella roba lì che ha finito per rendere i videogiochi sempre più grandi, sempre più sterili. Mafia III ha dei problemi diversi. New Bordeaux non è Empire Bay, anzi. È viva. E ti fa sentire davvero come Lincoln Clay, senti effettivamente tutto il peso del razzismo che permea gli Stati Uniti di fine anni ‘60. La gente ti evita, ti insulta, ti sputa addosso. Meraviglioso – da un punto di vista del puro linguaggio del videogioco, ovviamente. Il razzismo è una merda e il fatto che IRL succeda la stessa cosa a gente che purtroppo non possiamo impersonare fa schifo. Però il gioco è di un ripetitivo aberrante. Ho fatto una fatica della madonna ad arrivare ai titoli di coda, e credo di averlo fatto solo perché dovevo scriverci una recensione all’epoca. Altrimenti il gioco sarebbe rimasto lì a marcire. Eppure nonostante questi enormi problemi (con relative valutazioni numeriche “da scaffale”, dovessi tradurre le mie parole in numero) Mafia II e Mafia III per me sono dei must play. Sea of Stars che invece nelle sue singole parti sbaglia molto meno è potenzialmente skippabile.
Se ne sta parlando anche sul gruppo Patreon. Che come al solito diventa sempre uno spunto per riflettere sulla critica e sulla cosa videoludica. Ah, PS: ti basta subbarti su Twitch (avvisami, in caso) o cacciare 1€ per entrare:
Cosa stavo dicendo prima di questa squallida marketta? Ah sì, se ne parlava sul gruppo Patreon. Mi pare sia stato Asvel che ad un certo punto se ne è uscito con una cosa tipo per me la scala dei voti dovrebbe essere fatta solo da “sì”, “no” e “giocalo porc–IL SIGNORE È IL MIO PASTORE”. Io ovviamente non sono per un cazzo d’accordo. Proprio perché mi rendo conto che Mafia II e III sarebbero dei no, Sea of Stars un sì pienissimo e nella mia testa invece dovresti fare il contrario. Perché Sea of Stars è lə compagnə di scuola che piglia 9 al compito in classe, però semplicemente perché s’è imparatə il capitolo a memoria. I due Mafia sbagliano, ma sotto quello strato di sporco hanno un sacco di cose da dire.
Più in generale il problema di una scala che ti dice solo sì o no – che quindi diventa “compra” o “non comprare” – è che riduce il videogioco alla sua dimensione produttuale ciao Pulciaro, a proposito di Patron.
Non puoi capire davvero il medium se non lo vivi al suo peggio.
Asvel in quella discussione ha fatto un esempio che sembra calzante: per capire se una carbonara è buona non ti serve aver mangiato una carbonara di merda. È vero. Ma i videogiochi non sono cibo. Col cibo intervengono un sacco di fattori istintivi a dirci se una cosa è buona o no, se te la puoi mangiare o è meglio che eviti. È il tuo stesso corpo a dirti se una carbonara fa schifo o no, non c’è bisogno di averne mangiata una di merda: lo sai già. Di contro invece nei videogiochi non è così, perché l’essere umano è ingegnerizzato per abituarsi. Finché Mikami non se ne è uscito con Resident Evil 4 per noi era normale che gli spara-spara in terza assomigliassero ai Tomb Raider di Core Design, quelli coi controlli tank imprecisi come la merda.
Astraendo questa massima dettata dalla pratica, finché non vedi qualcosa che non funziona non puoi capire se un’altra cosa invece funziona a livello di UX.
È per questo che quando dovevo “svezzare” qualche editor su Ilovevg una delle prime cose che facevo fare era recensire un gioco di merda. Solo così si matura una certa visione del game design. È un modo empirico, me ne rendo conto. In Gameromancer non sono di certo io quello studiato, i Game Studies li lascio volentieri a Maura e a Francesco che sono molto più portatə di me in questo senso. Io ho fatto un ITI e faccio il programmatore: le cose per me devono prima di tutto funzionare. Poi se il codice è elegante, tanto meglio e non ci sarà manco bisogno di commentarlo, perché un buon codice si spiega da solo senza tante cerimonie – e allo stesso modo un buon design è intuitivo già al tocco, guidandoti senza farlo esplicitamente come se fosse un metroidvania – PS: questo è parte del motivo per cui Control è una merda.
Negli ultimi mesi ho cambiato completamente punto di vista sui voti. Prima li ritenevo un dovere in quanto critica, qualcosa che bisognava avere il coraggio di affiancare alla propria analisi per riassumerla. Via via mi sono reso conto di quanto polarizzino il discorso e in buona sostanza generino solo discordia. Nei videogiochi. Ma anche e soprattutto IRL.
Sto maturando l’idea che il compito di una buona critica sia crescere delle persone in grado di fare a meno della tua, di buona critica. Uccelli in grado di abbandonare il nido ad un certo punto, emancipandosi, anche dimenticandoti se serve. La buona critica è quella che propizia la sua stessa inutilità, perché raggiunto il suo scopo poi non serve più. Forse è per questo che non s’è mai fatta buona critica, perché ad un certo punto diventa una questione di soldi e il fan lo devi fidelizzare. Farlo abbonare a Twitch. Mettere il like su Facebook, il cuore su Instagram, attivare la campanella di YouTube. Consumare. Consumare generando meno consapevolezza possibile, anzi magari usandoti come vessillo per le sue console war sull’Internet.
Solo che l’unica Console War che abbia mai avuto una dignità è quella che ha accoppato Giulio Cesare.
C of Stars
Ma Boruto del time skip o prima?
Comunque, lo spunto sulla critica è interessante, però secondo me prima di tutto bisognerebbe domandarsi cosa sia la critica e il proprio target.
Io penso che il pubblico, anche qualora arrivato a maturità, non ti abbandoni: questo perché ottenere un'indipendenza di pensiero non significa elevarsi sopra gli altri, quanto avere gli strumenti per parlare, giudicare un gioco, e discuterne con gli altri con maggiore consapevolezza.
Devo ancora finire sea of Stars, ahimè non ho tempo come prima di giocare, ma il feeling che ho è lo stesso: bello, per carità, ma non così strepitoso come dicono molti.